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erotismo 4.0

Mezz'ora in filobus con una mistress digitale, tra morosità e virgole perdute

Antonio Gurrado

Da un lato una chat in cui insulta gli aspiranti clienti, dall'altra una conversazione con una collega per capire come affrontare un debito per l’affitto. Un’imperatrice sui mezzi pubblici e il sesso che diventa vecchio

Sulla 92 che mi conduce da piazza Ascoli a piazzale Lodi, capito di fianco a una giovane donna che ha l’ammirevole capacità di picchiettare sul display del telefono con precisissimi polpastrelli, senza farsi ostacolare dalle unghie di lunghezza sconcertante; ammirato da tale capacità, di cui son privo anche in assenza di artigli, talché i miei messaggi sono simili ai proclami del corvo parlante sulla Settimana enigmistica, finisco per posare lo sguardo sul display che la sconosciuta mi agita sotto il naso. Emerge così che è una mistress virtuale; una donna cioè che vende il proprio tempo a maschi che le richiedono umiliazioni da remoto, cui lei ottempera secondo un prezzario ben calibrato in base a natura, gradazione, intensità e durata. Com’è noto, gli smartphone sono l’outsourcing della nostra anima, forse i suoi sostituti, pertanto non c’è miglior modo di capire una persona che sbirciare i suoi dialoghi silenziosi, tanto più quando si viene favoriti dall’ondeggiare del filobus che, in piazza Emilia, fa finire lo schermo più vicino ai miei occhi che a quelli della proprietaria.

L’anima di questa donna appare suddivisa in due. In un riquadro, su Telegram, risponde ai potenziali clienti che in buon numero le scrivono nei soli quattro chilometri di tragitto, lasciandomi intuire un discreto successo commerciale. Le danno del lei, esordiscono sempre salutandola con rispetto, sin dalla prima riga la chiamano “padrona” o “dea” (qualcuno, più devoto, “Signora”) e tutti denotano una pervicace allergia all’inserimento della virgola prima del complemento di vocazione. La metà in luce è però bilanciata da un lato in ombra: in un riquadro parallelo procede una conversazione Whatsapp con un’amica, che scopro esserle anche collega. Consiste in un confronto sul debito che entrambe hanno maturato in tot mesi d’affitto, sul cui ammontare discutono accalorate, raffrontando le cifre e cercando di confrontarsi a vicenda – per farsi forza l’un l’altra, si chiamano “amo”, sempre senza virgola prima del complemento di vocazione – fino a quando la mia vicina di sedile non propone la brillante idea: “Potremmo fare i cashmeet insieme amo”. I cashmeet sono sessioni in cui l’uomo versa denaro sul conto di una donna per ottenere un incontro di un paio di minuti in cui consegnarle del contante (ne avevo parlato sul Foglio del 7 gennaio 2023); costituiscono l’apice insuperabile dell’economia dei servizi, consentendo all’utente di pagare dei soldi al solo scopo di pagarne degli altri.

 

                

 

Oramai incapace di farmi gli affari miei, solo il timore di venire accusato di mansplaining per onlyfanser mi trattiene dal dire alla mistress della 92 che la sua è una pessima trovata: se organizza cashmeet con l’amica, o raddoppia la tariffa diminuendo giocoforza il bacino d’utenza, oppure si fa consegnare la stessa quota dovendo poi smezzarla. Mi commuove però quest’impeto antieconomico di affetto, truccato da disinvolta padronanza dell’erotismo 4.0; e a questa luce leggo il tono con cui torna a scrivere nell’altro riquadro. “Buongiorno sfigato”, risponde indefettibilmente, mantenendosi fedele al boicottaggio della virgola prima del complemento di vocazione: se tuttavia l’aspirante cliente le si rivolge secco, determinato nel domandarle quanto e come, lei risponde quasi deferente, e mi sembra di notare una premura da accurata attendente nel presentargli la tabella dei prezzi. Se quelle smisurate unghie potessero parlare, si sentirebbe un tremolio nella loro voce.

 

Prezzi modici, popolari: del resto la 92 è il filobus che conduce i proletari in tondo lungo la circonvallazione esterna di Milano, come se volesse far annusare loro un centro città cui non appartengono; vendesse servizi di lusso, la mistress sfreccerebbe nella ztl o se ne starebbe, con questo caldo, in piscina. Poco prima del capolinea dà invece un’ultima occhiata al proprio spazio virtuale, pomposamente battezzato “L’impero di” con nome spero d’arte, e si alza pigiando il pulsante rosso della fermata a richiesta. Nei suoi occhi scorgo un po’ della preoccupata esitazione che Tiziano colse ritraendo Carlo V attraversato dal primo desiderio di abdicare; poi scende dal filobus (la mistress, non Carlo V) e resto lì a pensare che in quella mezz’ora lei non ha concluso nessun accordo, i suoi lontani clienti hanno ignorato che la loro padrona e dea usasse i mezzi pubblici, il debito per l’affitto è rimasto identico, nessuno ha provato il minimo piacere fisico e ci hanno guadagnato qualcosa solo le app di messaggistica, per le quali la mistress virtuale, con le sue unghie fenomenali, produce dati su dati sudando come l’ultima schiava. Così, anziché intrigarmi, il lubrico incontro mi intenerisce: forse perché sto invecchiando io, forse perché sta invecchiando il sesso.

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