
Jeff Bezos e Lauren Sánchez a Venezia per lo sposalizio (foto Getty)
Le nozze di Bezos. Com'è triste sposarsi a Venezia
Il matrimonio miliardario tra improbabili intrattenimenti e altrettanto improbabili proteste contro i super ricchi. Rimangono la calura e l’umidità, queste sì democratiche, e l’incubo degli sposalizi estivi con 40 gradi
Esiste la wedding fatigue? I tre giorni di sposalizio Bezos a Venezia sembrano un infinito Sanremo ma d’estate, con le conferenze stampa, le polemiche, i super ospiti, le classifiche, i cambi d’abito, in più nella calura e umidità della laguna. Che poi, ci frega veramente qualcosa dei novanta aerei privati, dei 27 cambi d’abito, delle proteste farlocche?
Sì, ci frega, ma non per Bezos e per la sua sposina, bensì perché è l’ennesima storia sulla ricchezza, su come si crea, come si accumula, come si distrugge, cioè le molle che hanno appassionato i romanzieri per duemila anni, prima che fosse inventata l’autofiction. Intanto lo sposalizio bezosiano è la conferma di Venezia come nuovo paradiso fiscale, specie di Dubai coi vicoli anzi calli roventi senza però aria condizionata dove tutti prima o poi passano. “Di solito andavo a New York per affari e incontri, adesso sto fermo qui, perché tutti passano da Venezia almeno una volta all’anno, per il Festival del Cinema o per la Biennale”, mi dice un finanziere che si è appena comprato un palazzo a Venezia, come tutti. Non c’è essere umano altospendente infatti che ormai non abbia la sua fondazione o palazzo a Venezia: da Pinault (che si è pure lui sposato qui) a Prada all’ultimo in ordine di tempo, lo stilista Hedi Slimane. E poi nuovi ricchi di tutte le fogge, grazie alla legge Renzi, la flat tax che fa pagare centomila euro l’anno (poi portati a duecento), capitalisti di ogni genere e provenienza che si trasferiscono o tornano in Italia e dunque Milano Roma Venezia (mica vanno a stare a Sgurgola di Sotto). Tant’è vero che Nigel Farage, il buffo politico inglese sovranista, ha appena lanciato uno speciale visto, 250 mila sterline l’anno per trasferirsi in Uk, al grido di “riprendiamoci i ricconi dall’Italia”.
Già, ma chi sono questi ricchi? Greenpeace, che ha organizzato proteste contro Bezos a Venezia, col cartellone di 20 metri per 20 col faccione del magnate e la scritta: “Se puoi affittare Venezia per il tuo matrimonio puoi anche pagare più tasse”, sul suo sito spiega chi siano davvero, e questo è utile perché ormai non si capisce più niente, soprattutto in Italia dove se guadagni 4.000 euro al mese sei un Bezos in sedicesimo. “Quando parliamo di tassare i super ricchi non parliamo di lavoratori anche benestanti con la Range Rover; parliamo di miliardari la cui ricchezza sta nascosta in paradisi fiscali, e il cui stile di vita inquinante contribuisce più del nostro a distruggere il pianeta”. E poi, a livello più pratico: “Se guadagni 100 mila l’anno ti serviranno 10 anni per diventare un milionario, ma 10 mila per diventare miliardario”, spiegano a Greenpeace.
Ecco, così si capisce meglio. Non che cambi molto per Venezia: dove comunque benestanti, milionari e miliardari continueranno ad amarsi e sposarsi. Anche trasgredendo l’insegnamento di una ricca veneziana abbastanza famosa: “Sposarsi a Venezia è impossibile, perché tutti gli occhi saranno puntati solo sulla città e non sul vostro amato/a”, sosteneva Peggy Guggenheim; lei e la sua fondazione sono un fantastico apologo sulla ricchezza; l’ereditiera americana si installò a Palazzo Venier dei Leoni che era un celebre “incompiuto”, essendone stato realizzato solo il piano terra, dei tre previsti. I progetti partirono a metà ’700 e l’edificio doveva essere grandioso a testimoniare lo status della famiglia, quella del Sebastiano Venier che aveva guidato la flotta a Lepanto. Ma gli eredi Venier erano ormai impoveriti (Lepanto era passata da 200 anni, nel frattempo nel 1797 la Repubblica di Venezia aveva finito di esistere) e avevano così trovato un escamotage; costretti dal testamento paterno a costruire un palazzo, che risplendesse la grandeur di famiglia, costruirono, sì, ma non portarono a termine (portare a termine non era stabilito dalle ultime volontà). Ecco spiegata la bizzarra forma del palazzo.
Ah, la decadenza. La decadenza è fascinosa quanto la ricchezza, cioè il suo opposto, lo sanno bene gli aristo-siciliani Lanza – Licata di Baucina Vien dal Mare che a Londra hanno impiantato la segretissima agenzia di matrimoni segretissimi che sovrintende pure a questo. Riciclando immaginiamo un know-how caratteristico (un’agenda di location sgarrupate probabilmente di parenti e affini assillati dai debiti, più il saper stare a tavola in sette lingue grazie a nonne e tate che non ci si può più permettere). “Certo eravamo abituati ai ricchi, ma mai avremmo pensato che un magazziniere diventasse uno degli uomini più ricchi del mondo”, mi dice una dama veneziana decadente, e definire “magazziniere” Bezos mi sembra geniale. “Ma quello è. Uno che sposta pacchi”. Un’altra dama decadente a un pranzo veneziano di beneficenza, dei mille pranzi di beneficenza che si svolgono ogni giorno a Venezia, mi disse qualche tempo fa: “Ormai non c’è manco più un capitello da salvare in città con tutte queste organizzazioni benefiche”. In effetti, oltre a quella a cui Bezos ha regalato tre milioni di dollari, è un trionfo di fondazioni Save Venice, aiutiamo Venezia, i giardini di Venezia, le pietre di Venezia, i peoci di Venezia. L’acqua alta intanto è finita, il Mose funziona, e se una volta Venezia sprofondava, ormai è il mondo che sprofonda e dunque Venezia è la sua capitale. Nessuno sa decadere così bene (a parte Roma, vabbè, ma è un’altra cosa).
Altre decadenze scicchissime: Bezos e la sua sposina alloggiano all’hotel Aman Venice, il più ganzo per il matrimonio veneziano d’alta classe. Ci fu il precedente dieci anni fa, quello Clooney. Sta nel vecchio glorioso palazzo Papadopoli, in capo alla famiglia Arrivabene Valenti Gonzaga, aristo pazzeschi. L’erede, Giberto detto Gibì, oggi soffia vetri di murano, le figlie producono le friulane, la moglie è Bianca d’Aosta; sono tutti magri ed eleganti e non rifatti e non si sognerebbero mai di mettere le maglie attillate di Bezos o di mostrare le zinne come Lauren Sánchez. Fanno invece matrimoni scicchissimi come quello di quattro anni fa della figlia coi paggetti vestiti alla marinara, e con le friulane prodotte a chilometro zero (ma al matrimonio dei genitori c’era addirittura la regina Maria José). Molto tempo fa però esauriti i fondi e di fronte alle interminabili manutenzioni nel palazzo avito e sgarrupato ricevettero la provvidenziale offerta: voi vi ritirate tutti su nella mansarda, mentre sotto faremo un bell’hotel a sette stelle; in cambio vitto e alloggio e pigione per sempre. Mica male. Chissà se in questi giorni saranno stati invitati a scendere per i festeggiamenti, decorativi come sono, o saranno invece murati nella mansarda (speriamo con aria condizionata).
Tra i nuovi veneziani non decadenti che partecipano al matrimonio c’è poi Diane von Fürstenberg, che si è installata in laguna da un paio d’anni (ma in affitto, come i veri ricchi) dai cugini a palazzo Brandolini d’Adda (palazzo che non ha bisogno di trasformarsi in hotel grazie al ramo Agnelli che lo possiede, e che meriterebbe una serie tv tipo “only aristo in the building”, ci stanno oltre agli Agnelli tutti dei Rothschild, dei direttori del Louvre, delle prosapie micidiali). Inventrice del wrap dress o vestito a vestaglietta e sposatrice seriale di gay molto liquidi, Diane von Fürstenberg nata Halfin è la nuova dogaressa della città: spende, consiglia, presenzia. Il suo attuale e secondo sposo, dopo il principe Egon Fürstenberg, è Barry Diller, leggendario produttore hollywoodiano, che ha appena pubblicato un memoir in cui fa coming out a 83 anni. Nessuno si è stupito di nulla, tranne lui che ha fatto una scoperta scioccante (dopo aver fatto tre presentazioni del libro è sbottato: “Ma è un lavoro infernale, ma come fate voi scrittori a girare in lungo e in largo per due spiccioli”). Diane von Fürstenberg ha avuto gli sposini Bezos a casa per un pre-pre-pre ricevimento. E lei sì che potrebbe dispensare consigli matrimoniali, sposando i suoi migliori amici, diventando principessa e miliardaria, miliardaria di suo, va detto, con la succitata vestaglietta.
Perché c’è anche chi lavora, a Venezia: sul sito italiano, Amazon racconta avventure dei suoi dipendenti. “A Venezia ci immergiamo ogni giorno nella bellezza e poter lavorare in un contesto così affascinante ha sicuramente molti vantaggi. ‘Spesso le persone attendono con entusiasmo il mio arrivo ed è sempre un piacere vederle sorridere quando consegno il loro atteso pacco’, dice Roberto Serena, postino di Murano. Ogni giorno Roberto si sposta sui vaporetti, lungo i canali della Laguna di Venezia, per consegnare i pacchi ai clienti delle isole. ‘Mi ritengo molto fortunato ad avere l’opportunità di fare il postino, proprio nel luogo in cui sono cresciuto. Sono di Murano e trascorrere le mie giornate tra i luoghi che amo è un privilegio’”. Povero Roberto. Dev’essere proprio un privilegio trasportare il micidiale carrellino che con queste temperature sarà arroventato, tra i turisti obesi americani che si fanno le foto tra le calli.
Un’altra lavoratrice instancabile è Ivanka Trump: ieri tra le varie stories Instagram dalle nozze Bezos (visita a una vetreria a Murano, chissà se insieme al postino Roberto di Amazon) la figlia del presidente americano postava un suo libro, “Women who work”, donne che lavorano. Farà presentazioni? O Diller l’avrà sconsigliata?
Ma alla fine, possiamo dire? Meglio sposarsi che lavorare. Anche a livello fiscale, di indotto e di collettività. Andiamo con ordine: questi ricchi globali sembrano sempre perseguire lo stesso pattern: prima, sposano la donna che si fa strada con loro, conosciuta all’università o in azienda, fonda l’impero con loro, produce i figli, ecc. Poi, arrivati alla soglia della mezza età, quando hanno l’impero, scoprono che sono mortali pure loro, ritengono di doversi divertire e diventano ridicoli. Trovano Quella che Li fa Divertire. “Non mi sono mai divertito tanto come con lei”, ha detto Bezos della sua nuova popputa. Lei l’ha instradato alla chirurgia estetica, alla dieta, alla palestra. Alle navi, agli elicotteri, ai viaggi su Marte o sulla Luna. Agli schiuma party come quello sul Koru, il barcone simil-Amerigo Vespucci con cui i due Casamonica di fascia alta si aggirano per gli oceani. Voi direte: che cafoni, lo schiuma party. Certo, ma che deve fare un pòro cristo a sessant’anni dopo aver fatto 200 miliardi, nascendo oltretutto magazziniere (cioè, non magazziniere ma in realtà broker di Wall Street). Ricordate il caso Scaglia? Il fondatore di Fastweb: anche lì, prima moglie discreta e dietro le quinte, arrivato all’apice trova la Seconda: in questo caso la vibratile ebrea russa Julia Haart (piccoletta anche lei, il mondo è delle piccolette) che gli insegna cosa vuol dire divertirsi: giù elicotteri, aerei privati, Bentley bicolori, e perfino un auto-documentario Netflix col povero Scaglia che si nascondeva dietro le tende per la vergogna e che, almeno quello, a Bezos è stato risparmiato. Poi a volte questi ricconi si pentono e vorrebbero smettere di divertirsi e tornare all’esistenza di prima, come Bill Gates (presente a Venezia in questi giorni) che ha detto che mollare la moglie è stato un enorme errore (e infatti, non potendo tornare indietro, si è preso una sosia, tale Paula Hurd, ex moglie di Mark Hurd, numero uno di Oracle).
Ma, e veniamo al punto fiscale, le seconde nozze sono meglio di un Pnrr, meglio di un Giubileo, meglio di una patrimoniale (Greenpeace, ascolta): Bezos e la prima moglie, MacKenzie Scott, nonostante lei abbia un nome da studio legale, non avevano un accordo prematrimoniale e dunque lei col divorzio si è presa 53 miliardi di dollari diventando improvvisamente la ventiduesima persona più ricca del mondo. Poi si è risposata pure lei, e poi ha divorziato generando altri ricchi che genereranno altri ricchi. Melinda French Gates vale invece oggi 30 miliardi di dollari e non c’è, ma alle nozze veneziane è presente invece una campionessa del matrimonio carpiato: Dasha Zhukova, già signora Abramovic, ora ha sposato non il postino di Murano ma un Niarchos; ma ecco che sua madre Elena l’ha sorpassata in curva, sposando nientemeno che quel frugoletto di Rupert Murdoch. Insomma tra alimenti, spese legali, professionisti, schiuma party, questi matrimoni e divorzi di ricchi hanno un moltiplicatore della ricchezza keynesiano che altro che riarmo europeo.
Meglio sposarsi che lavorare. Oppure morire, nel caso italiano. L’unico modo di diventare ricchi da noi è infatti ereditare, come certificano i dati Oxfam, per cui il 63 per cento dei miliardari italiani ereditano dai genitori, contro il 36 per cento a livello internazionale. Comunque non dobbiamo buttarci giù e non dobbiamo invidiarli, questi ricchi, perché non è tutto rose e fiori: il primo party dei Bezos è stato rovinato dal maltempo (certo niente di paragonabile al crollo della passerella quando rovinarono nel canale vari ospiti a un evento della Fondazione Prada anni fa). E nelle foto paparazzate si intravedono Kris Jenner con la faccia (rifatta apposta per il matrimonio) stravolta, Sánchez perplessa strizzata in un abito tipo Ferrero Rocher, e ci si immagina che ci saranno squadre di parrucchieri con piastre capitanati da dei Bertolaso tricologici per combattere l’umidità veneziana che arriccia i capelli delle povere come delle miliardarie.
Insomma (o è magari wishful thinking o pia illusione) il matrimonio Bezos fa l’effetto “anche i ricchi piangono”, perché diciamoci la verità, nessuno vorrebbe veramente essere al loro posto in questi giorni. L’incubo di Venezia d’estate con seicento gradi e l’umidità al tremila per cento, i tremila cambi d’abito coi piedi gonfi quantunque foderati Louboutin; incastrati, piegati in due nelle pance dei taxi veneziani quantunque con gli interni in pelle, ma con la sciatica che non distingue proletari e billionaire. L’incubo di Venezia rovente che il comune mortale prova alle biennali e alle regate si somma a quello anche più tragico del matrimonio estivo nella splendida cornice, questa usanza che dovrebbe essere abolita costituzionalmente, quando ti invitano per le nozze in luglio e agosto nel casale arroventato o nella cittadina infuocata. Insomma inutile invidiarli, Bezos e i loro derivati, e inutile contestarli. Stanno combattendo una loro battaglia che noi purtroppo conosciamo, ancorché poveri.
Il matrimonio degli schiumati oscura peraltro altri due sposalizi che in altri tempi sarebbero stati alla ribalta (un po’ come il famoso che muore contemporaneamente al famosissimo, come Gil Cagné negli stessi giorni di Gianni Agnelli). L’altro grande matrimonio del mese, meno MAGA e più vecchio stile, vagamente Pd e novecentesco, è quello di Huma Mahmood Abedin, braccio destro di Hillary Clinton che ha sposato qualche giorno fa agli Hamptons Alexander Soros. Lei ha nove anni più di lui, 48 contro 39, lui è figlio ed erede del Soros alla guida della Open Society Foundation, la fondazione da 25 miliardi di dollari che finanzia università e movimenti in tutto il mondo, più noto per essere il capo – secondo gli appassionati del genere – del complotto pluto-giudaico-massonico mondiale; lei è tutta Ong ed empowering femminile, ma soprattutto prima moglie del deputato Anthony Weiner, quello, che, nomen omen, si è rovinato la carriera perché inondava la sua rubrica di contatti con le foto del suo pisello. Lei musulmana, lui ebreo, si sono conosciuti a un party dopo il 7 ottobre ’23 anche se “non ero molto dell’umore”, ha detto lei. Il matrimonio interreligioso si è tenuto nella tenuta dei Soros con un rabbino e un imam, e rappresentanti del vecchio mondo progressista come Anna Wintour (al suo ultimo matrimonio, ha annunciato il ritiro da Vogue), Jimmy Fallon, Kamala Harris, Nancy Pelosi e poi il premier albanese che si inginocchia sempre con la Meloni, Edi Rama. Gli sposi hanno chiesto non regali ma donazioni a organizzazioni per l’infanzia, insomma se quello dei Bezos sembra un matrimonio di indiani in Puglia, questo è un matrimonio più da Capalbio. Poi ci sarebbe un terzo matrimonio interessante a livello geopolitico, quello della nipote dello Scià di persia, Iman Pahlavi, figlia dell’attuale erede al trono, Reza Ciro Pahlavi, che sgomita per tornare da re a Teheran anche se gli iraniani non lo stanno pregando molto. La nipote di Farah Diba ha sposato, prima a New York e poi a Parigi, un baldo finanziere ebreo, e questa sì che è una novità, anche perché la duplice cerimonia si svolgeva mentre l’Iran e Israele si bombardavano vicendevolmente. Questo è un passo avanti notevole. Al primo matrimonio di Diane von Fürstenberg per esempio il padre dello sposo non si presentò, perché al capo di una grande casata tedesca pareva brutto che il figlio sposasse un’ebrea. Però erano altri tempi, Venezia affondava, non si facevano gli schiuma party, e faceva pure meno caldo, vabbè.

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