
Ansa
la lettera
I lavoratori di Gaza, i silenzi su Hamas. Letterina ai Patagarri
Un primo maggio usato come palcoscenico per slogan anti-Israele svuota il senso della festa dei lavoratori e tradisce la sua origine storica, sostituendo la memoria della lotta per i diritti con il populismo dell’ideologia facile
Il 25 aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo, il 1° maggio è la festa dei lavoratori e il 2 giugno (anticipo i tempi) è la festa della Repubblica. Ho preso tre date del calendario civile per ricordare a me stesso e a tutte le donne e a gli uomini di buona volontà che queste tre ricorrenze della Repubblica nulla hanno a che vedere con il conflitto tra Israele e Hamas. Eppure, il 25 aprile è ormai una sfilata di bandiere e cori pro Pal come se la resistenza di oggi fosse quella combattuta da Hamas e il 1° maggio non è più solo la festa dei lavoratori ma è un’occasione ghiotta per prendersi qualche applauso attaccando Israele. E infatti, puntuale come un tweet di Salvini fuori contesto arriva il concertone del 1° maggio. Già la parola “concertone” ci dovrebbe far riflettere su cosa sia diventata, negli anni, la festa dei lavoratori. Ogni anno vado al “concertone” sempre volentieri, con i miei figli, appassionati di buona musica e intenzionati a partecipare a quello straordinario “rito laico” della manifestazione per i diritti dei lavoratori. I gruppi musicali si alternano sul palco, e poi tra la folla spunta qualche bandiera della Palestina e qualche insulto rivolto a Israele. Dal palco, come è giusto che sia, ogni gruppo musicale ha un pensiero o una frase legata al tema del lavoro. E poi improvvisamente, non ne sono in alcun modo stupito anzi aspettavo il momento, ecco i Patagarri.
Confesso che non ne conoscevo l’esistenza, ma ho imparato a conoscerli. I Patagarri si esibiscono, come avrete visto, in una canzone ebraica “rifatta” per l’occasione. Sì, avete capito bene. Sul palco di una manifestazione del 1° maggio, un gruppo di simpatici attivisti con l’ukulele in mano ha pensato bene di prendere una vecchia melodia ebraica – di tradizione sefardita – e riscriverla per l’occasione con parole contro il capitalismo globale, contro Israele (ovviamente) e a favore della “resistenza internazionale dei popoli oppressi”. Applausi, pugni chiusi, selfie con la kefiah. Nessuno che si sia chiesto da dove venisse quella melodia. La folla applaudiva alla sola parola “Palestina” e il gruppo musicale spiegava la “geniale” idea. Prendere una canzone ebraica che si intona nei momenti di festa e trasformarla in urlo politico scomposto contro Israele. La superficialità diventa gesto politico, Il pressappochismo si maschera da rivoluzione. “I patagarri”, che da oggi in poi per me saranno rinominati simpaticamente i “Patacca” (usando una nota espressione che prendo in prestito dal dialetto Emiliano romagnolo), si prendono gli applausi e acquistano punti nel grande zibaldone del “politicamente corretto” del daje a Israele.
Eppure il 1° maggio nasce altrove, e con ben altri intenti. E’ il 1886, Chicago. Migliaia di operai scendono in piazza per chiedere la giornata lavorativa di otto ore. Il Primo maggio segna l’inizio di uno sciopero generale, che sfocia tre giorni dopo nella sanguinosa “rivolta di Haymarket”, con morti, feriti e una repressione durissima. Ma da quel sangue e da quella lotta nasce la festa dei lavoratori, che si afferma in Europa proprio come gesto di solidarietà internazionale con quei martiri americani.
Peccato che dal palco nessuno si sia chiesto, invece, in quali condizioni hanno lavorato gli operai palestinesi che a Gaza hanno costruito i 720 chilometri di tunnel sotterranei sotto il controllo di Hamas. Non mi risulta che il governo della Striscia di Gaza abbia messo grande attenzione ai diritti dei lavoratori. Sarebbe stato bello sentire i “Patagarri” ricordare la assoluta mancanza di diritti nella striscia di Gaza, tanto che ogni giorno – prima del 7 Ottobre lavoratori palestinesi si recavano a lavorare in Israele dove invece esistono sindacati e diritti. Il lavoro merita rispetto e qualche cosa di più di qualche applauso compiacente al nuovo mainstream chiamato Patagarri.


Saverio ma giusto
Il Vaticano è il paese che amo. Per questo scendo in campo come papabile

Saverio ma giusto