(foto Olycom)

New York con lo sguardo sempre più su

Marco Bardazzi

I dubbi sulla sicurezza dei grattacieli sono vecchi quanto Manhattan. Ma gli architetti stanno vincendo la sfida estrema del vento. Ecco come

Qualche dubbio comincia a serpeggiare anche tra gli “indiani”, quelli che per decenni hanno costruito lo skyline di Manhattan. Generazione dopo generazione, a scalare il cielo innalzando torri sono stati in buona parte gli uomini di una tribù di nativi americani Mohawk, celebri per l’assenza di vertigini e il coraggio di sfidare le altezze. Sono loro ad aver tirato su l’Empire State Building, il Chrysler, il Rockefeller Center, le Torri Gemelle e, dopo l’11 settembre, anche il nuovo World Trade Center. Ma di fronte al boom dei grattacieli sempre più alti e sempre più sottili degli ultimi anni, anche loro come tanti a New York si interrogano: “Non staremo esagerando?”.

La corsa ai supertall non sembra avere freni a livello mondiale, grazie ai continui avanzamenti tecnologici che permettono di sfidare la gravità, i venti e le mille forze in gioco quando si sale di piano in piano per centinaia di metri. Il record di grattacielo più alto al mondo appartiene da un decennio alla Burj Khalifa di Dubai, con i suoi apparentemente irraggiungibili 828 metri (la Jeddah Tower saudita, in costruzione da anni, punta a superare il chilometro, ma i lavori al momento sono sospesi). La Shanghai Tower si ferma a 632 metri e vari grattacieli tra Shenzhen e Seul superano i 500 metri, così come la Freedom Tower sorta sulle rovine del vecchio World Trade Center. 

Ma il vero fenomeno di questi anni sono i superslim, i sottilissimi grattacieli che in poco tempo hanno cambiato – ancora una volta – il look della Midtown di Manhattan all’altezza di Central Park. Sono diventati moderni castelli per ricchissimi, dove isolarsi tra le nuvole in appartamenti dal prezzo astronomico, lontani dai comuni mortali laggiù in strada. In una città che dopo il dramma delle Torri Gemelle aveva pensato che l’epoca dei grattacieli fosse finita, d’improvviso si è ricominciato a costruire ancora più in alto, partendo da superfici sempre più ridotte visto che di spazio a disposizione, a Manhattan, ce n’è ormai pochissimo. Ne è nata quella che i newyorchesi chiamano la Billionaires’ Row, la striscia dei miliardari intorno alla 57esima strada. Sette-otto torri sottili ed eleganti – con altre presto in arrivo – che hanno come inquilini sceicchi arabi, magnati del digitale e top manager degli hedge fund. 


La corsa ai “supertall” non sembra avere freni a livello mondiale. Il record appartiene da un decennio al Burj Khalifa di Dubai, 828 metri


Guardando questa nuova foresta urbana, tra gli addetti ai lavori come gli ironworker (che contano ancora tra loro molti Mohawk), serpeggiano ora interrogativi su quale sia il limite fin dove spingersi e la rivista The Atlantic ha raccolto una vasta gamma di preoccupazioni e altrettante rassicurazioni tra costruttori, operai, architetti e ingegneri.  I dubbi non riguardano solo gli aspetti etici legati alla vendita di appartamenti che raggiungono cifre intorno ai 130 milioni di dollari e sono spesso intestati a oscure società con sedi nei paradisi fiscali. Non è neppure solo un tema legato alle tante cause legali che stanno emergendo tra i condomini, a cui ha dato spazio in questi anni soprattutto il New York Times: lamentele legata alla rumorosità, a presunti servizi scadenti e alla scarsa praticità di queste case in mezzo al cielo. I newyorchesi normali, là in basso, non provano neanche particolare simpatia o solidarietà per il senso di nausea che i miliardari dicono di avvertire per colpa delle oscillazioni dei grattacieli quando tira troppo vento. 

 

Il tema vero è la sicurezza: non è che prima o poi, a forza di sfidare le leggi della fisica, qualcosa andrà terribilmente storto? Adrian Smith, un architetto che ha progettato vari supertall, ha ammesso con l’Atlantic che quando sali così in alto e con strutture così sottili, “potenzialmente si possono incontrare problemi sconosciuti” e ha aggiunto che le tecnologie sono così nuove “che possono esserci degli errori”.  A impressionare, guardando i superslim, è soprattutto la base ridotta da cui partono e l’esiguità delle dimensioni lassù tra le nuvole. I grattacieli vengono considerati super sottili se hanno un rapporto altezza/larghezza che supera il 10 a 1. L’Empire State Building, con il suo massiccio profilo da anni Trenta del secolo scorso, è circa tre volte più alto di quanto è largo. Di contro, c’è il caso della Steinway Tower appena inaugurata a Manhattan, una delle costruzioni più sorprendenti di questi anni. La sua base è lo storico edificio Steinway Hall del 1925 sulla 57esima strada, dove venivano esposti gli omonimi pianoforti. Da qui sale una torre di 84 piani (435 metri), disegnata dallo studio SHoP Architects, che va sempre più a restringersi mentre si allontana dalla sede stradale e che è 24 volte più alta di quanto è larga. 

 

Il risultato finale è la torre più sottile al mondo, realizzata ricorrendo a tecnologie e materiali che uniscono la tradizione all’innovazione. Il grattacielo affacciato su Central Park ha blocchi di terracotta sulle facciate che cambiano colore con i riflessi del sole e secondo i suoi costruttori si ispira “alla storia dell’Art Déco newyorchese”. Un omaggio al passato che si sposa a tecniche e mezzi di costruzione attualissimi, come la microsilice e le ceneri volanti dell’antracite (cfa), utilizzati per rafforzare il cemento. Anche l’acciaio è sottoposto a lavorazioni sempre più sofisticate, mentre la tecnologia degli ascensori li ha resi una sorta di piccole navette spaziali della Nasa.  Le preoccupazioni per la stabilità dei grattacieli in realtà esistono da quando esiste New York e in larghissima parte sono sempre state infondate. Certo, c’è stato nel 1978 il caso della torre Citigroup su Lexington Avenue, avveniristica ed elegante con i suoi sottili pilastri su cui si regge tutto, ma di cui uno studente universitario scoprì la fragilità mentre la studiava per la propria tesi di laurea. Erano stati sbagliati i calcoli strutturali e la società proprietaria del grattacielo lavorò in segreto per mesi per rinforzare i piloni. E ovviamente c’è stato l’impensabile e l’imprevedibile: quei due aerei che nel 2001 furono mandati a schiantarsi contro le Torri Gemelle, facendo fondere le strutture d’acciaio interne e provocandone il crollo. 


L’architetto Adrian Smith ha ammesso che salendo così in alto “potenzialmente si possono incontrare problemi sconosciuti”


Ma sono eccezioni in una storia lunga oltre un secolo e dominata da un desiderio antico come la torre di Babele: quello di andare sempre più in alto, di sfidare il cielo, di costruire moderne cattedrali. E’ un’epopea che si fonde con il concetto stesso di cosa è l’America e che divenne mito con le celebri foto scattate da Lewis Hine agli intrepidi ironworker che negli anni Trenta costruivano l’Empire State Building. Gli operai che si muovevano senza protezioni e senza paura lassù in alto furono un simbolo di riscossa per l’America già in piena Depressione, che cominciò a chiamarli skywalker. Un termine che tra l’altro anni dopo sarebbe diventato curiosamente il nome della famiglia protagonista della saga di Star Wars di George Lucas. 

Tra loro c’erano centinaia di nativi americani, in gran parte membri di una tribù che viveva in una riserva Mohawk nei pressi di Montréal, che erano richiestissimi a New York per l’abilità di scalatori, l’assenza di vertigini e l’apparente sprezzo di ogni pericolo. I discendenti ancora oggi vivono in un paio di quartieri di Brooklyn che sono diventati la loro nuova “riserva” moderna e continuano a scalare il cielo per costruire continuamente Manhattan: c’erano anche loro negli anni scorsi a tirare su la Freedom Tower e l’Oculus, la stazione di Santiago Calatrava costruita a Ground Zero e diventata un nuovo simbolo della città.

 

La vera sintesi di ciò che i grattacieli rappresentano per l’America è probabilmente la celebre foto degli undici operai che pranzano sospesi nel vuoto, seduti su una sottile trave d’acciaio in cima al Rockefeller Center in costruzione (spesso attribuita a Lewis Hine, in realtà realizzata da fotografi assunti dai costruttori per un servizio pubblicitario). Le loro identità sono in buona parte sconosciute, ma tra gli undici ci sono almeno un paio di Mohawk, Peter Rice e Joe Jocks, insieme a operai di origine irlandese e italiana. Nativi e immigrati uniti per costruire la città del futuro, l’essenza del sogno americano.   Smettere di costruire grattacieli o farli sempre uguali e non innovativi equivarrebbe a smettere di costruire New York. E lo stile con cui vengono costruiti riflette le varie epoche della città. Così il Chrysler Building, con le sue guglie Art Déco, è un simbolo della resilienza durante la Depressione, le Torri Gemelle erano l’icona della New York caotica e rampante degli anni Settanta e Ottanta e i palazzi volgari di Donald Trump, con i loro marmi rosa e vetri fumé, raccontano gli anni Novanta e l’inizio del secolo. E anticipavano tante cose dell’America trumpiana. Una sera del 2002, poco tempo dopo l’11 settembre, l’allora “palazzinaro in chief” di New York portò una folla di ospiti (tra cui chi scrive) nella penthouse al 90° piano della sua nuovissima Trump World Tower, in vendita all’epoca per 50 milioni di dollari, e in un’atmosfera da discoteca con la città ai suoi piedi si raccontò come l’uomo che non aveva paura di sfidare le altezze e gli attacchi di Osama bin Laden.

Il simbolo della Manhattan di questi anni Venti potrebbe invece essere il “432 Park Avenue”, il più celebre e discusso dei superslim dell’area della 57esima strada. Disegnato dall’uruguaiano Rafael Viñoly, con i suoi sottilissimi 425 metri è il terzo edificio residenziale più alto al mondo, ha inquilini del calibro di Jennifer Lopez e ha creato scalpore per la sua struttura a griglia continua dove, ogni 12 piani, ci sono due piani aperti al passaggio dell’aria per sfidare i venti. Come per gli altri super grattacieli costruiti negli ultimi anni, il 432 durante la progettazione è stato testato con modellini tridimensionali nelle più sofisticate gallerie del vento in Canada e anche al Marine Institute in Newfoundland, dove di solito si studiano gli effetti delle tempeste marine sulle navi: Viñoly e il suo team hanno provato a simulare come si vive in un salotto a quattrocento metri d’altezza quando soffiano venti che possono dare la sensazione di trovarsi in mezzo all’oceano. 


I lavoratori di una tribù Mohawk, richiestissimi a New York per l’abilità di scalatori, l’assenza di vertigini e l’apparente sprezzo di ogni pericolo


“Il punto chiave, la vera sfida di tutti gli studi sulla sicurezza dei grattacieli è proprio il vento”, spiega al Foglio l’architetto Andrea Maffei, che ha firmato con l’archistar giapponese Arata Isozaki (scomparso pochi giorni fa) la Torre Allianz nel distretto di City Life a Milano. “Anche per la nostra torre, che non raggiunge quelle altezze ma si ferma a 207 metri, abbiamo studiato un secolo di dati del vento a Milano e abbiamo fatto le simulazioni nelle gallerie del vento, comprese quelle canadesi. E’ anche in base a questi studi che abbiamo previsto che ci potessero essere condizioni che potevano dare disagio agli ultimi piani. Per contrastarle – prosegue Maffei – potevamo mettere una grande vasca sul tetto, ma abbiamo preferito la soluzione dei contrafforti, che sono diventati parte del design della Torre Allianz e che spostano ‘l’effetto fondazioni’ su fino all’undicesimo piano, rendendo tutto più stabile. Viñoly invece, viste le caratteristiche del suo edificio, ha scelto una soluzione interessante e innovativa, con i piani vuoti attraverso cui passa il vento”.

Per Maffei i superslim di New York sono edifici belli e figli di intuizioni architettoniche importanti. La semplicità e il rifiuto di “addobbi” delle torri dell’ultimo decennio affondano le radici in concetti come il progetto che Adolf Loos presentò un secolo fa, nel 1922, al concorso per la nuova sede del Chicago Tribune: un grattacielo a forma di gigantesca colonna dorica che lasciò stupefatti. E la griglia del 432 Park Avenue che potrebbe ripetersi all’infinito – un concetto che vale anche per il design della Torre Allianz – secondo l’architetto allievo di Isozaki “fa venire in mente l’idea degli Istogrammi d’architettura di Superstudio”, il movimento di architetti fondato a Firenze nel 1966 da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia.


Per Andrea Maffei, che ha progettato la Torre Allianz, i “superslim” sono edifici belli e figli di intuizioni architettoniche importanti


Alla fine, si torna sempre dalle nostre parti: all’Italia, a Firenze, alle torri di Bologna, a quelle di San Gimignano, alla Torre di Pisa. L’ispirazione è quella, i motivi per cui si sfidano il cielo e i venti sono gli stessi da sempre. La differenza è che a New York, come in Asia, ci sono oggi i soldi e il coraggio di andare sempre più alto. “In Italia – commenta Maffei – non penso ci siano sviluppatori disposti a costruire grattacieli come quelli che stanno venendo su a Manhattan”.

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