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Il ritratto del paese

L'Italia di De Rita, mediocre e depressa. Solo uno choc ci salverà

Francesco Bercic

Nelle interviste al Corriere e a Rep. il fondatore del Censis descrive un paese statico, inalberato nel suo "stato di latenza". La maturazione della società potrà avvenire soltanto attraverso un trauma collettivo

Giuseppe De Rita di anni ne ha 90. Ma il panorama sociale e politico che ha dipinto prima nell'intervista di Massimo Franco sul Corriere del 30 dicembre, poi ieri su Rep., è di una freschezza inaudita, una precisione scandita dal suo charme sprezzante e pungente. Fra i fondatori e ora presidente del Censis, le sue parole restituiscono un'Italia dalla fisionomia inequivocabile: una società che gravita attorno a dei punti fermi dai quali sembra impossibile sfuggire.

C'è una parola su cui De Rita torna spesso, un emblema delle sue analisi sociologiche e di conseguenza politiche: mediocrità. Il paese è “mediocre”, il governo Meloni è “mediocre”, l'opposizione di Conte è “mediocre”, ha detto nelle brevi risposte concesse ai giornalisti. La mediocrità che connota l'Italia è uno stato di sospensione: un “galleggiamento” che “dura da un po’ troppo tempo”. Per chiarirsi, De Rita chiama in causa nientemeno che Sigmund Freud. La mediocrità italiana non sarebbe altro che il famoso “stato di latenza”, descritto nei Tre saggi sulla teoria sessuale. “Ha ossa, carne, cervello, ma non è ancora formato dall’adolescenza, né sfidato dal futuro”. Un'eterna bambina. E come per tutti i bambini, l'infantilismo italiano è anzitutto contraddistinto da una pulsione egocentrica, individualista.

La mediocrità per De Rita potrebbe essere superata infatti solamente con un “obiettivo preciso per il futuro”. Un'ambizione, una speranza che riescano a coinvolgere se non tutta almeno una gran parte della popolazione. Ma proprio qui sorge il problema: perché la società non riesce più a percepire il futuro “come sfida da affrontare collettivamente”. Tutto è solo personale, individuale. Perfino la pandemia, che inizialmente per De Rita avrebbe illuso con la sua capacità terapeutica, è rimasta per l'italiano-medio un “problema che riguarda solo gli altri”.

Già così descritta, la mediocrità individualistica italiana apparirebbe drammatica, sfiduciante. Ma De Rita va oltre. La nostra è in fondo una “stasi depressiva”, ha detto a Rep. Una parte della società è percorsa da brevi fremiti – come la nascita del governo Meloni, ad esempio – ma poi tutto torna come prima. La causa, ancora, è la mancanza di un collante capace di unire realmente la società: “Chi ha votato questo governo non è ideologico, è un popolo variegato che ha scelto sull’onda emotiva dei propri interessi”. Un'emozione tanto intensa quanto infeconda, poiché autoreferenziale, chiusa nella sua stessa esasperazione.

Allora ecco che la mancanza attuale di una “vera” classe dirigente non diventa altro che uno degli effetti più evidenti di questo esacerbante individualismo. “La classe media non è mai diventata borghesia: non ce l’abbiamo fatta. Pasolini lo diceva sempre (...) l’italiano non sarà mai borghese, rimane un piccolo borghese”. La politica si fa invece “con i soggetti collettivi”. Dal pensiero e dal dialogo, l'Italia si è inalberata nelle opinioni: slogan volatili e condannati all'impermanenza. Politica, società, perfino forse gli intellettuali: tutto è evanescente per De Rita. Che dà un nome a questo fenomeno: presentismo.

Come uscirne allora? E' chiaro che, al di là dei suoi giudizi sulla premier Giorgia Meloni, non sarà una singola persona o un singolo governo, almeno nel breve periodo, a rappresentare un'àncora di salvezza. La risposta di De Rita è perentoria: “Senza uno choc, dalla latenza l’Italia non esce”. Quello che probabilmente Freud avrebbe chiamato trauma. La cura del sociologo è eminentemente psicanalitica: una maturazione – l'uscita dallo “stato di latenza”, per parafrasare Kant – cui si arriverà “dal dispiegamento di energie come risposta alla crisi”. Ma secondo De Rita ci vorranno “cinquant’anni” per riuscire a esprimere “un’identità neo-borghese”.

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