Foto di Yuri Gripas, Pool, via Ansa 

Il saggio

Digitale, privacy, proprietà intellettuale: la forma stato davanti alle nuove sfide

Giacinto della Cananea

Il volume di Lorenzo Casini affronta la logica della regolazione pubblica. Dalla tecnologia fino alla sospensione dei brevetti per i vaccini. Può una misura pensata per aiutare finire per nuocere?

Da diversi anni lo stato è al centro di due tendenze apparentemente contraddittorie. Da un lato, molti affermano che esso è recessivo, perché numerose funzioni che prima svolgeva sono state trasferite a organizzazioni intergovernative costituite su base globale (come l’Omc) o regionale (come l’Ue) e nell’èra digitale contano sempre di più le imprese capaci di raggiungere miliardi di persone, come Facebook e Google. Dall’altro lato, come Lorenzo Casini nota nel suo agile volumetto, “Lo Stato (im)mortale” (Mondadori, 156 pp., 14 euro) lo stato resta la comunità politica per eccellenza: non a caso, vi sono tutt’oggi numerosi gruppi sociali – in alcuni casi, popoli, come quello palestinese – che reclamano un proprio stato. Inoltre, è agli apparati statali che ci si rivolge nelle crisi più acute, come la recente pandemia. Anche le organizzazioni regionali e globali ne hanno bisogno per far eseguire le proprie decisioni. Nemmeno le imprese multinazionali dell’èra digitale possono prescinderne, come si è visto quando Mark Zuckerberg è stato chiamato a deporre dinanzi al Senato americano

 

Casini risolve l’apparente contraddizione in modo pragmatico, anziché in chiave distopica. Quel che è in crisi, cioè, non è lo stato, bensì il tipo che si è affermato nella seconda metà del Novecento. Non è una buona notizia, per quanti reputano che una variante di questo tipo di stato, la democrazia liberale, sia preziosa e debba essere preservata. Ma è utile, imprescindibile, per acquisire un’adeguata consapevolezza delle sfide attuali. Tra di esse, sono fondamentali le sfide poste dall’èra digitale, per esempio se sia bene che i parlamenti deliberino mediante le nuove tecnologie e che le amministrazioni pubbliche adottino atti informatici per decidere come distribuire i docenti tra le varie sedi di un plesso scolastico. Contrariamente a quanti profetizzano che le nuove tecnologie siano foriere di sventure, Casini osserva che esse sono di ausilio sia per assumere decisioni che richiedono di tener conto di numerosi dati, sia per consentire ai cittadini e alle loro associazioni di esprimersi su progetti innovativi e infrastrutture. Il problema, quindi, non è nella tecnologia, ma nella scelta dei casi in cui utilizzarla. 

 

È un’interpretazione rassicurante, pur se non ci si può attendere che sopisca tutte le preoccupazioni. Per esempio, possiamo ritenere che i nostri dati personali siano adeguatamente protetti dalle sanzioni inflitte da alcune autorità nazionali alle società multinazionali dell’era digitale? Possiamo sentirci tutelati dal fatto che queste ultime si dotino di uffici per vigilare su alcune decisioni, come quella di sospendere a tempo indeterminato l’account di Donald Trump? D’altra parte, il maggior merito di un saggio è muovere dagli eventi reali, anziché dalle idee ricevute, e metterle in discussione

 

Mercoledì scorso, quando Katherine Tai, responsabile per il commercio estero nel governo Biden, ha reso noto che gli Stati Uniti sono pronti a discutere nella sede della Wto la proposta di sospendere i brevetti dei vaccini anti Covid, vi sono stati subito molti consensi, oltre alla prevedibile opposizione delle aziende farmaceutiche. Per comprendere le prospettive di successo di questa proposta, è importante fare chiarezza su tre punti: non si tratta d’una revoca dei brevetti; il sostegno degli Stati Uniti è cruciale, ma non è sufficiente; è una decisione che presenta vantaggi, ma non è priva di rischi

 

Innanzitutto, non si tratta d’una revoca dei brevetti concernenti i vaccini, bensì d’una sospensione. La proposta che è stata presentata dall’India e dal Sudafrica il 2 ottobre dell’anno scorso all’organo collegiale competente per gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale si basa sul timore che i vaccini non siano disponibili “prontamente, in quantità sufficienti e a prezzi accessibili”, così da poter soddisfare la domanda globale. Di qui la richiesta di raccomandare al Consiglio generale della Wto di sospendere l’applicazione di alcune disposizioni relative proprio alla proprietà intellettuale. La sospensione avrebbe effetto per un periodo di tempo prestabilito, prevedibilmente alcuni anni, finché la maggioranza della popolazione mondiale abbia raggiunto l’immunità al virus.

 

Non è, però, una decisione che possa essere da un pur ampia maggioranza. Gli accordi che hanno istituito la Wto nel 1994 hanno tenuto ferma la necessità del consenso generale. Dunque, né l’esistenza di un buon numero di stati favorevole alla proposta di sospendere i brevetti relativi ai vaccini, cui si aggiunge la mancata opposizione di altri stati, né l’eventuale consenso degli Stati Uniti garantiscono che la proposta verrà adottata se, per esempio, l’Ue si opporrà, come finora ha detto di voler fare, ritenendo prioritari l’eliminazione delle barriere all’esportazione e il miglioramento delle catene di distribuzione dei vaccini. 

 

A questo ostacolo di natura procedurale se ne aggiunge uno di natura sostanziale. Da molti anni, vi sono state sollecitazioni – d’impronta sia liberale, sia collettivista – alla lotta contro la proprietà intellettuale. Esse sono state rivolte soprattutto alla grande industria farmaceutica: per la sua struttura oligopolistica e per il concreto pericolo che numerosi paesi non abbiano accesso a farmaci di primaria importanza. In occasione della pandemia, le sollecitazioni si sono fatte più intense, per via delle enormi difficoltà incontrate da paesi come l’India, dove pure i vaccini sono prodotti.

 

Tuttavia, malgrado i buoni intenti della proposta di sospendere i brevetti, la limitazione dei diritti esclusivi di cui le imprese farmaceutiche godono e il raggiungimento dell’immunità al virus per la maggior parte della popolazione mondiale non coincidono: la prima può negare il secondo, specie se viene meno l’incentivo a investire nella ricerca, a sperimentare nuovi vaccini per fronteggiare le varianti del virus. Il rischio, come Mandeville segnalò già nel Settecento, nella favola delle api, è che una misura volta al bene finisca per nuocere. Ci si può chiedere, allora, se non sia meglio collocare la possibilità d’una sospensione dei brevetti all’interno d’una strategia politica globale diretta a incoraggiare la stipulazione di accordi tra i paesi più bisognosi e i produttori che non sono tenuti ad acconsentirvi, che fanno di tutto per sottrarvisi. Non è, in fondo, la logica della regolazione pubblica?

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