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C'è un motivo se è la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani

Sergio Belardinelli

Il clima da “grande disillusione” non dipende solamente dalla pandemia, dalla guerra, dalla crisi energetica, dall’inflazione. Il rapporto del Censis e lo spirito del Natale che si è perso

Una volta i tempi della città erano scanditi dai tempi liturgici. Erano i tempi della Chiesa, il tempo ordinario e i cosiddetti tempi “forti”, che segnavano i tempi della vita civile, i giorni feriali e quelli di festa. Ma oggi non è più così. Le feste religiose vengono festeggiate ormai come se la religione non esistesse. Nessuna sorpresa, quindi, se, un po’ dappertutto, abbiamo visto accendersi le luminarie natalizie ben prima dell’inizio dell’Avvento e se in televisione già a novembre hanno incominciato a trasmettere i soliti film sul Natale. Una pervasiva mestizia piena di buoni sentimenti, ma nessun cenno a Dio che in Gesù si fa uno di noi: forse una gioia troppo forte per le nostre menti rammollite. Meglio non farsi illusioni. Come ci dice anche l’ultimo rapporto del Censis, “è la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani”. “Non siamo più disposti a fare sacrifici”, siamo alla spasmodica ricerca di “immunizzazioni dai rischi”, sprofondati quasi in un clima da “grande disillusione”, tutte parole dello stesso rapporto Censis, che non soltanto indicano la distanza degli italiani dallo spirito del Natale, ma inducono prepotentemente una domanda: davvero siamo ridotti così? E, se sì, come è stato possibile?

 

Molto dipenderà sicuramente dalla pandemia, dalla guerra, dalla crisi energetica, dall’inflazione, che di certo non sono piccolezze, né possiamo dire che siano imputabili a noi. Ma non può essere soltanto questo. In realtà penso che ci abbiamo messo anche del nostro; abbiamo essiccato soprattutto la speranza che qualcosa di veramente nuovo possa fare irruzione nella nostra vita sottraendola al suo torpore: esattamente quello spirito che conferisce al Natale la sua strabiliante lucentezza e a noi uomini la forza per affrontare qualsiasi difficoltà. Non a caso, in Italia più che altrove, manca la vera materia prima per poter festeggiare e comprendere tutto questo; mancano i bambini. Sono loro la vera “lieta novella” nella quale si radica la fiducia nel futuro di un paese. Ma di bambini in Italia ne nascono sempre meno. Di conseguenza nelle nostre case e nelle nostre città vediamo tante luci, dietro le quali, però, non c’è più nessuna luce. Un’atmosfera che fa sentire, non la trepidazione di chi non vede l’ora di arrivare a una festa, ma la malinconia di chi arriva quando la festa è già finita e da consumare non gli restano che gli avanzi.

 

Qualcuno a questo punto dirà che queste sono soltanto storie. Anche il Censis ci dice in fondo che “i grandi miti proiettivi non funzionano più”. In attesa dunque che da qualche parte (ma dove?) si trovino le risorse per uscire dallo “stato di latenza” in cui galleggiamo, e riproporre “l’esigenza, fin qui sopita, di ritornare a sperimentare innovazione istituzionale, di ritrovare il gusto e il coraggio dell’inquietudine, di rilanciare una nuova fase dei meccanismi decisionali” (quanto ne avremmo bisogno!); in attesa di tutto questo, ben venga l’anticipo delle luminarie natalizie e ben vengano i buoni sentimenti che traboccano dai vari canali televisivi. Alla peggio serviranno a tirarci un po’ su il morale e magari a farci spendere qualche soldo in più. Sempre meglio di niente. 

 

Ma poi, per fortuna, la vita continua a riservarci le sue sorprese. Qualche giorno fa, di fronte a un presepe come ce ne sono tanti nelle nostre chiese, mio nipote di quattro anni mi ha domandato perché Gesù bambino fosse nudo. Era preoccupato che sentisse freddo. E questa sua preoccupazione mi ha fatto apparire il presepe che stavamo guardando sotto un’altra luce. Niente di sconvolgente, per carità. Solo che a me che cercavo di spiegargli che cosa significassero la capanna, i pastori e tutto il resto la sollecitudine che traboccava da quella domanda ha dato come uno scossone, facendo irrompere prepotentemente l’altra faccia della stessa storia: chi è nudo va vestito, a chi ha fame bisogna dare da mangiare, chi per qualsiasi motivo piange va consolato. 

 

Non si trattava soltanto della tenerezza e del candore che sempre i bambini proiettano su ciò che guardano, ma di un’autentica, spontanea determinazione ad intervenire che forse conteneva anche un implicito rimprovero: mi porti a vedere un neonato in una mangiatoia che non so neanche chi sia e non ti accorgi che è nudo? Evidentemente è per questo che Gesù ci esorta a diventare come bambini. E’ grazie a loro che il mondo può essere guardato con  altri occhi, con fiducia, verrebbe quasi da dire con benevolenza. Anche e soprattutto quel mondo che, vecchio e malinconico, accende le luci natalizie e accatasta i pupetti del presepio sulle bancarelle dei mercatini molto prima del tempo.

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