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Più speranza che ottimismo. L'Italia post populista vista dal Censis

Stefano Cingolani

“L’uno vale uno” si è evoluto e il paese attende un ritorno della politica, dice l’istituto di ricerca. Così la società italiana “entra nel ciclo del post populismo”

La società italiana “entra nel ciclo del post populismo” e riscopre la politica. Solo che “oggi la politica non ha un suo stile e li usa tutti; vede prospettive oscillare, tessuti lacerarsi, aspettative disattese e preoccupazioni crescenti, e ancora non affronta se e come diventare una sede proponente di sintesi e di convergenza sociale”. Fra le tante riforme necessarie, dunque, forse la più importante è quella che non appare nell’elenco del Pnrr, cioè la riforma della politica. Il Censis varca il confine e non s’accontenta di auscultare i movimenti della società con l’orecchio da scout indiano. Racconta il cambio di fase, sottolineando che “il nostro paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce, grazie allo sforzo e al rischio individuale, e non matura”, come è scritto nelle considerazioni introduttive. L’anno scorso l’istituto di ricerca fondato nel 1964 da Giuseppe De Rita aveva visto una società caduta nella trappola dei no, a cominciare dai No vax, una minoranza rumorosa e aggressiva era riuscita a egemonizzare i mass media e a influire sul dibattito politico e sugli umori dell’opinione pubblica.

    

Oggi l’Italia “vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di adattamento, funzionamento, mappatura della realtà e dei bisogni. Nell’urgenza di dare risposte, tutto si giustifica e in qualche modo tutto si tiene: ogni bonus, sussidio, promessa, intervento ha avuto le sue ragioni. Resta la realtà che l’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto”. Nonostante ciò, “non sembra sull’orlo di una crisi di nervi, segnata da diffuse espressioni di rabbia e da gravi tensioni sociali. Prevale piuttosto la voglia di essere se stessi, con i propri limiti. Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici”. Alle vulnerabilità di lungo periodo, si aggiungono “gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica. E la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili, sei italiani su dieci temono una guerra mondiale innescata dal conflitto in Ucraina. “Da questo quadro emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità che non sono più liquidabili semplicisticamente come populiste, come fossero aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico”.

    

Se questo è vero, allora per il Censis il populismo non è stato liquidato per davvero, ma viene piuttosto assorbito da questa politica del giorno per giorno. Lo slogan “uno vale uno” ha lasciato il posto alla competenza degli scienziati, degli strateghi militari, degli economisti dell’energia a cui, a loro volta, sembra essere richiesto di cedere il passo, di nuovo, alla politica. Non per ridare vigore al processo di sviluppo o a vie d’uscita dalla spirale del declino dell’economia e della struttura sociale, piuttosto per offrire la sicurezza che, grazie alla politica, i problemi sul tappeto di ciascuno saranno presto rimossi”.

  

Con uno slancio di speranza più che di ottimismo, il Censis guarda alla risposta alla crisi della globalizzazione, “un riposizionamento latente” definito “il friendshoring all’italiana”. Le imprese si muovono a cominciare dalla manifattura, ma “non funziona più il solo far da sé”. E se lo dice il Censis, convinto da sempre che la società sia un fiume che scorre, bisogna proprio dargli retta. “Un po’ di sommerso e un po’ di evidente, un po’ di sociale e un  po’ di politico, una dose di furbizia con una di cinismo, una di fantasia per arrangiarsi e una di innovazione tecnologica e organizzativa per uscire dalla crisi, un po’ d’istinto e un po’ di competenza”: tutto questo non basta a colmare le esigenze di “una società senza”, cioè territori senza coesione sociale, scuola senza studenti, sanità senza medici. Riemerge quel dualismo tra l’Italia che produce in grado di rimettersi in cammino e l’Italia che amministra, quella dei servizi, o della mano pubblica che accumula vuoti incolmati e alla lunga incolmabili; questa Italia tende ad affidarsi sempre più a una politica che “nella prospettiva di rassicurazione a breve, perde di vista il medio e lungo periodo”, una politica che “si risolve in dibattiti di corto respiro”. Nel rapporto sul 2022, anche il Censis si posiziona in questo nuovo ciclo, non solo con lo sguardo lungo che fa parte della sua tradizione, ma aguzzando l’occhio sulle scelte del primo governo apertamente conservatore nella storia del Dopoguerra.

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