Foto: Ansa/Pasquale Bove

l'intervista

“Il Covid ha solo smascherato la fragilità del sistema-scuola italiano”. Parla Giorgio De Rita (Censis)

Mario Leone

Dal calo demografico ai mancati investimenti nelle strutture e nei percorsi di formazione, passando per i temi caldi delle proteste in piazza. L'opinione del segretario generale del Censis

Gli antichi navigatori, prima di mettersi in mare, immaginavano il loro viaggio, le possibili tappe e gli eventuali pericoli. Quello che oggi manca ai nostri giovani è questa capacità di guardare al futuro”. Parole di Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, da sempre attento alle problematiche legate al mondo dell’educazione. Con lui facciamo il punto su questi due anni di pandemia, anche alla luce delle proteste che lungo l’Italia stanno unendo gli studenti delle scuole secondarie.

“I problemi della scuola italiana – osserva De Rita – erano sotto gli occhi di tutti già prima dello scoppio della pandemia: il Covid ha solo smascherato una fragilità strutturale che ora non può essere più negata”. Il segretario del Censis è puntuale nell’elencare le criticità e lo fa partendo da un dato poco considerato quando si parla di scuola. “Negli ultimi cinque anni abbiamo perso il 4 per cento degli studenti, oltre 280 mila ragazzi in meno. Un sistema che si sta restringendo senza che nessuno ponga in essere azioni per contenerlo. Si riduce anche la presenza degli stranieri che per anni hanno compensato questa contrazione. I dati demografici ci dicono che il fenomeno si amplificherà: attualmente la media è di un figlio per ogni donna fertile. Cinquant’anni fa erano invece tre per ogni donna. Nessuno sta riflettendo sulla gravità di questi numeri”.

Il rapporto 2021 del Censis, pubblicato lo scorso dicembre, svela con sincera crudeltà l’aumento progressivo delle disuguaglianze a livello territoriale, sociale ed economico. “I dati Invalsi – continua De Rita – ci dicono che le differenze nel numero di studenti che non raggiungono le competenze minime in italiano e matematica è molto più alto al sud che al nord ed è molto più alto in condizioni socio-economiche disagiate. I dati peggiorano per alcuni percorsi della scuola superiore, come nei professionali”.

La scuola non crea le condizioni affinché possa scattare quell’ascensore sociale per chi parte da situazioni di svantaggio: “L’80 per cento della popolazione ritiene che l’investimento sui giovani non determinerà un miglioramento reale delle loro condizioni di vita”. Proprio il futuro è uno dei temi cari al nostro interlocutore che riparte da un dato significativo. “Il 65 per cento dei presidi di scuola secondaria superiore descrive gli studenti come sospesi verso un futuro che non riescono a immaginare, privi di un’idea professionale. Un buio nella dimensione personale che coincide con una mancanza di prospettiva della società”.

La descrizione fa sorgere due domande. La prima, fondamentale, è se i nostri figli vivono in un mondo che ha perso “il senso” delle cose. “Assolutamente – conferma De Rita – i ragazzi si chiedono perché dovrebbero mai studiare, pensare al futuro, non hanno ragioni. I ragazzi si sentono traditi da una società che alle parole non hai quasi mai fatto seguire i fatti, questa è una responsabilità di tutta la classe dirigente”.

Sembra questo il motivo che aggrega gli studenti italiani in piazza con manifestazioni che stanno raggiungendo punte di tensione preoccupanti. “I giovani ora pretendono una giustizia intergenerazionale. Finora l’attenzione è stata rivolta ai fragili, gli anziani, ora tocca a loro. Non è possibile continuare a immaginare una società di vecchi. I giovani vogliono più spazio, chiedono di essere al centro dell’attenzione di tutti”.

Chiediamo un riscontro anche sulle recenti proteste dei giovani sulla scuola. “E’ una questione complessa. Sicuramente protestano contro una scuola che non ha saputo adeguarsi ai tempi e accettare, a tutti i livelli, la sfida della digitalizzazione e dell’innovazione. Questa sfida non è pensabile attuarla in strutture obsolete, inagibili e per la maggior parte fuori norma”.

E la maturità e l’alternanza scuola-lavoro? “Questo è un altro discorso – dice il segretario – la maturità va ripensata ma gli scritti sono ancora una componente fondamentale del nostro percorso scolastico e un prerequisito fondamentale per poter entrare nel mondo del lavoro. Lo stesso vale per l’alternanza scuola-lavoro, un’esperienza umana e lavorativa che permette di confrontarsi con il mondo. E’ un progetto importante che deve essere potenziato, riqualificato, ma che resta imprescindibile”.

Avviandoci alla conclusione del nostro discorso, ritorniamo al problema “di senso” che De Rita accennava all’inizio. “La domanda di senso pone il tema della responsabilità degli adulti e della società tutta. Siamo realmente disponibili a offrire una prospettiva, investendo fattivamente anche sulla scuola?”

E il Giorgio De Rita padre, che preoccupazioni ha per i propri figli? “Ne ho tre – ci dice – e ho le stesse ansie che hanno tutti i genitori, quelle di cui ho parlato: se non immagini il futuro, se non sai vedere oltre e guardarti oltre, finisci per essere schiacciato su te stesso. Mi preoccupa vedere giovani che vivono appiattiti sul presente, in una società dove tutto si gioca sull’immediato, come se non ci fosse mai un domani a cui guardare e da costruire”.


Questa intervista è disponibile su “La classe non è acqua”, la newsletter del Foglio dedicata alla scuola