Foto di LaPresse 

Le terre del disamore

Da Ilary a JLo. Come sopravvivere sospesi tra matrimonio e divorzio

Ginevra Leganza

Complicità e distacco, sesso a contratto e corna palliative. Esempi illustri, dalle glorie italiane anni '90 a quelle internazionali. La società del disamore

Passa il vento e ti cambia di sentimento. Il desiderio si spegne e il divorzio, per quanto breve, costa caro. Una cosa è l’amore, un’altra è il matrimonio dove la passione, se solo perdurasse oltre la luna di miele, sarebbe solo per inciampo. 
Allora si pensano mille modi per non levar via le tende. Disillusi quanto si vuole, ma pur sempre contubernali. Con amanti, patti, figli, fughe… Le vie di sopravvivenza sono infinite. E qualche volta, a dire il vero, neppure così tristi. 

 

Indissolubilità e libertà, paradosso dei paradossi. Sono ingredienti dei legami eterni, infiniti, ma solo in forza di un sano realismo

 

Poco tempo fa Giovanni Minoli e Matilde Bernabei raccontavano a Candida Morvillo, sul Corriere, delle loro quasi nozze d’oro (sono sposati dal ’74) e di come l’eternità – in tutti questi anni – si sia saldata al libertinaggio. Il loro matrimonio è una terra di mezzo ancien régime. Una landa affollata fra l’Altare e le innocenti evasioni. I due vivono oggi in case quasi comunicanti nel centro di Roma. Due tetti, sì, ma una compiuta intesa. “Hai sentito che ho detto che, adesso (dopo 48 anni, ndr), ti risposerei?”, chiede Minoli alla sua Émilie du Châtelet. E siamo ben oltre la modestia dei due cuori e una capanna. Piuttosto, un unico cuore e due camere separate. Sono divisi. Ma in simbiosi. Separati in case, potrebbe dirsi. E invece è una fusione perfetta. Temperata da girotondi di scappatelle. Indissolubilità e libertà, dunque, paradosso dei paradossi. Come paradossali sono i componenti dei legami lunghi. Complicità e distacco, cura e noncuranza. Ingredienti dei legami eterni, infiniti, ma solo in forza di un sano realismo. E di una sana intesa.

 

Altri mondi per noi regrediti idealisti che pensavamo lui fosse solo nostro. E credevamo che lei, col suo sì, acconsentisse a una lobotomia. Questi altri sono i racconti della porta accanto, direte. Ed è proprio così. Non possono essere gli spiritosi marchesi Minoli-Bernabei: sono le Ilary e i Totti a lasciarsi per delle Noemi. Le quali Noemi sono repliche delle Ilary ma con sette anni in meno. A conferma del fatto che un idealista si innamora di un tipo, non di un individuo. In fondo sceglie sempre lo stesso uomo, ama sempre la stessa donna (purché resti giovane). Tronca di netto con quel ferro vecchio che ha sposato. E non pensa che nel compromesso di chi resta insieme, a volte, spirano venti di carezze. Sotto un velario di monotonia, possono nascondersi dolcissimi accordi. 

 

Tra i fatti più ovvi, quando nel letto si tratta poco o niente, succede che al cancello coniugale bussino attesi ospiti. E dietro ogni ospite, sappiamo, può nascondersi il dio. Nell’impalpabile momento di svolta arrivano i salvatori involontari chiamati amanti. Guerrieri sacri, diceva il Filosofo. Soci di minoranza delle società a responsabilità esasperate che sono appunto i matrimoni. Sino al secolo scorso erano loro i veri pilastri di molte unioni. I triangoli all’italiana, da Vittorio De Sica a Eugenio Scalfari, testimoniavano di mariti solidi ma scissi in due case. Dal cicisbeismo alla commedia all’italiana, l’amante sapeva essere il perno della terra di mezzo. Concetti difficili per questo nostro tempo che ci scopre vecchi dentro. E come i vecchi pure un po’ rimbambiti. Immocciositi. Incapricciati. E ci trova gridare, al primo accenno di evasione, alla biblica fornicatio. 

 

Ma chi non ha perso di saggezza dichiara “coppia aperta”. Nei mesi scorsi, con lo schiaffo al comico Chris Rock durante la premiazione degli Oscar, si godeva di un Will Smith scatenato. La sberla faceva da scudo alla moglie e madre dei suoi figli Jada Pinkett, sposata nel ’97. Ed ecco che basta un gesto per consacrarti alla follia. Anche se sembravi capotribù degli amanti pacati. “Siamo una coppia aperta”, diceva l’attore, “il nostro segreto è la libertà”. Lui che cercava la felicità nel film di Gabriele Muccino, sapeva ritrovarla poi nel suo matrimonio, definito appunto “non convenzionale”. Gran parte della relazione Pinkett-Smith, rivelavano i due, era stata monogama. Ma senza che mai nessuno intendesse la monogamia come paradiso dell’al di qua. O pensasse alla fedeltà come a un obolo per transitare nella terra promessa di un “per sempre”. Perché la fedeltà conta solo se è spontanea e l’eternità non è una promessa ma un compromesso. E se c’è una terra da colonizzare in due non è quella del mondo che verrà. Ma è la terra delle miserie nascoste e condonate. Sopra un’isola che già c’è... 

 

Si scrive coppia aperta ma si legge “corna”. Anche loro sono stigma di grazia. Sono come i libri che ci si mette in testa per migliorare nel portamento

 

E insomma, si scrive coppia aperta ma si legge “corna”. E si capisce che accettarle è comunque viatico d’amore eterno. Perché anche loro sono stigma di grazia. Le corna sono un po’ come i libri che, camminando, ci si mette in testa per migliorare nel portamento. Saperle portare forgia il carattere. Ingentilisce l’anima. 
Ma quello della sopravvivenza in due più che un’isola è un arcipelago. L’osservatorio capta un altro escamotage per stare insieme. Jennifer Lopez e Ben Affleck si erano tanto amati, si erano poi lasciati per figliare con altri. E infine ritrovati in primavera, dopo diciott’anni. Maturi e stagionati. All’indomani di un raro diamante verde, la giunonica JLo aveva comunque puntato i piedi, ponendo gli argini alla sua terra di mezzo. Va bene l’anello da principessa, ma la corona di corna anche no. Così chiedeva alla sua remissiva metà un certo numero di erezioni a comando.

 

Coiti programmati per sventare l’adulterio. In ambito d’accordo prematrimoniale, ricorderete, si pattuivano almeno quattro amplessi a settimana. Il povero Ben sottomesso alla matriarca, che per mondarsi l’anima consentiva poi a portare il cognome del marito, sconcertando le femministe del New York Times. Ignare del fatto che più che promessi si è sempre compromessi sposi… Nello spazio di un “sì”, secondo costoro, la liberal Lopez regrediva a Lopez in Affleck. Dall’andarsene a zonzo col didietro emancipato e gioioso, esibito sui palcoscenici di tutto il mondo, si condannava a un fallocratico declino.

 

Tra Ben Affleck e Jennifer Lopez quello che non viene inteso è che più che nel cognome del maschio, il machismo è nelle copule imposte dalla femmina

 

Insomma, da sacerdotessa del culo a fallofora patriarcale. Quello che non veniva inteso, però, è che più che nel cognome del maschio il machismo vero è nelle copule imposte dalla femmina. Machismo introiettato, direbbero le ragazze se leggessero il Manifesto femminista di Mary Wollstonecraft (madre dell’omonima MW aka Mary Shelley, meglio conosciuta col cognome del romanticone consorte. Ahia). La filosofa, nel 1792, raccomandava alle mogli di maturare virtù maschili per esser pari. Vigore studio e raziocinio, diceva, in luogo della seduzione quale sola scialuppa di salvataggio. E vabbè. Altri illuminati tempi se alle femministe d’oggi bisogna spiegar proprio tutto, con le newyorktimer che vanno in fissa.

 

Col cognome del maschio la moglie sarebbe ancella del patriarcato, scrivono. E dunque che importa se per JLo (o JAff) la moglie conta solo se penetrata… Ora, al di là del fatto che il fallo ha una volontà tutta sua e non si accende con un pulsante (sia pure pulsante l’emancipato e gioioso culo di Mrs Affleck – ecco, bisogna spiegare tutto), si capisce, fra coppie aperte e coiti deterrenti, che il matrimonio è un principato da governare con astuzia e Realpolitik. Jennifer riterrà astuto il menu settimanale senza considerare quanto stanchi mangiare sempre alla stessa ora e sempre la stessa pasta. Ma il senso dell’operazione è evidente: patti chiari e nozze lunghe. Perché l’eternità è sabbia se non c’è logica intesa. E non è materia di sogni l’amore eterno. Men che meno di sogni erotici. 

 

Da sempre è nota l’inaffidabilità dello spirito venereo. Lo diceva l’avvocato Lisia al giovane Fedro: con gli erotomani pazzi d’amore è meglio non trattare mai. Figuriamoci sposarsi. E infatti da quando non ci si sposa che per amore il mondo è pieno di passioni tristi. I coniugi spenti li scopri subito. Boicottano la vita dell’altro al punto di non vivere più neanche loro. O in alternativa si adattano all’esilio sulle isole venute su nel mar morto dei sentimenti. Sono appunto i naufraghi di un eros sfaticato. 
I sogni erotici sono i fiori della festa, col profumo che infonde la follia necessaria per dir di sì a uno e dimenticare il no detto agli altri. Il no detto a tutti gli altri. Quel no urlato al mondo intero. E senza l’eros è difficile impazzire al punto di un “per sempre”, per carità. Ma il profumo dei fiori erotici svanisce. E questi avvizziscono, trascurati sullo stelo, ancor prima di giungere a maturazione. Ed è qui che arrivano gli amanti, i patti, i figli, le fughe… 

 

I primi sono quelli che fanno beneficenza. Sono i precari che tengono in piedi una baracca altrimenti zeppa di rancore. E come tutti gli scontrattati finisce che lavorano più degli altri: amano meglio e con poche pretese. Ma tra i salvatori involontari delle terre di mezzo ci sono anche quelli che di pretese esondano. Perché l’amore può essere precario o garantito. Ma pure incondizionato. 
Accanto alle creature eccitanti, spuntano poi degli gnomi a tirare le gonne di mamma e papà. I figli non sanno che la loro stessa invadenza è un amaro toccasana. Amaro, certo, come tutte le medicine. Eppure efficace. Dove la trovate l’energia di lasciarvi finché il pargolo frigna e voi, gente moderna, non riuscite a non mettergli il mondo in mano?

 

Danze, piscine, scambi interculturali a sei anni, violini e pianoforti ché se no poi come vi diventa Beethoven. E con quale coraggio gli arrecate quel dispiacere una volta che ha messo su le antenne? Il figlio è l’ultima parola di ogni vostra crisi. In fondo basta fare quel passo di mettere lui al primo posto per scongiurare l’abbandono. I figli sono “tutto quel che abbiamo costruito”. “Io e Paolo [Bonolis] saremo sempre una coppia. Abbiamo tre figli insieme”, dice Sonia Bruganelli, con la forza del sangue a spazzar via la morale del cuore.

 

I genitori che crollano, invece, l’agghindano bene: non siamo più marito e moglie ma saremo sempre mamma e papà. La strada dell’egoismo mieloso, dei non-più-coniugi-ma-sempre-genitori, è comunque lastricata di buone intenzioni. I divorziandi non sono mai, come spesso crediamo, raziocinanti. Sono piuttosto dei romantici, incapaci di azzittire gli egoismi del cuore. Non ce la fanno. Neppure davanti ai figli. Ma sono i ragazzi di oggi. Fosse il nostro presente un po’ più razionale, penserebbero anche loro che l’istituzione vale più di chi la rappresenta. Fossimo tutti un po’ meno hollywoodiani, lo sapremmo che il matrimonio vale più degli sposi (anche se i nostri sposi sono ormai muse di nausea e bestemmia).

 

La natura del compromesso, un viaggio di là dai confini dell’io. Che è odioso, e figurarsi quanto lo diventa se trasformato in un “noi” che poi scuoce

 

Sapremmo poi che i figli non sono peluche da spupazzare ma prove carnali di una parola data. Ad ogni modo, basta davvero metterli al primo posto per fare un passo indietro. E chiudere il becco ai nostri cuori manichei che vogliono a tutti i costi o tutto o niente. Pretendono la passione e se poi questa passa val bene il nulla di un addio. 
Insomma, si resiste solo scendendo a patti con la vita. Sia fatta essa di amanti, figli, doveri d’alcova… 
Quale che sia la natura del compromesso, comunque, il senso è sempre quello di una fuga. Un viaggio di là dai confini dell’io. Che già di suo è parecchio odioso. E figurarsi quanto lo diventa se trasformato in un “noi” che poi si scuoce.

 

Allora esiste solo la distrazione. Lo sanno quelli che viaggiano soli, e a turno lasciano coniugi e figli a casa. Per traversate atlantiche o fughe dietro l’angolo. “Sono stata via un giorno. Ho passeggiato per i negozi di un immenso outlet. Ma ho comprato pochissimo. Volevo solo allontanarmi da casa, non sentirmi chiedere: oggi che mangiamo, oggi dove andiamo”. Così dice un’amica. “Anche se alla fine l’ho sentito”, conclude, “tornata in albergo, l’ho videochiamato…”. Reticente, maliziosa. A conferma che la fuga è forse il miglior modo per rianimare l’appetito. 

 

Quando la carne è stanca, tutta la scelta è in un bivio. C’è chi s’insedia in terre di mezzo (con figli, amanti, fughe del momento e quant’altri artifici l’astuzia inventi). E poi ci sono i tormentati nel nomadismo. Le Ilary, i Totti. Le terre promesse di nome Noemi. Uomini e donne alla ricerca di mondi nuovi. Dannati di un altro “per sempre” che è sempre un po’ più in là, irraggiungibile. In un’eternità destinata a cambiare nome in un cerchio di passioni intermittenti. Perché il momento in cui da due si torna a esser due arriva. Presto o tardi. E non fa sconti a nessuno, neppure alle terre promesse. Ma a tutto c’è rimedio. E persino l’amore perduto può essere dimenticato. O sostituito. O, perché no, magari affogato nel liquido amniotico di un centro commerciale dove d’improvviso, come per magia, s’ode il fruscio di un vecchio disco. Come da un grammofono: “Que reste-t-il de nos amours…”.

Di più su questi argomenti: