Comprerà Twitter sì o no? I valzer di Musk

Ginevra Leganza

Nell’attesa, le vestali woke impazziscono. Il campione della libertà di parola minaccia i loro piani di censura

Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro del Muskismo. Elon Musk, uomo più ricco della Terra, padre di Tesla, Neuralink e SpaceX, era sul punto di sedurre Twitter. L’accordo di acquisizione si sarebbe concluso entro l’anno. Così, dopo l’auto elettrica e i razzi aerospaziali, dopo le interfacce neurali, sarebbe venuto il tempo di un’alba nuova. Tutto è stato sospeso, però, dopo che Musk ha chiesto l’assicurazione che i profili falsi – i “bot” – fossero sotto la soglia del 5 per cento. Ma il suo spettro eccita ancora la caccia alle streghe. Specialmente dopo l’ultima bastonata: d’ora in avanti il ceo voterà repubblicano. 

 
E’ chiaro che, per Elon, è ancora vivo il sogno di portare al consesso umano il fuoco del verbo libero: bisogna strappare il social alle mordacchie della censura. L’accordo per l’acquisizione conta 44 miliardi di dollari. Ma la libertà non è dei robot. Ed è vana se non ci metti la faccia.

 
All’indomani di quel primo accordo, tutte le potenze del vecchio progressismo – Joe Biden, la Ocasio-Cortez, Carola Rackete e persino un periferico Severgnini, cosmopoliti cancellisti e poliziotti de’ noantri – si alleavano in una santa caccia spietata contro questo spettro. Chi, tra voi lettori, in questo mese, non si è imbattuto in un tweet contenente l’hashtag #Musk? E chi, pur assente da Twitter, non ha incrociato per strada, al bar, nella chat di lavoro Whatsapp, un pronto commentatore della muskiana operazione “free speech”? Il Muskismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze. Ed è tempo per i muskisti di esporre apertamente al mondo il loro modo di vedere, così che all’ossessione dello spettro contrappongano un manifesto del partito.

 
La storia di ogni epoca sinora esistita è storia di svegli e dormienti. Per chi è sveglio il mondo è uno e comune, diceva il filosofo Eraclito. E non sarà caso ma destino se oggi i woke – gli svegli, appunto – anelano a un mondo imperturbato. Un mondo uno e comune, con piazze e fori che diventano stagni. I poliziotti del pensiero sveglio accusano gli altri di confondere l’espressione con l’eversione, la libertà di parola con l’offesa. Ed ecco che il web tutto intero va scindendosi in due campi nemici, due grandi blocchi direttamente opposti: wokismo e muskismo. 

 
Il wokismo – giusto un ripassino – è l’attenzione senza requie nei confronti dell’ingiustizia sociale e razziale. Germoglia nei campus statunitensi e cammina di pari passo a Black Lives Matter e Me Too. La parola woke, sinonimo di awake, viene dritta dallo slang afroamericano. In soldoni, woke è l’uomo sveglio che assapora il frutto della conoscenza. E’ colui che smarca il bene dal male. Woke è il sacerdote di un culto esclusivo. Soprattutto, è il carburante della Cancel culture. Di questi tempi, col proliferare di social censori e serie tv gonfie di precetti, il wokismo fagocita chicchessia. Dai fighi agli zotici, nessuno resiste alla sirena del woke. Il suo canto obbliga tutti ad adottare le forme pittoresche del nuovo galateo; mano a mano spinge ai soliti accorgimenti per non ferire. Asterischi e schwa, come minimo, per non incollerire le minoranze. E comunque invita a pensare a lungo prima di postare: c’è sempre il rischio di perire in un “ban”. Il wokismo costringe a una nuova civiltà, a essere vigili e dunque delatori. Esso si crea un mondo a propria immagine e somiglianza. 

 
Ma oggi, sotto le nostre dita che scrollano, si sta compiendo un processo analogo. Fra produzione e scambio, fra intrattenimento e indottrinamento, i dogmi wokisti vacillano. Sono sotto il peso di una nuova e più giovane idea di progresso. Quella vecchia e trafelata del woke assomiglia a uno stregone incapace di dominare le potenze del bene assoluto. Le potenze che lui stesso evocava sceverando il bene dal male. Le armi con cui ha abbattuto la barbarie – parliamo dei social network – si rivoltano contro il woke stesso. Ma il pensiero sveglio non solamente ha fabbricato armi che recano bavagli e guinzagli; ha anche creato l’uomo pronto a spazzarli via. Ha fabbricato un nuovo Prometeo: Mr Musk, appunto. 

 
Emblematico un suo tweet dello scorso aprile. In un riquadro si stendono tre linee temporali con due poli: liberal e conservatori. Sulla prima linea, nel 2008, il pupazzetto Musk è a metà fra centro e sinistra. A distanza di quattro anni, la sinistra si trascina sempre più a sinistra, e il pupazzetto resta spaesato in un centro. La terza linea, corrispondente al 2021, segna il punto di non ritorno. I liberal, ormai vestali del woke, sono piombati in un baratro lontanissimo. E l’omino Musk, pur non schiodatosi di un piede, si stupisce prossimo ai conservatori. La sinistra, nell’arco di un decennio, rimorchia buona parte di centro. E in questo schema giocoso risuona l’assioma dello storico Robert Conquest: “Qualsiasi organizzazione che non sia esplicitamente di destra prima o poi diventa di sinistra”. A Elon Musk è accaduto esattamente il contrario, tanto che in data 18 maggio leggiamo: “In passato ho votato democratico, il partito della gentilezza. Ma i dem sono diventati il partito dell’odio e della divisione. Ora voterò repubblicano”. Ecco che i conservatori esplodono in un “LOL”. Ma non sono i soli a gioire. 

  
Agli albori della rivoluzione muskista, un mese fa, anche Matteo Renzi tradiva una certa esultanza, prendendo appunti per la ventura Leopolda. Rilanciando la vignetta, cinguettava: “E’ polemico, istrionico, imprevedibile, certo. Ma questo tweet interroga la politica della sinistra riformista più di mille convegni. Bisognerebbe parlarne anziché ironizzare”. E il tweet in questione faceva il giro d’Italia anche grazie a lui. Forse che Renzi si senta un Elon in miliardesimi? Del resto, Musk è un archetipo. E’ l’uomo solo, l’individuo magno che rottama il mondo in consunzione. Dal 25 aprile a oggi, in attesa di capire chi la spunterà fra muskisti e wokisti, il guerriero ha sempre chiarito: “Spero che anche i miei peggiori critici rimangano su Twitter”. Da quel giorno qualcuno è andato via. Qualcun altro è restato, stringendo il cappio attorno al libero pensiero. 

 
Siamo sempre ad aprile quando la giovane congresswoman, Alexandria Ocasio-Cortez, si lamenta. E proprio sul social scrive: “Sono stanca di sottolineare l’attuale esplosione di crimini d’odio. Un miliardario egocentrico controlla da solo un’immensa piattaforma di comunicazione e la distorce perché Tucker Carlson e Peter Thiel lo hanno portato a cena, facendolo sentire speciale”. La custode wokista si sfoga. Ma è troppo vicina alla tana del lupo. E infatti Musk con tanto di emoji risponde: “Smettila di provarci. Sono un ragazzo timido”. Il fatto è che mesi prima la Ocasio dava dei frustrati sessuali agli avversari: “Se i repubblicani mi odiano perché non possono uscire con me, semplicemente lo ammettano”. Insomma, la regola del ceo dei ceo è quella del pan per focaccia: chi di sesso ferisce di sesso perisce. Gentile Ocasio, la morta di sesso sei tu, scrive Musk. A riprova dell’evidenza: il wokismo ha costruito un arsenale di accuse che il muskismo gli ritorce contro. La pasionaria, a questo punto, è un diavolo d’ira. “Stavo parlando di Zuckerberg, ma ok”, risponde. E, un attimo dopo, la conversazione scompare. La splendida Ocasio, ridotta a donnetta qualunque, cancella tutto in preda alla stizza. Ma la scusa “Zuckerberg” non regge. Difficile da credere visto che Thiel e Musk sono antichi gemelli, al secolo fondatori di PayPal. Tucker Carlson, invece, è un aperto supporter dell’eventuale svolta libertaria del social. Più precisamente, è un conduttore televisivo conservatore. Anche lui urla “LOL” richiamando l’attenzione su un punto: delle aziende che controllano l’informazione, Twitter è la più piccola… Ma che importa. Basterebbe una provincia canaglia per dissennare i wokisti. 
 

Memorabile, in questo senso, quanto accadde al terzo giorno dalla notizia. Il Nostro twittava: “Presto comprerò la Coca-Cola, per rimetterci dentro la cocaina”. Da qui, un travolgente cinguettio. C’erano i musoni nemici dell’ironia. “La radice dell’acquisizione di Musk non riguarda destra o sinistra. Si tratta del potere bianco. Quell’uomo è stato cresciuto nell’apartheid da un nazionalista bianco. E lui stesso non tollera che ai bianchi sia negato di molestare la gente. E’ questa la sua idea di discorso libero”, a twittare così era Shaun King, attivista del Black Lives Matter. Uno fra i tanti pronti a levare le tende. E ancora: “Miliardari come Musk pagano meno tasse di pompieri, insegnanti, infermieri. Se ci sembra assurdo è perché lo è”: lo scriveva Bonnie Watson Coleman, democratica afroamericana. Insomma, dal “bianco, tu sia maledetto” al “tassa i ricchi” il wokismo era ed è ancora in subbuglio. C’è sempre chi si spertica in moralismi. E ci sono poi gli immoralisti, i muskisti appunto, che rilanciano la battuta sulla cocaina con un tormentone di liste della spesa. Chiedono a Musk di comprare McDonald’s per sistemare le macchine dei gelati, “Game of Thrones” per riscrivere l’ultima stagione, TikTok per cancellarlo in eterno… Lo hanno preso per messia taumaturgo, tanto che lui stesso li riporta al principio di realtà: “Sentite, non faccio miracoli”. 
 

Loro scherzano e gli altri, i wokisti, non sopportano il sogno del Far West. Ed è vero: è questo che i muskisti vorrebbero. L’assolutismo della libertà di parola. E i wokisti confessano, insomma, che per libertà altro non intendono che la lagna inesausta di traumi. Dei loro traumi. Dinanzi ai quali la critica è negata; il dissenso, inibito. Il muskismo non toglie a nessuno la facoltà di lagnarsi dei propri mali. Toglie soltanto la facoltà di valersi di personali malanni per censurare il pensiero altrui. E’ stato obiettato che con l’avvento del verbo libero si diffonderebbero sproloqui ed offese. I cinguettii si muterebbero in urli scimmieschi. Può darsi. Ma l’andazzo inverso a cosa ha portato? Il wokismo toccò l’apice con l’interdizione perpetua di Donald Trump, all’indomani della sua sconfitta elettorale. E Musk lo ha presto detto che Trump dovrebbe essere reintegrato. Wokismo è estromissione, dunque. E non solo. Cosa dire dei subdoli “shadow ban”? Quando sugli invisi alla piattaforma cala un’ombra, i loro contenuti sono invisibili agli occhi della community. E così i loro profili. Ecco, con la guerra di Twitter, si scontrano due visioni del mondo, due estremi opposti: il flusso di parole e la briglia della comare. 
 

La cultura che il muskista deplora è esattamente il processo di trasformazione dell’individuo in comare imbrigliata. Devoto all’Areopagitica di John Milton, il muskista sa che se le acque del pensiero “non fluiscono in perpetua continuità, imputridiscono in uno stagno melmoso di conformismo”. Il prezzo per smuovere l’acqua è alto. E tutto può ancora naufragare. Non solo per volere stesso di Musk, esigente al punto da interpellare la SEC – l’ente federale preposto alla vigilanza della borsa valori e giurato nemico del nostro eroe – per risolvere il big deal del momento, quello dei profili falsi. Ma anche perché, andasse tutto in porto, le grandi compagnie potrebbero ritirare gli investimenti pubblicitari se il social network si mutasse in pianeta delle scimmie. 
 

Intanto già si è progettata una controffensiva woke. Sono tanti i gruppi di pressione che organizzano esodi fintantoché lo spettro muskista alligna sul social. Da Disney a Coca-Cola, in molti sono sotto osservazione: il wokista medio non perdonerebbe loro di foraggiare il nemico. Diversi gruppi della società civile settimane addietro scrivevano: “I vostri brand rischiano di finire associati a una piattaforma che amplificherà l’odio, l’estremismo… I vostri soldi possono finanziare l’ennesimo vanity project di Musk, oppure possono obbligarlo a rispondere delle sue azioni”. Tra i firmatari della missiva c’erano l’organizzazione di difesa della tecnologia Accountable Tech, il gruppo femminista UltraViolet, il Center for Countering Digital Hate e il gruppo per i diritti digitali Free Press. L’invito agli inserzionisti era di subordinare i prossimi accordi alla condotta di Musk sul social: se lo prenderà e lo renderà una terra franca, bisognerà andar via. Nessuna pubblicità se i limiti all’espressione dovessero allentarsi. E lo stesso varrà in caso di riabilitazione dei bannati. In primis, Donald Trump. Insomma, dal girotondo di pressioni e rassicurazioni del CDA agli sponsor, ben si intende il portato del muskismo. Certo la questione “bot” apre un quesito sull’eterna lotta fra svegli e dormienti. Fra Elon e Twitter chi è veramente all’erta? Chi veramente woke? Il social delle buone intenzioni o il Nostro, intento a sgominare i profili non umani? 
Ricapitolando, i muskisti appoggiano ovunque ogni moto di ribellione contro il wokismo e il cancellismo esistente. In tutti questi moti mettono avanti sempre la questione della libertà, sia essa più o meno raffinata. I muskisti lavorano oggi all’intesa sulla libertà di espressione che ci si accorda l’uno l’altro. Sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che il loro scopo non possa essere raggiunto che con l’abbattimento della tirannia delle minoranze ricattatrici. 
 
Tremino pure i wokisti dominanti davanti al “free speech”. I muskisti non hanno nulla da perdere in esso fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare. Muskisti di tutti i social, unitevi! 

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