Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Noi italiani siamo antisociali perché ci manca un'educazione al litigio

Alfonso Berardinelli

La lite interpretata come uno spettacolo e non come uno scambio

A forza di sfogliare e leggere di seguito e a ritroso l’ultimo numero di Vita e Pensiero (marzo-aprile 2021) mi sono ritrovato a perlustrare un edificio di riflessioni sul presente da cui non mi sono deciso a uscire prima di essere arrivato alle ultime tre pagine, dedicate all'arte di litigare. Un’arte difficile e comunque un’arte vera e propria di cui sarebbe utile diventare consapevoli. Autore di questo articolo conclusivo, il più breve nonché il più singolare di tutto il numero, è dovuto a un giovane, Riccardo Zanotti, nato nel 1994, musicista che sta completando i suoi studi a Londra “dove si mantiene lavorando come cameriere in una caffetteria” e che l’anno scorso ha pubblicato da Mondadori un romanzo intitolato Ahia! In effetti Zanotti scrive il suo articolo più nello stile di un narratore che come professore di Scienze umane, raccontando e spiegando che nella band di cui fa parte, bizzarramente chiamata Pinguini Tattici Nucleari, come una birra inglese, si è litigato e si litiga spesso prima di ritrovare, ogni volta, l’equilibrio interno necessario a ogni produttiva collaborazione.

 

La scoperta e la lettura di questo articolo è un vero regalo del caso, perché io stesso avevo appena litigato con la persona che amo e a cui tengo di più e mi stavo giusto chiedendo quale sia il modo migliore di litigare. Andare a lezione da un giovane saggio era per me la cosa più utile e interessante. Zanotti premette subito che i litigi, oltre a essere inevitabili, sono proficui perché servono a far maturare i litiganti. Ma evidentemente si può anche arrivare al traguardo della vita, come spesso succede, senza essere maturati in quest’arte del conflitto di opinioni. Zanotti si riferisce, per fare un solo esempio, a Facebook e YouTube, dove troppi animali feroci da tastiera “o semplici deficienti litigano online per partito preso”.

 

E’ chiaro che non tutte le situazioni e le ragioni per cui si litiga sono uguali. Ma la sostanza della questione è che generalmente “il litigio viene visto come qualcosa di distruttivo che allontana le persone invece che come qualcosa di formativo”. E qui si arriva al punto che credo sia centrale nell’articolo: a noi italiani “manca un’educazione al litigio, quella che nei paesi anglosassoni e in tanti paesi europei è una vera e propria materia scolastica chiamata debate”. Se noi italiani siamo tendenzialmente antisociali e poco collaborativi nonostante le apparenze, è dunque perché ci manca l’educazione al conflitto positivamente affrontato e in definitiva all’arte della dialettica democratica. Dice saggiamente il giovane Zanotti: “Se pensiamo che questa disciplina affonda le sue radici nella disputatio medievale e nella retorica di stampo greco-romano, dovremmo essere noi italiani i primi a salvaguardare e insegnare il modo corretto di litigare. Purtroppo sembra quasi che l’arte del litigio sia spesso lasciata in mano a incompetenti, e pure una querelle a ‘Otto e mezzo’ finisce con l'assomigliare in modo impressionante al dissing tra due rapper: è intrattenimento, non cultura”.

 

Ci siamo. In Italia non abbiamo un teatro serio, ma in prevalenza commedia perché la lite la vediamo come spettacolo e non come scambio: un agonismo in cui vale lo scontro in sé stesso, che soddisfa il sadismo ilare degli spettatori e non favorisce lo sviluppo di acquisizioni collaborative. Ma la vita sociale è bene che non sia teatro comico, né ovviamente tragico, con esiti comunque ugualmente distruttivi. La proposta pratica di Zanotti è creare un social specializzato in discussioni pacatamente dialogiche.

 

Del resto, lo stesso numero di Vita e Pensiero aveva aperto con un articolo intitolato “Un nuovo patto per l’educazione”. La cultura socialmente più utile ha bisogno di dialogo e di un’educazione alla democrazia. E’ la nostra politica che ne ha bisogno. E’ la geopolitica mondiale che non può farne a meno. Il mondo è diventato più piccolo, più stretto e popolato nella sua irreversibile globalità. I contatti e i contagi di ogni tipo sono più numerosi e più veloci: “La pandemia ha reso evidente l’interdipendenza planetaria”, si dice nel primo articolo firmato da Domenico Simeone. E proprio perché è anche necessaria quella che i greci chiamavano “parresìa”, cioè la franchezza e la libertà di parola, per “perseguire una cultura partecipativa e poliedrica e una pedagogia della cooperazione internazionale”, i litigi e i conflitti piccoli e grandi vanno sottoposti a regole responsabili. Far funzionare queste regole è un’arte a cui abbiamo dato il nome di politica, un nome ambivalente da cui ci si aspetta ancora, purtroppo, tutto il bene e tutto il male. Chi fa politica andrebbe educato o rieducato. Aspettiamo dunque il social di Zanotti.


 

Di più su questi argomenti: