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saverio ma giusto

Dimezzate le vendite di alberi e stelle di Natale. Urge un "decreto fiorai"

Saverio Raimondo

Ben tremilaseicento milioni di piante rischiano di rimanere invendute a causa di queste feste a metà. Si potrebbe allora ricollocare tutti quegli abeti, riconvertirli a nuovi usi

Al dramma, ecco aggiungersi la tragedia: non bastava il non sapere che fare a Capodanno, se scarteremo i regali solo dopo averli immersi nel gel igienizzante come gli artificieri che mettono i pacchi che ticchettano nell’acqua, se a Natale potremo fare il cenone con tutta la famiglia neocatecumenale fino alla settima generazione o solo con quattro congiunti seduti all’aperto a -20° di temperatura e a +20 metri di distanza (l’Oms ha già detto di no, “Evitate pranzi e cenoni”; ma io credo si riferissero più alla prevenzione di malattie cardiocircolatorie dovute all’alimentazione ricca di grassi e uvetta che al rischio di contagio da Covid). Non bastava sapere che il vaccino arriverà solo dopo le feste (quindi o per Natale regali un buono della AstraZeneca o tocca inventarsi qualcos’altro), che non si potrà andare a sciare (con conseguente cassa integrazione dei medici assunti in ortopedia e traumatologia nelle località di montagna), che Conte ha detto “Non faremo come Ferragosto, a Natale niente vacanze sulla neve” – ma perché, a Ferragosto chi è andato sulla neve?

 

 

A tutto questo dramma, si aggiunge il tragico dato dei vivai: dimezzate le vendite di alberi e stelle di Natale. Ben tremilaseicento milioni di piante rischiano di rimanere invendute a causa di queste feste a metà, ma il governo non ha annunciato nessun “decreto fiorai” di ristoro al settore che, con il paventato rinvio del Festival di Sanremo, noto anche per le numerose composizioni floreali sul palco dell’Ariston seconde solo a un funerale di stato, rischia il collasso. Che fare? “Non fiori, ma opere di bene”, dice; e invece no, stavolta fiori. Urge ricollocare tutti quegli abeti, riconvertirli a nuovi usi. Dato che però a questo mondo non c’è più niente da fare a parte fronteggiare la pandemia e relativi annessi e connessi, toccherà utilizzarli sul campo. Possono milioni di abeti fare da diga e arginare una terza ondata? Forse sì, potremmo per esempio usare gli alberi più alti come incentivi al distanziamento: al primo assembramento, le forze dell’ordine ne segano uno, che si abbatte così sui trasgressori, disperdendoli.

 

Se un abete è troppo grosso per fare da tampone – anche se gli aghi raschierebbero molto bene le mucose e certe narici in giro sono così grandi e profonde che sembrano buche nell’asfalto di Roma – se l’abete è troppo grosso, dicevo, possiamo sempre usarne i tronchi per fare stecchi da tampone, chissà quanti se ne possono fare già solo con un abete. Peraltro avrebbero anche un buon odore, intenso, vien voglia di inalarlo, ideale per una cosa che ti viene spinta su per il naso. E con gli aghi ci somministriamo il vaccino. Con le grandi foglie rosse delle stelle di Natale invece ci facciamo le mascherine per la prossima ondata; oppure la floriterapia può inventarsi che la celebre pianta possiede proprietà miracolose contro il Covid. Insomma, la natura si riprende i suoi spazi, compresi quelli presidio medico-sanitario.

 

A preoccuparmi di più, semmai, è il muschio: al di fuori del presepio, è inutilizzabile. Nessuno si mangerebbe un’insalata di muschio, salvo voi non siate un alce – ma non credo: di solito le alci non sanno leggere, e anche se sapessero farlo probabilmente non leggerebbero questo giornale. Sappiamo quanto sia raro il muschio: fra deforestazione e cambiamenti climatici, nei boschi è più facile trovare roghi che licheni. E noi quest’anno rischiamo di mandarne sprecate cassette su cassette. Non possiamo permettercelo: a Natale, adotta un muschio.

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