Vodka e rivoluzione post Covid-19

Maurizio Baruffaldi

Dal Pravda Vodka bar al Pravda Drogheria Rivoluzionaria. Enrico Contro, alias Frog, racconta come cambia il bere a Milano con il distanziamento sociale

Mi aspetta con l'occhiale nero seduto a un tavolino che si affaccia sulla Martesana. Enrico Contro, alias Frog, è uno dei più grandi bartender d'Italia, e il più sofisticato pusher di vodka della penisola. Il suo Pravda Vodka Bar Milano, di via Vittadini 6, locale minuscolo e frenetico, è stato una sorta di buco nero che si espandeva, mangiandosi la via. Ha chiuso nel giorno del suo tredicesimo compleanno, il 7 marzo di questo anno Covid-19, per prepararsi a riaprire il 20 settembre con un nuovo progetto, detto Pravda Drogheria Rivoluzionaria. Il tempo di salutarci e Frog mi passa "un cadeau": la maglietta rossa con la scritta lampeggiante Pravda. E prepariamo un cocktail di passato, presente e futuro.

 

 

Hai fatto tredici, non potevi fare di più.

"Ho chiuso perché nel Pravda si stava uno incollato all'altro, e non potevo passare il tempo a fare lo sbirro. È stato tempo di riflessione, e soprattutto ho recuperato il rapporto con la mia famiglia: il mio lockdown è stato bello, posso dirlo, non me ne voglia chi è stato di merda. E al posto di lamentarmi, stare nel tempo morto, ho pensato al dopo. E la cosa nuova, diversa, ha preso forma. Insieme a mia moglie, capace di sopportarmi, e socia del progetto".

 

Frog mi mostra subito il nuovo progetto sullo smartphone, la piantina dello spazio che sarà. I tavoli saranno assemblati, una sorta di arredamento mobile, piccolo banco in fondo. Farà anche servizio Delivery: aperitivo a domicilio, con i blini, punk cake russi.

 

Sarà una drogheria, bel sostantivo, ambiguo e legale, ma cosa ci sarà di rivoluzionario?

"Ci saranno le mie vodka, i miei gin, le mie tequila. Dopo trent'anni di frequentazione, il mio naso e le mie papille possono permettersi di avere una personalissima produzione. E per crearla mi appoggerò all'Antica Distilleria Quaglia. E in più farò anche una produzione di vermouth: con l'organo da profumieri del maestro e mio allievo Oscar Quagliarini, seleziono gli aromi, saranno 8 mie ricette, 100 litri alla volta, che cambierò a secondo delle stagioni. Il vermouth nasce come medicina, liquore da farmacisti, e mi piace l'idea di sceglierlo al posto di una pastiglia. Una percentuale della vendita di questi vermouth andrà in beneficenza, a favore dei bambini autistici. La mia esperienza personale me lo impone".

 

Insomma, liquido e luogo a tua immagine e somiglianza.

"E con i figli piccoli ho capito che dovevo togliermi dalla notte, dopo 30 anni. Chiuderà alle 21. Ma resterà la sua anima notturna. Mi piace l'idea che sia un po' il bar del porto. Il luogo dove a pranzo arrivano i reduci, quelli che lavorano di notte, appena svegli, stonati, con gli occhiali da sole fissi, che hanno un ritmo spostato, e sanno che sono i benvenuti, che qui sono riconosciuti, nessuno li giudica."

 

 

Anche il nostro tavolino vuoto stona, e Frog si alza per andare a scegliere il vino dentro, guardandolo nell'etichetta. Torna dicendo che ha voglia di un 'orange'. Bacche bianche macerate con bucce e lieviti, come i rossi, un processo antico e contadino tornato di moda. Arriva l'arancione, uva Garganega. Dopo il primo, il più bello dei sorsi, imbastiamo il percorso che lo ha portato a essere un brand del bancone.

 

"La prima volta dietro un banco è stato in un bar in Sardegna. Non sapevo fare nulla, ma ci sapevo fare con la gente. Avevo studiato teatro, e trovato il mio palcoscenico. Avevo quello che si dice 'il passo da banco'. E arriva lo Yar, dove ho imparato ad amare irrimediabilmente la Vodka." Quando avevo il fegato giovane e spavaldo mi sono specchiato spesso e volentieri nella trasparenza delle ampolline che riempiva. "Poi ho girato, Sicilia, Spagna, America, divertendomi, perché poi questo mestiere ti fa internazionale, quindi due anni stupendi alla Casa 139, dove ho cementato il mio mondo milanese, con i suoi artisti e animali notturni. C'è stato poi un tentativo fallito di rianimare lo Yar, prima di aprire il mio Snake Eyes. Modo di dire americano che sta per: hai toccato il fondo, adesso puoi risalire. Nel 2007, la Pravda. Verità. Dopo vicissitudini con soci poco chiari. Il nome del locale per me deve rappresentare il momento, la scelta".

 

 

Il passo da banco. Parliamone.

"Tu sei il cliente. Io devo capire se: ti devo ascoltare; se devo lasciarti per i fatti tuoi; se devo farti fare una risata, oppure vuoi parlare della tua donna. È un luogo molto intimo, dove uno filtra, e poi si smolla. Devo rispettarti, e non tradirti. Non mi aspettavo di avere questa predisposizione, perché sono sempre stato molto arido... È una specie di confessionale, dai".

 

Aperto a tutte le religioni, esclusi gli astemi. Il cliente che non sopporti.

"Il saputello, al volo. Che non si lascia consigliare, che vuol far vedere che sa. Perché se uno ha la sua idea di cocktail, io l'assecondo, e gli dò il meglio. Altro insopportabile è quello che ti dice: 'Fai tu!' Troppo vasto. Almeno dammi un umore, cazzo. Se un drink poi ritorna al banco non finito chiedo perché, e non glielo faccio pagare. Ci vuole un minuto a perdere un cliente, e una vita a conquistarlo".

 

La bottiglia esala la sua ultima goccia. Le olive e i tarallini sono stati sgominati. Ordiniamo altro spilucco e un paio di calici. Una bollicina, che sceglie sempre lui. I nostri ruoli sono definiti. Intanto parliamo dei suoi cocktail diventati dei must. Il 'Bruschettino' è stato inserito dalla rivista Mag nel gotha dei barman storici milanesi. Il nome richiama ovvi sapori, avvolti nella base di vodka. E sempre con lei, "che amo perché è pulita, e gli dai la personalità che vuoi", mi racconta 'La carezza della nonna', con bitter alla corteccia di betulla e vermouth rosso, per finire al classicone, la sua 'Vodka Sour', che ha iniziato al liquore nordico almeno un paio di generazioni milanesi. "Io vedo cocktail ovunque: guardo i limoni appesi a un albero e penso subito a un Martini... Il drink deve girarti un bocca. E massaggiarti la testa. E nasce spesso anche da quello che mangio. Mia moglie prepara i saltimbocca alla romana e la salvia mi fa partire l'immaginazione liquida. O la tartare di spada da un amico, mi chiama la polvere di olive taggiasche sul bordo teso del bicchiere. Poi ho le le mie fisse, come il bergamotto, o la dolcezza delle arance naveline. Devo richiamare una sequenza di sapori e persistenze, ne voglio sempre di più".

Lo shaker, strumento del bartender. Come ti piace suonarlo? "Shakerata lunga e secca. Con il boston".

 

Che Milano hai visto dal tuo palco bancone. Facciamo tre step. Dai Novanta.

"Clientela di qualità e popolare. Molto rock'n'roll. Il vaffanculo libero. Poi dopo il duemila la verace dei sottoproletari, quelli del cena, bevuta, droga. Venivano, rispettosi, sentivano l'appartenenza, il ceto sociale. E sono quelli che sono stati inculati dall'ultimo decennio. Quello con clientela da cocktail bar, allenati e belli, portafoglio carico. Omogenea. Professionisti e figli, coi soldi del papà. Io coccolo tutti i clienti, come devo, ma ho un occhio di riguardo quando vedo quello che sta facendo fatica, quella che conosco bene".

 

E ci alziamo. Per andare a mangiarci un pizza.

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