(foto LaPresse) 

Ora pure le star scioperano contro l'odio diffuso da Facebook e per Zuck è un guaio

Michele Masneri

Azioni del colosso social in calo: colpa delle sparatorie di Kenosha e dell'astensione di Kim Kardashian & Company 

Roma. Alla base del calo del titolo Facebook non c’erano, come si pensava, la possibile apertura di un nuovo fascicolo dell’Antitrust americano, né il fatto che il fondatore Mark Zuckerberg avesse deciso di cambiare le regole sulle discussioni interne aziendali, bensì l’effetto della campagna “Stop Hate for Profit”: campagna che per una settimana, dal 14 al 21 settembre, ha invitato gli utenti di Facebook (e Instagram) allo sciopero social-mediatico. Le azioni Facebook mercoledì hanno infatti perso il 3 per cento, e si sospetta sia il risultato dell’astensione dal social di Kim Kardashian West, una delle maggiori celebrità instagrammatiche, che per un giorno si è appunto tenuta lontana da Instagram. La campagna sembra così finalmente funzionare, dopo che per mesi avevano aderito soprattutto aziende: Starbucks per esempio già a giugno aveva annunciato che non avrebbe più fatto pubblicità su Facebook e i suoi derivati. L’azienda del caffè di Seattle aveva seguito l’esempio di altri colossi come Coca-Cola, North Face, Honda, Levi’s, Patagonia, Unilever e Verizon: tutte avevano aderito sostenendo che il social media aiuta a diffondere l’odio e sostanzialmente non monitora i messaggi che istigano alle peggio azioni. I risultati però non sembravano particolarmente dannosi per l’azienda di Mark Zuckerberg: il quale si è limitato ad annunciare alcuni cambiamenti nelle politiche di controllo e vaghe promesse. Adesso però il movimento sembra aver cambiato sistema: più che le aziende, sono le celebrità che fanno sciopero. Non solo Kim Kardashian West, ma anche Mark Ruffalo, Sacha Baron Cohen, Demi Lovato, Robert Downey Jr (e molti altri) si astengono e questo sembra essere più pesante per Facebook, anche se l’astensione dura solo 24 ore (tengono famiglia pure loro). “Con il supporto di oltre 1.200 aziende e organizzazioni non profit e innumerevoli consumatori, abbiamo inviato un messaggio chiaro a Facebook nel luglio 2020 con la nostra pausa pubblicitaria: smetti di valutare i profitti rispetto all’odio, al fanatismo, al razzismo, all’antisemitismo e alla disinformazione”, dicono quelli di “Stop Hate for Profit”.

 

Facebook in particolare è accusata di avere avuto un ruolo fondamentale nelle sparatorie di Kenosha, la città del Wisconsin messa a ferro e fuoco dopo che l’ammazzamento dell’afroamericano Jacob Blake da parte della polizia aveva scatenato la rivolta. Lì l’azienda si è rifiutata di chiudere la pagina di un gruppo di miliziani autoconvocati che incitava a scendere in strada armati. Col risultato che i miliziani si sono dati molto da fare, e un diciassettenne, Kyle Rittenhouse, già immortalato con in mano un fucile semiautomatico, se ne è venuto dal natio Illinois molto motivato e ha fatto fuori un paio di persone. Facebook a quel punto ha affermato di avere rimosso le pagine legate a quell’evento dopo che è accaduto, accusando un “errore operativo” per avere permesso all’evento di rimanere attivo nonostante violasse le politiche dell’azienda. Ma BuzzFeed in seguito ha scoperto che Facebook non aveva davvero rimosso le pagine; uno degli amministratori del gruppo l’ha fatto. E’ stato solo allora che Facebook ha ammesso di non avere mai annullato l’evento. Giovedì scorso allora Zuckerberg ha annunciato nuovi passi: in particolare i gruppi collegati a qualche forma di violenza saranno depotenziati: ne verrà limitata la diffusione rimuovendoli dai consigli, limitandoli nelle ricerche e riducendo la frequenza con cui i loro contenuti vengono visualizzati nei feed di notizie delle persone. Intanto si conclude la settimana dello sciopero da Facebook, che prevedeva regole precise: “Stop Hate for Profit” ha chiesto per mercoledì 16 di astenersi da Instagram per quel giorno. Giovedì 17, invece, tutti dovevano condividere un post incentrato su come i fallimenti di Facebook portano alla violenza. Ieri, venerdì 18, si doveva pubblicare un post su come Facebook diffonde disinformazione sulle elezioni. Il weekend, liberi tutti.