Nero e marxista, Reed cacciato dalla nuova sinistra che vede solo razzisti

Giulio Meotti

L’accademico messo a tacere dai socialisti di New York

Roma. Finché era il professor Thomas Sowell, il conservatore afroamericano contrario all’affirmative action, gioco facile. Altrettanto facile con Glenn Loury, l’accademico di colore della Brown University che ai suoi studenti insegna Platone, Socrate, John Stuart Mill e George Orwell per fare loro apprezzare la libertà di espressione. Più complicato cancellare Adolph Reed, originario del sud segregazionista di New Orleans, accademico afroamericano di cultura marxista settantatreenne professore di rango e fama all’Università della Pennsylvania.

 

“E’ convinto che la sinistra sia troppo concentrata sulla razza e non abbastanza sulla classe”, racconta il New York Times. “Crede che le vittorie durature si ottengano quando la povera gente di tutte le razze combatte fianco a fianco per i propri diritti”. Il professor Reed era stato invitato a parlare alla sezione di New York dei Democratic Socialists of America, l’organizzazione che ha tirato la volata elettorale alla nuova generazione delle Ocasio-Cortez.

 

Giocava in casa, Reed. Ma avrebbe detto loro che l’attenzione della sinistra riguardo all’impatto del coronavirus sui neri americani mina la coesione multirazziale, che Reed considera la chiave per la giustizia economica. Come si poteva allora invitare a parlare un accademico di sinistra e di colore che “minimizza il razzismo” in un’epoca di proteste? Reed è stato così accusato di essere “reazionario” e un “riduzionista di classe”. Il caucus dei socialisti di colore ha detto che si tratta di un “codardo”. L’incontro è stato così cancellato. “E la più potente organizzazione socialista della nazione ha rifiutato il discorso di un professore marxista nero a causa delle sue opinioni sulla razza”, sintetizza il Times.

 

“Dio abbia pietà, Adolph è il più grande teorico democratico della sua generazione”, ha detto Cornel West, professore di Filosofia a Harvard e anche lui socialista. “Ha preso posizioni molto impopolari sulla politica dell’identità, ma ha una storia di mezzo secolo”.

 

Reed fa parte di una scuola di accademici di colore i quali ritengono che l’ossessione della sinistra per la razza sia un vicolo cieco che fa il gioco del capitalismo. Ne fanno parte West, la storica Barbara Fields della Columbia University e Bhaskar Sunkara, fondatore di Jacobin, la rivista socialista. Sostengono che i problemi che tormentano l’America – la disuguaglianza, la brutalità della polizia e l’incarcerazione di massa – colpiscono americani neri e bianchi, senza distinzione. “Un’ossessione per le disparità razziali ha colonizzato il pensiero liberal”, ha detto Reed. Molti a sinistra, ha continuato, hanno “un’obiezione militante al pensiero analitico”. Figlio di accademici itineranti e radicali, Reed ha trascorso l’infanzia a New Orleans. “Sono andato avanti e indietro nel sud di Jim Crow e ho sviluppato un odio speciale per quel sistema”, ha detto. Ma non gli piace chi abbatte i simboli della Confederazione, preferisce invece ricordare quelle piccole città del New England piene di lapidi coperte di muschio e che segnano le tombe di ragazzi bianchi morti al servizio dell’Unione. All’afroamericano Reed sta stretto l’abitino arcobaleno della sinistra dei costumi che grida “antirazzisti di tutto il mondo, unitevi!”.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.