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La buona educazione è di moda. In piazza con le sardine e in treno in economy

Simonetta Sciandivasci

Il Guardian elogia gli italiani chiacchieroni, anche se molesti

Roma. Di persone silenziose ce ne sono poche, è bene difenderle. Trenitalia ha deciso di riservare loro intere carrozze in economy (prima esistevano soltanto in business), visto che sono molto richieste, anche dai non silenziosi, e visto che la buona educazione è la person of the future. Da Sanremo al Conte bis alle sardine, quest’anno è stato tutto uno scoprire con grande sollievo ed entusiasmo che esistono molti giovani che la praticano o vorrebbero farlo, e godere delle sue virtù taumaturgiche, e incontrare sempre e solo altri che come loro non sperano però si stanno costumando a la sua segnoria. La buona educazione bussa ed entra sicura; non urla mentre tu dormi in treno; non ascolta musica senza cuffie o a un volume così alto che sfonda il muro del suono (e delle cuffie) e la sentono anche nelle campagne limitrofe; non parla a voce alta (talvolta non parla affatto) né con la bocca piena; se non ti conosce, ti dà del lei anche se sei una sardina; ti cede il posto in tram anche se non sei incinta, o moribonda, o furente. E lo fa senza pretendere nulla in cambio.

 

Il Guardian, che ci vuol bene, s’è chiesto se queste nuove carrozze, più numerose e a prezzi più abbordabili, riusciranno finalmente a “convincere gli italiani a parlare a bassa voce sul treno”, disciplina nella quale gli inglesi eccellono, per riservatezza, etichetta, codice, e pure lingua. Perché così è: la lingua, come i vestiti, è una forma che condiziona e, persino, fa la sostanza. Quaggiù, nella serva Italia di espansività ostello, siamo verbosi, rumorosi, gesticolanti, indomabili. Lo siamo sempre, dappertutto. Lo siamo al punto che tre anni fa venne rilevato che contribuiamo significativamente a fare del nostro paese uno dei primi, in Europa, per inquinamento acustico fuori controllo. E ci odiamo, per tutto questo caos sfonda timpani, e detestiamo il nostro prossimo sui mezzi pubblici o in fila alle Poste, lo schifiamo perché siamo come lui anche se non parliamo con lui.

 

E soprattutto ci odiano gli inglesi, che si lamentano su TripAdvisor di come sui treni italiani non ci sia tregua, pace, silenzio, pulizia da nessuna parte, neppure nelle quiet carriages. Tuttavia, ultimamente, quello inglese è un popolo agitato e insofferente, che vive più di percezione che di realtà (come tutti, d’altronde, nessuno si senta escluso, men che meno noialtri, che abbiamo avuto un ministro dell’Interno, Marco Minniti che una volta ha detto: “Dobbiamo occuparci dell’insicurezza percepita più che di quella reale”). E infatti il Guardian ha scritto che gli italiani non sono davvero rumorosi o maleducati: li disegnano così perché li percepiscono così, e la colpa è della lingua che parlano.

 

All’Italiano, infatti, le note alte sono coessenziali. E’ una lingua inventata dagli scrittori: serve alla bellezza, a catturare l’attenzione, ad arricchire, stupire, mostrare; alcune ricerche recenti rilevano che la quantità di informazioni comunicate per sillaba da una frase in italiano è nettamente inferiore a quella comunicata dalla stessa frase in inglese. C’è poi un altro elemento: la natura letteraria dell’italiano lo ha fatto sempre percepire come uno strumento delle élite, la voce dei salotti salotti contro i quali il popolo non potevano far altro che opporre le urla – e questo spiegherebbe da chi e cosa abbiamo ereditato la refrattarietà al basso volume. Noi non ce ne siamo mai accorti o, se sì, ne abbiamo dato una lettura scorretta: agli occhi di un inglese (evidentemente non un leavers), persino la nostra orrenda abitudine di parlarci addosso, interromperci, violare lo spazio che consente la reciprocità del dialogo, è qualcosa che non ha a che fare con la maleducazione, ma con il fatto che intervenire, per noi, è sempre bene e lo è così tanto che non vediamo l’ora di farlo, siamo impazienti, non riusciamo a concepire che esista un turno, assorti come siamo nella conversazione. Quanto ci piace chiacchierare: l’ultimo nostro desiderio prima di morire sarà sempre fare una telefonata. Non per ascoltare, ma per parlare, dire quante più parole possibile, godercele in bocca come fossero pasticcini. Mangereste un mignon senza masticare, di nascosto, inghiottendolo appena e lentamente? No, naturalmente. Per la stessa ragione, non parleremo mai a toni bassi le nostre parole di crema. Le eziologie poetiche e nient’affatto aleatorie, però, non cancellano ciò che la richiesta di carrozze silenziose e le lamentele dei passeggeri indicano: che non ce la facciamo più, che la maleducazione e il chiasso sono diventati insostenibili anche per chi come noi nel chiasso ha un progenitore culturale. Nessuno spera più che il prossimo sia educabile, ciascuno si difende come può: comprando cuffie isolanti, viaggiando in carrozze isolate, evitando di uscire di casa.

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