Sarah Jessica Parker, Kristin Davis, Kim Cattrall e Cynthia Nixon (Foto LaPresse)

Dalla solitudine ci salva l'amore, non la libertà. Parola di Candace Bushnell

Simonetta Sciandivasci

Torna in libreria l’autrice di Sex and the city

Roma. Is there still sex in the city? C’è ancora sesso in città? Fatevi la domanda e datevi la risposta che, in caso fosse molto avvilente, cioè non semplicemente e seccamente negativa, non deve preoccuparvi troppo, sia che sesso lo intendiate in senso stretto, sia che lo intendiate in senso largo, e cioè come spasso, vita, brio, sorpresa, avventura, avventurieri disponibili sempre, soprattutto dietro l’angolo, quando si cambia strada dopo aver voltato le spalle a qualcuno di importante.

 

Insomma, il sesso come era in “Sex and The City” (SATC), la serie tv che ha liberato un paio (di più?) di generazioni di ragazze, adesso signore, e che raccontava una vita così splendente o facilmente recuperabile quando si smerigliava, che a un certo punto è stata dichiarata nociva, e ha avuto una sua controserie, “Girls” (di Lena Dunham, capostipite millennial), dove le ragazze erano tutte sfacelo, disagio e nevrosi. Candace Bushnell, la scrittrice dai cui libri SATC è stato tratto, ne ha appena scritto un altro, perché è tornata a New York dopo un matrimonio fallito, il peggior lutto di tutti (la morte di sua madre), e molti anni vissuti in provincia. E l’ha intitolato proprio così “Is there still sex in the city?”. E l’ha cominciato raccontando che stava rientrando, in macchina, con la sola compagnia di due cagnolini, e molte aspettative nel portabagagli, e il peso degli anni addosso.

 

La sua risposta è sì: a New York (quindi nel mondo), c’è ancora sesso, ma ce n’è soprattutto nel senso stretto, che ha ristretto uomini e donne e allargato le loro solitudini, e ingrigito l’allegria che vent’anni fa a Carrie e le sue amiche faceva sembrare che tutto fosse possibile (oggi Miley Cyrus viene fuori con un disco in cui dice che se sei femmina puoi fare tutto, e lo dice indossando una tutina di latex con una vagina dentata disegnata sopra, insomma lo dice come dichiarazione di guerra).

 

E ora cosa ne è di quegli avventurieri, che hanno sperimentato, bevuto, conquistato, proceduto sempre in avanti in vista del migliore o della migliore, credendo che la vita sarebbe stata sempre party e bellezza e avvicendarsi di possibilità? Il doversi accontentare. “Di tutte le grandi e piccole aggressioni dell’invecchiamento, la peggiore è che ti fa scoprire di aver attraversato il ponte dal volere una relazione, con tutto ciò che comporta, al doverti accontentare del cugino minore: la compagnia”.

 

E le amiche? Non ci avrebbero salvato comunque le amiche? Non ci sarebbero state sempre loro, comunque loro, alla fine di storie disastrose o impossibili o faticose, alla fine di divorzi interminabili ma necessari, alla fine delle liste dei single disponibili, ormai tutti spuntati? Non proprio.

 

E’ come nella “Canzone delle osterie di fuori porta”: qualcuna va per età, qualcuna perché già dottoressa, qualcuna perché sposata e in carriera (e diceva Guccini che quella era la morte peggiore) e qualcun’ altra rimane a leccarsi le ferite inferte dall’ennesimo giovane amante, appassionato ma fugace. E quindi Sex and The City finisce non come quegli orripilanti sequel cinematografici in cui le quattro splendide, anche se molto cascanti e molto acciaccate, provavano a illuderci che si sarebbero comunque per sempre prese cura l’una dell’altra, e che l’amore sarebbe sempre arrivato, in molte nuove forme, milioni di milioni, ma con la sua creatrice che si domanda chi le pagherà il funerale.

 

Forse è giusto così, in fondo: ammettere che la vita smeralda a un certo punto finisce, e le smanie invecchiano e soprattutto fanno invecchiare e pentire, e che mai, neanche mentre le soddisfiamo, dobbiamo lasciare che ci convincano che non serva impegno per amare, vivere, godere, essere felici, e che non ci si debba a un certo punto fermare e accettare che quello che abbiamo accanto, per quanto un po’ insostenibile (o anche molto insostenibile), sia giusto perché lo abbiamo lì, semplicemente accanto a noi.

 

Meglio un insostenibile oggi che un “vissero infelici perché costava meno” domani.

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