Egon Schiele: Case sul fiume

Edilizia “di cittadinanza” nella Vienna di un secolo fa. Ma era un'altra cosa

Andrea Affaticati

Le politiche sociali in una città a rischio di rivolte popolari. Un libro

In politica è richiesta una retorica che sappia colpire nel segno o cavalcare l’onda del malcontento. Poi però, se si vuole restare al potere, ci vogliono anche gli attributi per tradurre in pratica le promesse. Questa riflessione si affaccia alla mente leggendo il saggio “100 anni Vienna Rossa - Il futuro di una storia” (ed. Picus Verlag) che raccoglie gli interventi degli studiosi Helmut Konrad e Gabriella Hauch, in occasione del centenario dell’avvio di questo modello di edilizia popolare che ha fatto storia e dal quale, visto il caro affitti che affligge la maggior parte delle grandi città occidentali, si potrebbe forse trarre ancora qualche utile spunto. La Vienna uscita dalla Prima guerra mondiale era la capitale di un paese che non ricordava nemmeno più vagamente il potente e vasto impero asburgico di un tempo. Per tutti coloro che sognavano di entrare nella grande Germania, era niente più di uno sgorbio. La situazione della popolazione, soprattutto nella capitale era inoltre drammatica. A iniziare dalla penuria di abitazioni, tant’è che attorno alla città erano spuntate delle baraccopoli, mentre gli appartamenti dei casermoni in cui vivevano gli operai assomigliavano molto più a tuguri, privi di bagno e sanitari. La miseria e il caos che regnavano ovunque stavano portando il paese sull’orlo di una grande rivolta popolare.

 

Il Partito socialdemocratico per un po’ era rimasto a guardare, apparentemente incapace di scongiurare il peggio. Ma poi, nel maggio del 1919, era arrivata una scossa salutare: il partito si era assicurato con il 54 per cento dei voti la vittoria a Vienna e Jakob Reumann ne era diventato sindaco. Il primo grande problema che Reumann affronta è quello relativo alle abitazioni. Un compito difficile e costoso, nel quale la cittadinanza lo seguirà solo se saprà usare abilmente la carota, cioè la propaganda, e il bastone, un aumento delle tasse. Se, come scrive Konrad, uno dei due autori, saprà strappare al ceto medio e a quello benestante concessioni riguardo alle politiche sociali, imbrigliando i rivoluzionari con l’aiuto delle camere del lavoro e la legge sui consigli di fabbrica. Reumann chiama a capo delle finanze comunali Hugo Breitner, uno che i conti li sapeva fare. Breitner, prima di aderire al Partito socialdemocratico e darsi alla politica, era stato direttore dell’istituto di credito Länderbank. A lui dunque, Reumann affida la gestione finanziaria della città con il preciso compito di trovare i fondi per avviare un vasto piano di edilizia popolare. Come si legge nel saggio, provvedimenti per alleviare la penuria di abitazioni erano stati già presi durante la guerra dalla precedente amministrazione cittadina cristiano-sociale. Tra questi l’introduzione di una tassa sul valore dei terreni. Breitner non solo la lasciò in vigore ma ne aggiunse delle altre. Per esempio la tassazione diretta regolata però da una forte progressione, in modo da colpire meno i poveri e più duramente i ricchi. Il vero colpo di genio fu però la “Wohnbausteuer” (la tassa per finanziare l’edilizia popolare). Una tassazione fortemente invisa e avversata dalla media e alta borghesia. Con questo ulteriore balzello si tassava di fatto ogni loro proprietà, dalle ville ai locali, dalle macchine ai cavalli.

  

Ma nonostante le forti resistenze di una parte dei viennesi, l’amministrazione socialdemocratica continuò imperterrita per la sua strada: “Tassare il lusso e il divertimento per allevare una generazione sana, mentalmente libera e laboriosa, su queste fondamenta si basa la politica comunale socialdemocratica” si replicava alle critiche. Vennero chiamati 190 architetti, una trentina di loro erano stati allievi di Otto Wagner. Con l’Anschluss del 1938, il piano edilizio si arenò, per essere ripreso nel dopoguerra. Oggi a Vienna ci sono 1.800 case popolari, il caseggiato più famoso è il Karl-Marx-Hof che vanta una lunghezza di un chilometro, si estende su una superficie di 150 mila metri quadrati, di cui però solo il 20 per cento è edificato. Il resto sono giardini interni, parchi gioco per i bambini. Attualmente un terzo della popolazione viennese, cioè più di mezzo milione di persone, vive in una delle 1.800 case popolari. Sempre Konrad nel saggio annota: “Che la socialdemocrazia austriaca sia riuscita ad addomesticare il potenziale rivoltoso esistente nella città è stata una lezione di destrezza politica che cerca eguali in tutta Europa”. Non c’è dunque bisogno di espropriare i legittimi proprietari di case, come suggeriva recentemente il capo dei giovani socialdemocratici tedeschi, Kevin Kühnast. Semmai anche i politici dovrebbero prendere spunto dal detto tedesco: “Eigentum verpflichtet” la proprietà richiede anche un senso di responsabilità verso la società. E se necessario, chi ha di più contribuisce maggiormente al benessere di tutti.

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