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L'8 marzo è festa lo stesso

Nadia Terranova

Due libri, le mimose per il compleanno della nonna e le donne che non sono tutte uguali

Una delle mie nonne era nata l’otto marzo, e quel giorno tutti i figli e i nipoti dovevano presentarsi a casa sua con un mazzo di mimose: era proprio un obbligo famigliare, se non lo facevi il suo sguardo ti avrebbe trapassato e infilzato, e sulla tua persona si sarebbe abbattuta la fatwa. Come tutte le vere regole, non era scritta da nessuna parte e nessuno te la spiegava, soprattutto mai si sarebbe abbassata a spiegarla lei. Appena suonavi alla porta con i tuoi doverosi fiori gialli venivi accolto da un rito: ora dove li mettiamo, sono già troppi e che ingombro, sono vecchia ormai, che me li regalate a fare. Il rito si ripeteva ogni anno, e con tenerezza rivedo la Nadia quattordicenne che esce da scuola, passa dal fioraio, tira un sospiro di sollievo per non aver dimenticato la ricorrenza ed essere stata all’altezza, poggia il mazzo vicino agli altri e lancia agli altri uno sguardo comparativo, sollevata per non aver sfigurato: hai ragione, nonna, metto tutto là.

 

 

Da quel rito ho imparato presto che il potere, quello vero, non passa né per la prepotenza né per il vittimismo, e che l’imposizione diretta di una norma potrà anche essere utile nel breve periodo, ma esiste un’altra via, più interessante e durevole. Che quei fiori fossero belli brutti profumati o puzzosi non era, semplicemente, argomento degno di interesse; “Se non mi regali le mimose mi attacco alle tende” avrebbe espresso lo stesso grado zero di autorevolezza di certi odierni “se mi regali le mimose mi attacco alle tende”, mentre con “grazie, mettile là (e magari ora vai in lavanderia a portare le tende)” mia nonna ci teneva tutti ai suoi piedi. Affrettando il passo verso la tavola che quel giorno, come tutti gli altri giorni, era apparecchiata con le sue pietanze preferite, quella donna del Novecento spiegava coi fatti cosa significa governare il mondo: non certo dire agli altri cosa si può o non si può regalare, ma dedicare non più di tre secondi a ringraziare chi ha fatto metà del suo dovere, e poi occuparsi d’altro.

 

 

Il vino lo compri tu

C’è un libro di Tano D’Amico che si intitola “La lotta delle donne” (Ets) e raccoglie fotografie che vanno dagli anni Settanta ai primi anni Duemila, ragazze di ogni età al culmine di una battaglia o di una resistenza, nel momento in cui stanno affermando un potere, lo stanno conquistando o prefigurando. E, da pochi giorni, c’è un libro curato da Annalena Benini che si intitola “I racconti delle donne” (Einaudi), che invece raccoglie storie di donne che quel potere l’hanno perduto o l’hanno sentito minacciato, storie di scrittrici che mettono in gioco le proprie debolezze, i propri pozzi bui. E’ una festa il primo libro ed è una festa anche il secondo, perché nessuna donna è solo vincente o solo perdente: tutti e due i libri, insieme, sono ottimi regali per l’otto marzo, da aggiungere alle mimose, a una bottiglia di vino serio e a un invito a cena, ma per carità non in un ristorante a menù fisso, m’intristisco solo a pensarci. Parlo per me, sia chiaro: quando si avvicina la festa delle donne bisogna stare attente, nessuna è dello stesso parere, nessuna ha gli stessi gusti e nessuna è d’accordo con l’idea dell’altra. Per fortuna, aggiungo. Perché che le donne in quanto tali siano una categoria compatta è la prima idea di cui ci possiamo sbarazzare, e grazie al cielo ce ne siamo già in parte sbarazzate. La seconda idea di cui si può fare a meno è quella per cui accettare un regalo sia una sottomissione e non una manifestazione di gentilezza o di superiorità, se quel regalo va a chi non avrebbe impedimenti a comprarselo da sé. Parlo di me, dicevo: possiedo entrambi questi libri, ho una cantina fornita e cene prenotate fino a domenica, a due isolati c’è un fioraio. La maggior parte delle volte l’otto marzo – come per ogni altra ricorrenza, dalla festa della Repubblica a Natale – ho talmente da fare che al mattino non ricordo che giorno è, soprattutto adesso che non ho una nonna da festeggiare. Quando ricevo il mazzetto giallo mi scappa sempre un sorriso perché penso a lei e a tutte le donne che mi stanno simpatiche, e anche (ma solo per tre secondi) a quelle che mi stanno antipatiche, e allora caro mettilo pure di là che magari ne arrivano degli altri, e quei libri grazie, poggiali pure sul pavimento, scusa ma c’è così poco spazio qui dentro. Per carità, sulla mia vita non ho neanche la metà del potere di mia nonna ma facciamo che è festa lo stesso e il vino lo compri tu (però la bottiglia che dico io), anzi aiutami a cercare l’apribottiglie: in questa casa non si trova mai niente e adesso ho troppo da fare per ricordarmi dove l’ho messo.

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