Tom Hanks e Meg Ryan in “Insonnia d'amore“ di Nora Ephron (1993)

L'anno nuovo con l'anima a posto

Annalena Benini

Buoni propositi, tormenti ed estasi per il 2019. L’ostinata speranza, gli odiati petardi e quei segreti durante il conto alla rovescia. Cosa sarà, che ti getta nel mare e ti viene a salvare?

La vita – è quel che ne facciamo –

La morte – non sappiamo –

Emily Dickinson

 

Avevo finalmente cominciato a dimenticarmi del tempo che passa, a non detestare il tempo perduto e ad accettare perfino che i genitori di scuola esisteranno sempre, anche quando i miei figli saranno nonni e io non avrò più la forza di silenziare le chat. Ero in pace anche con il Capodanno, avendolo estromesso moralmente da me stessa (mentre gli altri fanno il conto alla rovescia con la bottiglia in mano io canto canzoni interiori, quasi sempre “Cosa sarà” di Lucio Dalla). Ma l’altra sera ho dato la buonanotte a mio figlio, gli ho chiesto se si era divertito a lanciare i petardi la sera del trentun dicembre. Io non ho mai tirato un petardo nella mia vita e vorrei vietarli per legge, e aspetto ogni anno il servizio del telegiornale con i feriti dei botti solo per urlare angosciata: vedete che cosa succede?, ma dicono che esagero e che i petardi sono quasi tutti innocui. Sarà, ma quello è l’unico servizio del telegiornale che guarderei per ore, soprattutto quando dicono “artiglieria pesante”. Mio figlio, che ha nove anni, si era divertito molto con i suoi amici tutto il giorno in giro per il paese a cercare gatti e a spaventare vecchiette, le guance rosse per il freddo e l’eccitazione di andare a letto tardissimo e sentirsi un po’ grandi, e quindi il giorno dopo stanchi e svogliati (diventare grandi significa soprattutto essere spesso stanchi e svogliati e di malumore), era felice ma ha detto che il Capodanno è una festa bruttissima. Perché, gli ho chiesto, già con l’inquietudine di conoscere la risposta. “Perché si festeggia una cosa che invece è triste: siamo di un anno più vicini alla morte, tutti”. Ecco, gli ho passato attraverso il mio sangue il Cioranismo e la tristezza che invece combatto. E mi è tornato in mente, come uno squarcio, che quello era uno dei modi con cui terrorizzavo mia sorella minore, ripetendole che ogni secondo che passa ci avvicina di più alla morte, e lei piangeva con le lacrime e mi abbracciava. Subito dopo la costringevo a guardare con me un film dell’orrore. Lo facevo per farmi abbracciare, ma come ho potuto essere così crudele?, pensavo, e pensavo che dovevo telefonarle subito e chiederle scusa.

 

Mio figlio mi ha detto che il Capodanno è una festa tristissima, “perché siamo di un anno più vicini alla morte, tutti”

Silvia, non lo penso! Anche se è la verità, non lo penso, non pensarlo neanche tu, che avevi quattro anni e ti fidavi ciecamente di me che ne avevo dodici, e adesso invece forse non ti fidi più. Dopo aver telefonato a mia sorella, che comunque stava benissimo e si era anche molto divertita a Capodanno e mi ha detto che l’unico trauma che proprio non ha superato è la paura dei clown, mi sono rasserenata. Io i clown glieli mettevo sul letto, a volte insanguinati ma non sempre, a volte con una musica di sottofondo, e anche adesso lei dice che se vede un clown inizia a tremare. Comunque buon anno, sorella, siamo diventate grandi anche con i clown e con questa mia idea della morte in avvicinamento di secondo in secondo, e però ci siamo fidate della vita lo stesso. Questo ho cercato di spiegare a mio figlio, la prima sera del 2019, una sera tutta nuova di zecca in cui eravamo stanchi, con le valigie aperte piene di cose sporche di campagna, e la felicità però di essere a casa, e di ricominciare da zero. A ordinare la cena da McDonald’s o a preparare la pizza, a fare i buoni propositi che durano una settimana o un minuto e però danno una grande euforia, come se il solo fatto di pensarli ci avesse già avvicinato al risultato, come se fossi già un po’ dimagrita, risanata, migliorata, diventata più brava, più generosa, più paziente, più ottimista, più attenta, con gli armadi in ordine e con l’anima a posto.

In tarda età mi scopro un’anima. Non che ignorassi la sua esistenza, ma non ne sentivo la realtà. Adesso abita il mio centro

L’anima. Ho letto un libro di François Cheng, poeta cinese che vive in Francia da sempre, che si intitola proprio così, “L’anima”, è fatto di sette lettere a un’amica e dice una cosa che non saprò spiegare a mio figlio e forse neanche a me stessa, ma la sento e la sento di più quando comincia un nuovo anno, fa parte dei tormenti e delle speranze e anche dei propositi segreti, mi mette in imbarazzo parlarne almeno quanto i petardi a Capodanno, ma non posso fare a meno di pensarci. “In tarda età – scrivi – mi scopro un’anima. Non che ignorassi la sua esistenza, ma non ne sentivo la realtà. A questo si aggiunge il fatto che, attorno a me, nessuno pronuncia più questa parola. Ma, a forza di vivere, di sbarazzarmi di molte cose, questa entità irriducibile, intangibile e insieme carnalmente reale, diventa per me incontestabile. Abita il mio centro e non mi lascia più”. A forza di vivere, a forza di ordinare McDonald’s e di fare un mucchio di errori, a forza di chiedere scusa e aspettare scuse che non arriveranno, a forza di dimenticarsi di tutte le cose piccole e dire: vabbè non importa, e poi svegliarsi la notte con il batticuore, anche a forza di buttare via tutto in preda ai raptus, e poi lanciarsi quasi dentro il cassonetto con pentimento, succede di sentire che, davvero, c’è qualcos’altro, e non è fuori ma è dentro, ed è così vivo, si muove sempre, e fa un sacco di domande, e il rumore dei petardi non le copre.

 

Ho detto a mio figlio che ogni secondo che passa ci avvicina di più anche a qualcosa di bellissimo che succederà, e che ci conquisteremo, a un nuovo gioco della Playstation, a un amico simpaticissimo, all’estate per andare al mare, a Stranger Things 3, a quella bambina che ti piace anche se non lo dici e invece dici: che schifo (a quel punto avrei voluto aggiungere: a un clown che ti guarda seduto sul letto, ma mi sono fermata in tempo, sono diventata grande, ho imparato dai miei errori, non voglio più terrorizzare i bambini innocenti). Lui mi guardava sospettoso, e scandalizzato per la bambina, ma in due secondi stava già dormendo abbracciato a un enorme criceto che si chiama, appunto, Supercriceto.

 

Le scelte assolute. Tradire, ferire, mentire, comportarsi in maniera orripilante e poi salvare tutto e farsi perdonare

Tu che hai nove anni, hai davanti una prateria di meraviglie, e però anche io che di anni ne ho molti di più, ho davanti una prateria di meraviglie. Se non perdo la sensazione acuta dello slancio. “Corpo e anima sono solidali, è evidente. Senza anima, il corpo non è animato; senza il corpo, l’anima non è incarnata”; scrive François Cheng alla sua amica, e nell’anima incarnata ci sono le idee, i desideri, la tensione verso qualcosa che sta nell’uomo ma va oltre l’uomo. Non c’è niente che mi interessi di più degli esseri umani, a Natale, a Capodanno e sempre, niente che mi piaccia di più delle storie delle persone e dei rapporti che hanno fra loro, quello che dicono, pensano, nascondono, sperano, falliscono e si ostinano a cercare, anno dopo anno, vita dopo vita. Le scelte assolute, scappare e poi ritornare, lamentarsi sempre, tirare fuori all’improvviso un sovrumano coraggio, dire convinto: sono cambiato, e non essere cambiato neanche di una virgola. Invecchiare male. Rinunciare. La brutalità, l’assurdità, la nobiltà. Sperare che agli altri non vada poi così bene, o invece riuscire a essere felici per qualcosa che non ci riguarda, grati al talento di qualcun altro. Sedersi sulla riva del fiume ad aspettare o dimenticarsi di chi ci ha fatto male. Tradire, ferire, mentire, comportarsi in maniera orripilante e poi salvare tutto e farsi perdonare. Non capire mai chi abbiamo di fronte ma credere sempre di capire tutto. E non c’è niente di più affascinante di tutti i desideri espressi la notte di Capodanno, ognuno dentro di sé per non farsi sentire, per non rischiare che non si realizzino, tutti che si vergognano di desiderare ancora e ancora senza mai smettere (qualcuno semplicemente chiede al cielo un nuovo aspirapolvere perché non gli viene in mente altro, qualcuno chiede il coraggio, qualcuno un cavallo, qualcuno il sollievo, io desidero quasi ogni volta “che vada tutto bene”, formula vaghissima e supplichevole che significa: più lontano possibile il dolore), e sono sicura che dentro questi desideri ostinati, dentro la disperazione, la generosità estrema, l’estremo egoismo, la cecità, la grandezza o la fatica della piccolezza, ci sia sempre il movimento continuo di quest’anima incarnata.

 

Schiacciata, affaticata, soffocata, oppure libera di andare, con le ali che a un certo punto le spuntano da qualche parte, quando sembrava che non fosse nemmeno mai esistita.

 

Davanti ai petardi di Capodanno, alla notte piena di fuochi d’artificio, dentro le urla di gioia, di festa (o di una mano che è saltata via per uno scoppio?, penso sempre, oppure di un occhio perduto? ci sarà un’ambulanza? un chirurgo di guardia?), davanti a quelli che si baciano o che vorrebbero baciarsi, o almeno perdonarsi, si sentono forte tutte queste speranze. Le persone guardano il cielo, oppure la tivù con i trenini registrati, o il mare o le montagne o il muro di casa o una panchina, e per un attimo ci si perde, ognuno ha dentro di sé un segreto, anche quando si è molto ubriachi, anche quando si è molto tristi, anche quando sembra di non riuscire ad avere mai più niente dentro la testa. Anche i bambini hanno molte speranze, e corrono a nascondersi per farle uscire fuori senza che nessuno le scopra. Poi tornano felici a lanciare petardi e a bruciarsi le mani con gli accendini. Ma queste speranze sono solo umane o hanno qualcosa che supera l’essere umani? O già il fatto di essere umani è tutto, perché contiene in sé l’universo delle possibilità, e sta tutto dentro le nostre scelte razionali? E non era più semplice quando spaventavo mia sorella con i clown insanguinati per farmi abbracciare e fingevo di essere posseduta da una strega pazza?

 

Odio i petardi, ma credo negli inizi. Non sono gli anni che non abbiamo più, sono tutti gli anni che abbiamo ancora

Questa volta, in cui è evidente che tutto si è complicato rispetto al periodo felice dei film horror, ho deciso che non è vero che odio il Capodanno. Non è vero che l’ho estromesso dalla mia vita e che non ha nessuna importanza, e che gli anni cominciano a settembre, quando si torna a scuola, e che poi è tutto sempre uguale e che bisogna solo aspettare che finiscano i botti. Odio i petardi, ma credo negli inizi. Non sono gli anni che non abbiamo più, sono tutti gli anni che abbiamo ancora. E’ quest’anima che si muove, e che non è mai stanca.

 

La mattina dopo, quando mio figlio si è svegliato, tardissimo e svogliato, mi ha detto che ha capito che avevo ragione io. Il tempo nuovo ci avvicina alle cose belle. Mancano solo due mesi e mezzo alla primavera, al suo compleanno, ai regali, e poi la fine della scuola, l’estate, essere più grande, ereditare le Dottor Martens di sua sorella, uscire da solo, prendere la patente, diventare un pugile, un gelataio oppure uno scrittore di storie horror.

Hai proprio detto storie horror? Ne vuoi sentire una bella? Con dentro un clown? Allora adesso te la racconto, con tutta l’anima, e per tutto l’anno.

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.