Isabella Rossellini (foto LaPresse)

Il #MeToo di Isabella Rossellini, che alla voglia di riscatto preferisce la libertà

Simonetta Sciandivasci

"Sono stata stuprata, ma non denuncerò il mio aggressore"

Un modo serio, battente, libero per ragionare e parlare di molestie sessuali e dimostrarci perché investono tutto quanto, tirandoci fuori tutti dal sì o no al #MeToo, perché a un certo punto deve smettere di importarci solo di come stia convertendosi in un bizzarro #occupywallstreet, l’ha trovato Isabella Rossellini. Aveva sedici anni quando venne violentata: non denunciò allora, non intende farlo oggi: “Lo distruggerei, commise un peccato all’interno di una cultura che glielo consentiva”. Probabilmente, non lo tirò fuori neanche durante i collettivi femministi d’autocoscienza, ai quali è grata per l’intimità, la confidenza, le scoperte, l’essere in poche a confessarsi le cose di tutte. “Quando sei una vecchia signora come me, fai solo quello che vuoi”, ha detto in un’intervista a Vulture tirando fuori dalla borsa uova della sua azienda agricola a Long Island, su cui ha scritto da poco un libro, e aggiungendo, al giornalista al suo fianco, “guarda la bellezza, forme e dimensioni diverse, come fa il supermercato a rendere le uova tutte uguali e noiose, uniformano i buchi del culo delle galline?”.

 

E già potremmo chiudere tutto qui e dirci solo che è proprio vero: si è al sicuro solo da anziani e nella vita di tutti, maschi, femmine, metà e metà, donne culturali, maschi biologici (eccetera), non ci si salva da niente, mai, e la legge e la cultura e il mondo che migliora possono proteggerci assai meno di quanto possa fare l’aver imparato a scegliere, finalmente, dopo aver trascorso moltissimi anni a sbagliare, precipitare, illudersi, difendersi, fidarsi. Isabella Rossellini avrebbe voluto fare l’entomologa e pure un po’ l’etologa, e invece ha fatto l’attrice. A un certo punto, non molti anni fa (ne erano passati diversi da quando a Lancôme le dissero che era troppo vecchia per essere ancora una testimonial di cosmetici), ha girato GreenMe e SeduceMe, due documentari bizzarri sulla vita sessuale degli insetti e degli animali. Ora Lancôme l’ha richiamata e lei è felice di avere uno stipendio assicurato che le consente di continuare a studiare, “anche se so che morirò senza conoscere le risposte alle mie domande: studio anche per ridere e perché sono curiosa”. E’ stato osservando gli animali che Isabella Rossellini ha trovato un modo più franco di osservare se stessa, insieme alle domande nuove e migliori che le servivano per distinguere le sue strutture e le sue sovrastrutture. Per esempio quando, collaborando con una biologa femminista, Marlene Zuk, ha scoperto che, in natura, l’istinto materno non esiste. Tutti giureremmo il contrario. Allo stesso modo, tutti giureremmo che la sessualità maschile contiene una pulsione bestiale che necessita un addomesticamento. Invece, in entrambi i casi, di vero c’è solo quello che abbiamo voluto credere e dedurre. “Sarà molto faticoso capire l’essenza del comportamento maschile e di quello femminile, ma il fatto che potresti non trovare la risposta non significa che non devi cercare la domanda”, dice Rossellini prima di spiegare che è quell’interrogare e interrogarsi che il #MeToo ha avuto il merito di proporre e, in certi casi, imporre. La parola patriarcato non la usa mai, però ricorre spesso a storia, luogo, memoria, tre fattori che hanno smesso di ostacolare il cambiamento di pensiero su cosa sia amore, piacere, disponibilità, natura, desiderio e sono adesso al servizio di una realtà da ristrutturare, dopo averla convinta di aver vissuto, finora, dentro un’abitudine scambiata per istinto.

 

Isabella Rossellini ha parlato solo una volta, nel suo memoir, dello stupro che ha subìto. Sul suo stupratore ha anche detto: “Potrebbe essere sposato, avere dei figli”. E chi siamo noi per giudicarla? Non si tratta di sindrome di Stoccolma o pietà o misericordia o debolezza: si tratta di riconoscere quello che una cultura e una storia e un posto e una memoria possono convincerti che sia lecito fare. E’, questo riconoscimento, un punto fondamentale nel ripensamento che oggi ci troviamo a strutturare e non importa quanto ci piacciano le modalità del #MeToo e neppure che le parole più equilibrate sul #MeToo le abbia dette una signora che mai e poi mai denuncerebbe il suo stupratore, sia perché è sopravvissuta e ha vinto e non ha dato alla sua vita la forma di un riscatto – ma quella della libertà – sia perché vede in lui un individuo che ha commesso un errore e non un errore vivente. Qui sta il punto: cosa non abbiamo visto e sentito e cosa, invece, adesso ci tocca vedere e ascoltare.

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