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Il Censis e l'Italia percepita

Stefano Cingolani

Il rapporto annuale dell'istituto ritrae il popolo del rancore con la pancia piena. La ripresa va e i consumi all’insù vendicano Renzi

Ma che Italia ci hanno raccontato? Quale paese ci mostrano televisioni e giornali? A leggere le analisi che il Censis ha presentato ieri nel suo rapporto, c’è da restare sbalorditi. “La ripresa c’è, l’industria va” e questo ormai è assodato. La quota dell’Italia sull’export manifatturiero del mondo è oggi del 3,4 per cento, con assoluti primati in alcuni comparti (materiali da costruzione in terracotta, cuoio lavorato, prodotti da forno, calzature, mobili, macchinari). E aumenta anche il numero delle aziende esportatrici. Gli imprenditori, insomma, si sono rimboccati le maniche, ma le esportazioni sono un quarto del pil. E il resto? Abbiamo perso il 7,5 per cento del pil, il Censis non lo nega, anzi mette in evidenza anche l’aumento dei poveri. Eppure, ecco i dati che vanno contro il senso comune, tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (più 4 per cento in termini reali nei tre anni). Gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro al ristorante (più 5 per cento nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il divertimento (più 3,8 per cento), 25,1 miliardi per la cura e il benessere (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), oltre 30 miliardi per alberghi e 6,4 miliardi per pacchetti vacanze. L’Italia batte tutti nei consumi ricreativi, seguita dalla Francia, continuando a spendere anche negli anni della crisi, a differenza dagli altri paesi europei.

 

Il Censis, insomma, dà ragione a Matteo Renzi: i suoi mille giorni al governo hanno risvegliato i consumi. Forse si doveva puntare di più sugli investimenti, tuttavia ciò non inficia la notizia. E allora, come la mettiamo con il popolo affamato pronto a fare la rivoluzione? La mettiamo malissimo, perché secondo il Censis “il 78,2 per cento degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce”. L’italiano in rivolta sta solo nei talk-show. Emerge semmai l’italiano rancoroso che ripiega su se stesso. Il paese ancora una volta galleggia sul sommerso e i dati del Censis lo confermano. Ma non solo. La ricchezza patrimoniale accumulata dalle famiglie (superiore a quella della Germania) ha fatto da ammortizzatore più della spesa assistenziale e della cassa integrazione. La caduta del reddito probabilmente ha intaccato questo stock, le prossime indagini della Banca d’Italia ce lo diranno. Ma non è tanto l’impoverimento o la diseguaglianza in sé a colpire l’immaginario collettivo, quanto il blocco dell’ascensore sociale. Lo stato d’animo dominante è la paura di perdere quel che si ha. Per questo le riforme vengono vissute con ansia e alla fine vince il popolo del no.

 

L’Italia che esce dalla peggiore crisi del Dopoguerra, ha visto aggravarsi tanti problemi antichi, mentre ne sono sorti di nuovi come il divario digitale, il decadimento scolastico e la carenza di istruzione, cioè le vere cause della diseguaglianza. Affrontarli non sarà facile. Ma diventerà impossibile se il circo politico-mediatico continuerà a venderci notizie avariate.

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