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Lasciateci ingrassare in pace

Michele Masneri

La battaglia globale contro lo zucchero ricorda quella contro le sigarette

Roma. Tempi duri per i bibitari. In Francia stanno per approvare una stretta sulle bevande gassate, mentre in Colombia un’attivista viene perseguitata da un cartello, non di Narcos, ma delle cocacole. Le efferate notizie arrivano quasi all’unisono: a Parigi a fine ottobre è stata annunciata l’introduzione di una nuova tassa sulle bibite zuccherate, parte della Finanziaria 2018. “L’unico nostro obiettivo è migliorare la salute dei bambini e ridurre il diabete”, ha detto il deputato macroniano e salutista Olivier Veran, firmatario della legge che prevede un innalzamento della tassa sulle bollicine già esistente. Introdotta nel 2013, la “soda tax” prevede per le bibite con zucchero aggiunto un’imposta di 7,5 euro a ettolitro. Ma adesso il Parlamento vuole introdurre un innalzamento, praticamente triplicandola a 20 euro all’ettolitro, cioè 20 centesimi al litro. La battaglia contro l’obesità infantile segue le linee guida dell’Oms, ed è pienamente appoggiata dalla ministra della Sanità, Agnes Buzyn. Intanto dalla Colombia arriva, via New York Times, la strana storia della dottoressa Esperanza Ceron, perseguitata dal cartello della bollicina. La dottoressa è esponente di punta della associazione “Educar consomidores”, che si propone prevedibilmente di rieducare i piccoli colombiani al bere responsabile, introducendo anche qui una tassa del 20 per cento sulle bibite.

 

La dottoressa è già da un po’ che denuncia d’essere seguita, pedinata, minacciata, dalla lobby dello zucchero. La sua associazione ha raccolto eroicamente 250 mila dollari e prodotto uno spot in cui si vedono ciccioni che rotolano per corsie di supermarket con bottiglioni di cocacole, e susseguentemente finiscono col coccolone e il defibrillatore. Lo spot è stato bandito dalla tv di stato; la lobby del glucosio è sotto accusa. Però intanto la guerra allo zucchero è ormai internazionale e il fronte più unito di quello contro l’Isis. Secondo il New York Times sono infatti trenta i paesi in cui si sta combattendo, tra cui India, Arabia Saudita, Sudafrica, Thailandia, Inghilterra e Brunei. Un miliardo di persone contribuiscono ormai al gettito di questa tassa globale, che abbastanza rapidamente ha guadagnato consensi, come una Tobin tax bibitara che è riuscita a imporsi più facilmente di quella sulle transazioni finanziarie. A rompere gli argini, tipo presa di Raqqa, è stato il cedimento del Messico, primo mercato mondiale delle bibite, dove nel 2014 dopo aspra battaglia è stata introdotta una tassa del 10 per cento.

  

La battaglia globale contro lo zucchero ricorda da vicino quella per le sigarette, che ormai si considera abbastanza vinta a livello globale. Non a caso, i protagonisti sono gli stessi. Ci sono anche i testi sacri. Il mein kampf della lotta è “The case against sugar”, bestseller antizucchero opera del divulgatore Gary Taubes, che paragona il glucosio al tabacco, e lo accusa di essere la causa non solo di diabete e obesità, ma anche di Alzheimer, ipertensione, malattie coronariche e cancro (mancano solo l’Aids e la peste nera). Nella narrazione ci sono poi gli eroi boots on the ground: c’è una dentista americana, la dottoressa Cristin E. Kearns, che lavora al centro antitabacco dell’università di San Francisco, rapidamente riconvertito in centro antizucchero perché la precedente guerra è stata ormai vinta. A gennaio siamo andati a trovarla, ci ha raccontato la sua storia molto cinematografica: lei come una Erik Brokovitch sugarfree aveva scoperto antichi documenti della Great Western Sugar Company, grande azienda chiusa negli anni Settanta, e in scatoloni misteriosi aveva trovato le prove che la lobby dello zucchero ha insabbiato per anni i danni sull’organismo (vincendo tutti i premi per la comunicazione e le pubbliche relazioni, siamo pronti per un Mad Men glucolico. In California offrire una bustina di zucchero, seppur di canna, è ormai considerata molestia. In Europa, come spesso accade, siamo più tolleranti. Nel dubbio, però, ci mettiamo una tassa sopra.

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