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le dimissioni
Ca' Foscari chiede ai docenti una prova di fede anti Israele. Ragioni per dimettersi subito
"L’abbandono dell’università al conformismo politico, il cedimento a logiche di discriminazione che nulla hanno a che fare con la libertà accademica" stanno alla base delle dimissioni di Lucetta Scaraffia dalla commissione etica di Ca' Foscari. Le sue parole
Ieri, giovedì 2 ottobre, ho scelto di dimettermi dalla commissione etica di Ca’ Foscari. Lo dico senza enfasi, ma con la consapevolezza che un gesto personale può servire a rendere visibile un problema più grande: l’abbandono dell’università al conformismo politico, il cedimento a logiche di discriminazione che nulla hanno a che fare con la libertà accademica. L’ateneo veneziano ha deciso non solo di sospendere i rapporti scientifici con enti e istituzioni israeliane, ma di estendere la misura a singoli docenti che non siano in grado di dimostrare di non appoggiare la politica del governo Netanyahu. E’ questa clausola a rendere il provvedimento intollerabile: la pretesa di chiedere a un professore di dichiarare la propria innocenza politica, di certificare il dissenso dal governo del proprio paese, somiglia a un dispositivo da regime totalitario. Non si giudicano più le ricerche, le competenze, la qualità del lavoro scientifico: si indaga l’ortodossia delle opinioni.
Non ho memoria di prese di posizione simili da parte di Ca’ Foscari di fronte ad altre violazioni dei diritti umani: né dopo il 7 ottobre e i massacri di Hamas, né con le università russe dopo l’invasione dell’Ucraina, né con quelle cinesi per le persecuzioni degli uiguri, né con quelle iraniane dopo l’uccisione delle ragazze colpevoli solo di non portare il velo. Perché solo Israele? Perché solo gli ebrei? La risposta, purtroppo, è evidente. Qui non si tratta di una scelta di giustizia universale, ma di un’adesione parziale e ideologica, che si traduce in discriminazione. E se l’università, il luogo che per definizione dovrebbe proteggere il pensiero critico e plurale, accetta di piegarsi a questo meccanismo, allora diventa complice di una deriva che rischia di travolgere la stessa idea di sapere libero. Per questo ho lasciato la commissione etica. Non posso, non voglio, far parte di un’istituzione che in nome dell’etica pratica l’ingiustizia. E non posso tacere davanti a un atto che, dietro la maschera dell’impegno politico, ripropone antiche forme di esclusione.

orrore e moralismo