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Il long Covid degli studenti, gli effetti di chiusure e Dad continuano a farsi sentire
Invalsi e Anvur indicano i ritardi della ripresa educativa. Sopratutto tra i più piccoli i risultati peggiorano anche rispetto al pre-pandemia
Invalsi e Anvur hanno recentemente diffuso due rapporti sulla situazione degli studenti italiani, rispettivamente della scuola dell’obbligo e universitari, che raccontano della difficile “ripresa educativa” post Covid, assai più zoppicante di quella economica. A distanza di tre anni dal primo lockdown continuano a farsi sentire gli effetti della chiusura delle scuole e della famigerata Dad. Anzi, forse solo ora – dati alla mano – ci possiamo rendere conto fino in fondo delle conseguenze delle scelte prese tra il 2020 e il 2021, che hanno reso l’Italia uno dei paesi in Europa dove le scuole sono state maggiormente chiuse (25 settimane di chiusura parziale, contro le 24 della Germania e le 5 di Francia e Spagna, oltre a 13 di chiusura totale).
Nei test Invalsi i più in difficoltà sono gli alunni delle elementari, i cui risultati in matematica e italiano continuano a peggiorare sia rispetto all’anno passato sia rispetto al pre-Covid: il calo del risultato medio dal 2019 è stato del 5 per cento in matematica e del 2,5 per cento in italiano. Come nota lo stesso Istituto, il continuo peggioramento potrebbe essere la conseguenza di un effetto pandemico a lungo-termine sugli apprendimenti. I risultati per le altre fasce d’età risultano stabili negli ultimi 3 anni, ma non per questo meno critici: il rischio di dispersione implicita (la percentuale di studenti che conseguono risultati al di sotto di quelli minimi attesi) rimane al 29 per cento e al 37 per cento rispettivamente per gli studenti di terza media e quinta superiore, rispetto al 27 per cento e 26 per cento del 2019. Una nota positiva riguarda l’apprendimento della lingua inglese, in continuo miglioramento negli ultimi anni. Certo, alla luce dei trend nelle altre materie e dell’assenza di riforme negli ultimi anni su questo fronte, viene il dubbio che tale miglioramento non sia avvenuto per meriti del sistema scolastico ma possa essere invece spiegato da una sorta di “effetto Netflix”, dovuto alla diffusione di piattaforme digitali con abbondante materiale in lingua inglese.
Sul fronte universitario, invece, il numero più impressionante diffuso dall’Anvur riguarda il tasso di abbandoni tra il I e il II anno di corso per gli immatricolati triennali dell’anno 2020/2021, che schizza al 15 per cento rispetto all’11 per cento dei loro colleghi un anno più grandi, mangiandosi così ben dieci anni di miglioramenti su questo fronte. Il tasso è più alto per gli studenti provenienti da Istituti professionali, oppure da regioni meridionali o immatricoli in Atenei del sud. La scelta fatta nell’estate del primo lockdown si è quindi rivelata per moltissimi di questi studenti dis-orientati una decisione da ripensare. Il nostro sistema scolastico da sempre fatica a investire sull’orientamento al termine della scuola superiore preferendo godersi l’epopea dell’esame di maturità, la cui utilità però si esaurisce al momento della fatidica stretta di mano con il/la presidente di commissione, a differenza dell’orientamento la cui utilità dura per gli anni a venire. La Dad non ha che esacerbato questo problema. Mostrano un peggioramento anche i dati sugli abbandoni negli anni di corso successivi: come riporta l’Anvur, entro la durata canonica di una triennale “circa uno studente su cinque lascia gli studi universitari e dopo sei anni tale rapporto sale a uno studente su quattro”, segno di quanto il problema dello scarso match tra studente e corso persista nel tempo. Il dato positivo che emerge dal rapporto dell’Agenzia è però il consolidamento nel trend di aumento nel numero di immatricolati e iscritti, assai importante per il paese che è all’ultimo posto della graduatoria per numero di laureati in Europa. Curioso tuttavia che tale trend sia trainato dalle università telematiche e da quelle non-statali tradizionali, che segnano rispettivamente un +410 per cento e un + 21 per cento nel numero di iscritti in dieci anni, rispetto ad un calo dell’1 per cento degli atenei statali.
Invalsi e Anvur sono una fonte essenziale di informazioni: al contrario di quanto afferma chi polemizza sulla “riduzione a un numero”, questi dati sono forse una delle armi più efficaci proprio per gli studenti italiani per far sentire la propria voce, per portare alla luce i problemi urgenti del sistema dell’istruzione italiano, per reclamare che venga fatto di più. I trend emersi dai rapporti dei due istituti ci raccontano di una “ripresa educativa” che non c’è stata dopo gli errori di gestione fatti durante la pandemia e ancora una volta mostrano la necessità di interventi strutturali e complessivi, non cosmetici. Su questo, dal governo del merito i segnali sembrano ancora scarsi.