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Spiagge piene, aule vuote. Il discutibile settembre italiano

Lorenzo Borga

Perché dare al turismo anziché alla scuola le prime due settimane del mese è poco lungimirante. Anche economicamente

La scuola italiana sembra destinata a rimanere chiusa per quasi 200 giorni, esattamente 194. Per farci un’idea di cosa significhi, è la durata di un intero anno scolastico in tempi normali. Un’enormità. Eppure non sembra ancora esserci tra i piani alti della politica la fretta di riaprire. Anzi, le priorità sono altre: nell’interlocuzione tra governo e regioni, è stato riportato – senza smentite – che la riapertura delle scuole non avrebbe potuta essere anticipata al primo settembre per assecondare le esigenze del settore turistico già colpito da una stagione che partirà in ritardo e a mezzo regime, ma che comunque – come dimostrano i numeri – non rappresenta purtroppo un credibile volano per la crescita economico a lungo termine per l’Italia. Le sirene del sistema ricettivo sono state ascoltate dai governatori di regione, che sembrano aver convinto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina a proporre l’inizio dell’anno scolastico per il 14 settembre. Così sono state salvaguardate due settimane di mare e montagna, per riempire hotel e spiagge e tenere vuote le aule.

   

È una scelta politica legittima, ma dovrebbe essere trasparente e aperta al dibattito pubblico. Se così fosse stato, si sarebbe permessa una valutazione – anche economica – della decisione. Perché, evidentemente, la scelta ha seguito una motivazione di priorità economica: meglio offrire due settimane di reddito in più agli operatori turistici, duramente colpiti dal lockdown e dalle misure di distanziamento, oppure 14 giorni di istruzione agli studenti? Una risposta è difficile, e dipende anche da quanto importa del futuro per la politica e la società italiana. Poco, verrebbe da dire, vista la soluzione trovata.

  

Ma quali sono le conseguenze economiche di una chiusura così prolungata delle scuole? Quando riflettiamo su questi dilemmi, tendiamo a preoccuparci dei problemi dei genitori che devono tornare al lavoro e non sanno a chi affidare i figli, oppure dell’alienazione di bambini e ragazzi che non hanno potuto vedere i propri compagni di banco per mesi. Ma queste rischiano di essere quisquilie rispetto agli effetti che le scelte provocheranno nei prossimi anni.

  

Secondo uno studio dell’Ocse i risultati scolastici degli studenti fanno la vera differenza sul Pil. Se l’Italia aumentasse di 25 punti (circa 30 equivalgono a un anno scolastico) i suoi risultati Pisa – i test effettuati dall’Ocse ogni tre anni – godrebbe di un aumento di, tenetevi forte, 5 mila miliardi di dollari di prodotto interno lordo entro il prossimo ventennio. Ci si potrebbe chiedere cosa significhi nel concreto un aumento simile per i risultati degli studenti ai test. Lo studio dà una risposta anche a questo: se pareggiassimo il risultato degli alunni finlandesi (che detengono i migliori risultati scolastici), il paese potrebbe beneficiare di quasi 20 mila miliardi di reddito in più nell’arco di un ventennio! Sebbene le stime possano sbagliarsi, questi numeri permettono di cogliere la potenzialità delle nostre economie. Se questi sono gli effetti di una maggiore qualità della didattica e un incremento degli investimenti nella scuola, immaginiamoci – l’altro lato della medaglia – i danni che può causare la perdita di quasi metà anno scolastico per un’intera generazione di studenti.

  

Come abbiamo scoperto nei mesi di lockdown, la didattica da casa non è la stessa cosa di quella in classe. Molti studenti non hanno accesso alle lezioni online per mancanza di una connessione a internet domestica o di un pc personale, e numerosi insegnanti non sono purtroppo all’altezza – anche per via dell’elevata età media del corpo docente – delle sfide tecnologiche. I dati preliminari di marzo, che speriamo siano migliorati nel tempo, parlano chiaro: solo l’80 per cento degli studenti è stato raggiunto da attività didattiche a distanza, 6,7 milioni su un totale di 8,3. Sono stati persi per strada un milione e mezzo di ragazzi e ragazze! E pure a livello internazionale le cose non vanno meglio: secondo uno studio dell’istituto di ricerca americano Nwea in autunno gli studenti potrebbero tornare sui banchi di scuola avendo perso in media un terzo delle conoscenze in lettura e analisi del testo e più della metà in matematica. Con picchi, per alcuni anni scolastici, di un intero anno scolastico perso. Un vero disastro, soprattutto per un paese come l’Italia in cui già in anni Covid-free siamo stati abituati a larghe perdite di competenze dovute alle lunghe vacanze estive, tra le più prolungate in Europa per l’istituto della Commissione europea Eurydice.

  

Con questi presupposti, oltre ad attendersi un calo del prodotto interno lordo per i prossimi anni – quando gli studenti ora coinvolti dal lockdown entreranno nel mercato del lavoro e avranno stipendi ridotti o troveranno un’occupazione più tardi rispetto a quanto accade oggi – sarà probabile un incremento della disuguaglianza. Tra chi ha potuto studiare in questo periodo, e chi no. Per capacità economiche, attenzioni della famiglia, capacità organizzativa della scuola, e via dicendo. I motivi per cui questo potrebbe accadere sono vari. Alcuni economisti della Banca Mondiale ne hanno individuato due: primo, le famiglie più abbienti possono permettersi case più spaziose, buone connessioni a internet e tutori privati e, in secondo luogo, la crisi economica che abbiamo di fronte porterà i genitori più poveri a non poter più finanziare gli studi dei figli, che saranno costretti a entrare prima nel mercato del lavoro senza un’istruzione adeguata. Già oggi le differenze di apprendimento in Italia tra chi può contare su un computer a casa e chi no sono enormi: sia per la matematica che per la lettura, è come se chi è privo degli strumenti informatici studiasse tra i due e i tre anni in meno degli altri. E il Covid non può che aver ampliato questi solchi.

  

Per tutte queste ragioni regalare due settimane di reddito agli operatori turistici - che potrebbero invece essere compensate attraverso bonus e sussidi - a scapito del futuro del paese, potrebbe non essere stata una buona idea.

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