(foto LaPresse)

Educare al denaro

Marco Disarò

I test parlano chiaro: troppi studenti italiani privi delle minime competenze finanziarie

L’obiettivo dell’educazione finanziaria non si limita alla trasmissione di concetti teorici, ma comprende anche la loro applicazione in azioni concrete nel quotidiano, come la stesura di un budget per prevedere e monitorare le proprie entrate e uscite mensili, oppure gli accorgimenti per evitare frodi e manipolazioni da parte di malintenzionati. Non solo: merito dell’educazione finanziaria di base è anche creare un atteggiamento salutare nei confronti del denaro, che tende a permanere nel medio lungo termine, aiutando a scelte migliori. Così come, ormai più di un secolo fa, si è ritenuto imprescindibile per un bambino saper leggere, scrivere e fare di calcolo, non è immaginabile che ci si possa oggi destreggiare nella società senza conoscere i fondamenti dell’economia e della finanza.

 

Eppure, i pregiudizi sono ancora molti e l’obiettivo dell’alfabetizzazione finanziaria è soltanto tiepidamente accolto nel nostro paese, nonostante i dati siano assai poco lusinghieri. Uno strumento utile per capire la diffusione dell’educazione finanziaria sono le rilevazioni Ocse-Pisa, la più estesa indagine nel campo dell’istruzione. Il vantaggio dei test Pisa – acronimo di Programme for International Student Assessment – è la possibilità di effettuare una misurazione comparabile tra studenti di paesi con lingue e ordinamenti scolastici differenti. In Italia il compito di somministrare le prove e raccogliere i dati è affidato all’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione). I test vengono distribuiti con cadenza triennale a studenti di quindici anni per valutarne le prestazioni in lettura, matematica e scienze, considerate come materie fondamentali per affrontare la vita adulta. A partire dal 2012, è stata inserita anche una sezione facoltativa proprio per valutare il livello di financial literacy. Alcuni argomenti indagati sono la capacità di eseguire transazioni monetarie, effettuare una corretta pianificazione e gestione delle finanze personali, riconoscere che a rendimenti più alti corrispondono generalmente rischi maggiori, e analizzare il panorama finanziario circostante, oltre a identificare, analizzare e applicare informazioni di carattere finanziario.

 

Recentemente sono stati diffusi i risultati della rilevazione del 2018, cui hanno partecipato 9.122 studenti italiani, rappresentativi degli oltre 500.000 quindicenni del paese. Nostro malgrado, i numeri non sono confortanti: tra i 20 paesi che hanno deciso di partecipare all’ultima edizione (13 appartenenti all’Ocse, insieme a sette paesi partner), l’Italia si piazza solo in dodicesima posizione, con un punteggio di 476 punti, nettamente inferiore alla media Ocse (505). Siamo dietro a economie come Estonia, Finlandia, Canada, Polonia, Australia, Stati Uniti, Portogallo, Lettonia, Lituania, Russia e Spagna, facendo meglio solo di Cile, Serbia, Bulgaria, Brasile, Perù, Georgia, Indonesia, ovvero paesi che non consideriamo esattamente come nostri interlocutori primari. L’Italia può contare su un pil maggiore rispetto alla media dei paesi partecipanti, ma a questo livello superiore di benessere corrisponde un livello di alfabetizzazione finanziaria inferiore. A preoccupare è soprattutto il fatto che più del 20 per cento degli studenti italiani non possieda le competenze minime necessarie per prendere decisioni finanziarie responsabili e ben informate, percentuale che sale addirittura a uno studente su due se consideriamo gli istituti professionali.


Tra i 20 paesi che hanno partecipato alle ultime rilevazioni Ocse-Pisa sulla “financial literacy” l’Italia si è piazzata solo 12esima


 

Andando più nel dettaglio, si possono rilevare divari significativi all’interno del campione: ad esempio, se gli studenti del Nord sfiorano i 500 punti, i quindicenni del Sud si aggirano solamente intorno ai 450. Viene purtroppo confermato anche un primato negativo relativo alla differenza di genere: l’Italia è l’unico paese in cui tutte e tre le rilevazioni finora condotte fanno registrare un divario a discapito delle ragazze. Siamo infatti uno dei tre paesi dell’ultima edizione in cui le ragazze ottengono un punteggio significativamente peggiore rispetto ai ragazzi. Questa forbice (di 15 punti) è solo parzialmente spiegabile con una maggiore propensione per la matematica da parte dei ragazzi, evidenziando problematiche di uguaglianza ben più radicate nel tessuto sociale.

 

Ma come si può spiegare questa performance sottotono degli studenti italiani? Un aspetto interessante da considerare è l’indicatore che misura l’interesse degli intervistati a parlare di questioni legate al denaro, fattore che risulta essere correlato positivamente al livello di financial literacy. Anche in questo caso, cattive notizie: se la media Ocse supera il 50 per cento, in Italia questo valore raggiunge appena il 36 per cento, valendoci l’ultima posizione. Non sorprenderà scoprire che il livello di interesse è più alto in quei paesi dove gli studenti sono maggiormente esposti all’educazione finanziaria, che sia di tipo formale sia informale. Vale la pena infatti sottolineare come i quindicenni che si rivolgono ai genitori o consultano Internet per informarsi in tema di soldi mostrino una maggiore literacy finanziaria. Ad affidarsi meno a queste fonti di informazioni sono invece gli studenti svantaggiati per contesto economico e sociale, ovvero proprio coloro che avrebbero più bisogno di competenze finanziarie. Questi tendono a confrontarsi sulle questioni di denaro tra amici oppure ad apprendere nozioni dagli insegnanti.

 

Ma anche dal versante scolastico arrivano cattive notizie: in media, gli studenti italiani affrontano attività o compiti di educazione finanziaria in misura minore rispetto a quanto avviene nelle scuole degli altri paesi Ocse. Nonostante le molteplici attività suppletive proposte da numerosi enti pubblici e privati, rimangono ancora poche le occasioni per parlare di denaro tra le mura scolastiche, sebbene sia un ambiente dove gli studenti passino fin da piccoli gran parte delle loro giornate. Qualcosa sembra si stia muovendo su questo versante, come ad esempio l’istituzione di una Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, sancita nel 2017 – in grosso ritardo rispetto ad altri paesi occidentali. Sempre nel 2017 è stato poi istituito un “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria”, diretto da Annamaria Lusardi, luminare a livello mondiale in tema di educazione finanziaria. Le iniziative del Comitato, che vede coinvolti vari ministeri tra cui quello per l’Istruzione e quello di Economia e Finanze, sono indirizzate a tutte le fasce di età, con materiali accessibili da chiunque sul portale “Quello che conta”. La speranza è che queste iniziative possano promuovere l’educazione finanziaria nei prossimi anni. Dal confronto tra le diverse annate dei test Pisa, emerge infatti che se la media del punteggio Ocse ha fatto registrare un miglioramento negli ultimi tre anni, in Italia la situazione è rimasta statisticamente invariata dal 2012 a oggi, a indicare non solo che siamo partiti da una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi coinvolti, ma anche che finora non si è fatto abbastanza per invertire questa tendenza alla stagnazione.


Rimangono ancora poche le occasioni per parlare a scuola di denaro, un tema come un tabù: qualcosa di moralmente deprecabile


 

La diffusione dell’educazione finanziaria si scontra ancora, purtroppo, con resistenze provenienti da diversi ambienti. Spesso parlare di denaro è visto come un tabù: qualcosa di moralmente deprecabile, come se i soldi fossero un qualcosa di sporco di per sé, quando invece a sporcarli sono le mani di chi li utilizza per scopi deplorevoli. La financial literacy invece è esattamente l’opposto, ovvero uno strumento per leggere la realtà che ci circonda e un esercizio di libera cittadinanza. Uno strumento per prendere decisioni più consapevoli e non lasciarsi abbindolare da chi urla più forte. Forse momenti difficili come quello che stiamo vivendo possono diventare, soprattutto per i più giovani, un’occasione per ripensare al modo in cui ci poniamo rispetto ai soldi, un momento per sviluppare una sorta di “resilienza finanziaria” che ci aiuti a superare le difficoltà attuali e affrontare con più strumenti le crisi future. Ma dobbiamo farlo ora, per evitare di farci trovare ancora una volta impreparati.