Foto LaPresse

L'inutile catechismo civile di Cantone & co. inflitto ai poveri studenti

Antonio Gurrado

Un libro sulla corruzione con l’ambizioso obiettivo di venire diffuso nelle scuole

Bisogna raccontare agli studenti italiani la storia dell’arresto di Mario Chiesa; non quello famigerato del 1992, quando era manager del Pio Albergo Trivulzio, bensì quello in tono minore del 2009, per una faccenda di traffico illecito di rifiuti. Il motivo per cui agli studenti debba poi importare una storia marginale risucchiata dal dimenticatoio è spiegato da Raffaele Cantone, nel nuovo libro scritto col magistrato romanziere (un altro) Francesco Caringella: la reiterazione del reato da parte del primissimo arrestato di Mani Pulite sta “a dimostrazione di quanto la corruzione sia anche un sistema di vita”, dunque ha valore esemplare per le giovani generazioni. La corruzione spiegata ai ragazzi che hanno a cuore il futuro del loro Paese (Mondadori) cela dietro il titolo a metà strada fra Tahar Ben Jelloun e Lina Wertmüller l’ambizioso obiettivo di venire diffuso nelle scuole nella duplice veste di catechismo civile e novello libro Cuore. Catechismo perché strutturato in larga parte su domande e risposte, com’era consuetudine preconciliare, così che i ragazzi possano sfogliarlo trovando requie rispetto agli interrogativi che li attanagliano: “C’è ancora corruzione nella politica? Corruzione e appalti pubblici: un binomio inscindibile? Cosa significa che il Sistema sanitario nazionale è un modello virtuoso? Il tarlo della corruzione insidia anche le giurisdizioni speciali? Perché le cose vanno così male?”. Libro Cuore perché in ogni capitolo vengono presentate, in carattere grigio, le storie esemplari non solo di mariuoli e infamoni, di Mafia Capitale e Terra dei Fuochi, ma anche di modelli edificanti: l’assessore che sacrifica la propria vita per tutelare l’ambiente, il poliziotto ucciso per avere smascherato l’ecomafia, il cervello in fuga all’estero regolarmente bocciato nei concorsi italiani, l’immancabile nume Pietro Calamandrei.

  

Ferma restando l’ovvia condanna della corruzione, ciò che risalta da questo volume è una propensione didattica a considerare che conoscenza e virtù vadano di pari passo, certezza incrinatasi poco dopo la morte di Socrate, e che basti insegnare antidoti alla corruzione per forgiare una generazione pulita; per questo Cantone e Caringella auspicano la diffusione di lezioni anticorruzione a ogni livello scolastico, a partire dalle elementari. Vasto programma, che non tiene presente una delle basi sperimentali della didattica ossia che, se s’inculca a dei ragazzi un precetto, per uno che lo seguirà infervorato dieci faranno il contrario a bella posta e cento penseranno indifferenti allo smartphone o all’interrogazione dell’ora dopo. Per tacere della dimostrazione contraria che deriva dai fatti in quanto, dopo decenni che la scuola si occupa della formazione etica degli alunni, la società non sembra migliorata.

  

Se si tratta di un errore d’ingenuità, è tuttavia radicato su un presupposto antropologico che il libro postula fra le righe, ossia che i giovani e i bambini in particolare siano buoni in quanto tabula rasa: immersi in un insegnamento ostile alla corruzione, non potranno che imbeversene e diventare così “i soldati che con più efficacia possono lottare contro la piaga del millennio”. Magari. Se l’uomo fosse così tanto addomesticabile e così poco contraddittorio, molte delle storie brigantesche che il libro racconta (mettendo un po’ troppo sullo stesso piano indagini in corso e condanne in giudicato, parrebbe) non sarebbero accadute; inoltre, questa fiducia nella supina bontà dell’infante è un po’ troppo appiattita sulla lettura dell’anticorruzione come lotta dei buoni contro i cattivi, contro quelli che hanno fatto della corruzione un sistema di vita, uno stile. E infatti per corruzione, spiegano Cantone e Caringella, non va inteso solo il reato ma un “senso più ampio”, un più generale atteggiamento per suffragare il quale viene chiamato in causa, nientemeno, il Cristianesimo. Un Cristianesimo mediatico e a tratti immaginario, guidato da un Papa che per primo “ha ingaggiato una battaglia campale contro la corruzione”, e dalle etimologie degne del peggior Isidoro di Siviglia, visto che il termine “corrotto” richiama a Francesco il “cuore-rotto”; un Cristianesimo, quel che è peggio, ridotto a dal volume a religione civile in quanto dimentico del dettaglio teologico che la corruzione è intrinseca a ogni uomo a causa del peccato originale. Se la lotta alla corruzione viene ridotta a ditino puntato, a generica indicazione di fare i bravi, allora sì che l’istruzione può illudersi di avere “un ruolo centrale nell’affermazione di un’etica che spazzi via le sirene del particolarismo, del familismo e dell’illegalità”. Cantone e Caringella sono infatti convinti che il contrario di “corruzione” sia “cultura”: la prima è chiusura nei confronti degli altri e del futuro, la seconda è “confronto, ricerca, voglia di innovazione, piacere per l’incontro, attenzione per le opinioni e i bisogni degli altri, contaminazione, viaggio”. Perché non sia contaminazione e viaggio anche la corruzione non è chiaro. Può darsi che Cantone e Caringella lo credano davvero, ma c’è un dettaglio che sembra rivelatore riguardo al vero target cui si rivolge questo libro ad usum delphini: riferisce che in Giappone tutti devono inchinarsi dinanzi all’imperatore salvo gli insegnanti, perché anche l’imperatore ne ha avuto uno che l’ha formato. Ecco, dunque: questo è un libro per studenti nel senso che è un libro per come gli insegnanti immaginano che gli studenti siano. Chissà a quanti innocenti sarà comminato come lettura estiva.