Raffaele Cantone (foto LaPresse)

Quanto è davvero "dilagante" la corruzione in Italia?

Massimo Bordin

L'aggettivo è usato sempre con frequenza e contribuisce ad alimentare allarmismo. Su cui però non tutti sono d'accordo

Dilagante. E’ l’aggettivo più usato per definire il fenomeno della corruzione nel nostro paese. La parola suona come un campanello d’allarme, evoca la piena di un fiume, la rottura di una diga. Non contiene giudizi morali, piuttosto si richiama alla statistica. L’esperienza insegna però che ormai perfino la statistica si presta a controversie. Per esempio la massima autorità delegata a combattere la corruzione, il dottore Raffaele Cantone, ha recentemente azzardato che il fenomeno è in flessione, lieve ma verificata. L’aggettivo idrico però continua però a essere usato. Abbiamo imparato che un fenomeno si rileva anche dalla sua percezione e dall’allarme che, aggettivi aiutando, crea. C’è poi, oltre l’allarme, l’aspettativa. Quanti soldi si potrebbero recuperare? Anche qui non è semplice perché tratta in ogni caso di stime, come per il famoso recupero dell’evasione fiscale, e non potrebbe essere altrimenti. Allarme e aspettative chiedono comunque misure urgenti. Eccezionali, d’emergenza. Va per la maggiore l’applicazione delle misure antimafia anche per i reati di corruzione. Molti magistrati lo propongono ma ieri il procuratore generale romano Giovanni Salvi in una intervista a Il Dubbio ha spiegato che in realtà, oltre a problemi squisitamente giuridici, ne esistono di pratici. Per esempio Salvi, con un piccolo capolavoro nell’esercizio della litòte, ha fatto notare come già nella gestione dei beni confiscati alla mafia le strutture si siano rivelate “ancora non del tutto adeguate”. Il procuratore romano Giuseppe Pignatone la pensa invece, almeno sugli aspetti giuridici, in modo diverso e varrà la pena tornare su questo dibattito.

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