Ma chi l'ha detto che le lezioni devono essere confinate solo alla mattina

Redazione

Se l’obiettivo è ottimizzare i risultati scolastici, è forse più saggio perseguirlo dimostrando agli alunni che l’istruzione funziona quando impegna l’intera giornata

E’ passato senza troppi clamori uno studio britannico, condotto dalla ricercatrice Velichka Dimitrova, in cui si dimostrava che gli studenti ottengono voti migliori in matematica (e nelle materie scientifiche) se assistono alle lezioni di mattina, e voti migliori in storia (e nelle materie umanistiche) se assistono alle lezioni nel pomeriggio. Potrà dirsi che la ricercatrice è di parte, essendo una matematica, ma si ridurrebbe l’indagine al modo un po’ codino con cui è stata letta in Italia: un tentativo di stabilire una gerarchia fra materie che richiedono maggiore concentrazione, quindi più importanti, e materie dall’anima più discorsiva, quindi succedanee. A ciò si aggiunge il difetto che lo studio della Dimitrova è basato sui voti e quindi individua in toto l’utilità dell’istruzione nel quantificabile profitto nelle verifiche.

 

Provando invece a leggere questo studio fra le righe, ci si accorge di ciò che dà per scontato: la dedizione dello studente all’istruzione per l’intera giornata feriale. Uno dei difetti principali dell’istruzione superiore in Italia è il suo confinamento entro le ore mattutine, e l’identificazione della giornata scolastica col periodo che va, grossomodo, dalle otto alle quattordici. Ciò comporta conseguenze sullo spirito degli allievi: essendo la giornata una mezza giornata, sono portati a ritenersi studenti a mezzo servizio; essendo forzati in ore in larga parte sgradevoli, reagiscono con lo studiare poco e male a casa ovvero col controbilanciare la concentrazione mattutina diluendo l’istruzione pomeridiana.

 

Se l’obiettivo è ottimizzare i risultati scolastici, è forse più saggio perseguirlo dimostrando agli alunni che l’istruzione – peraltro limitata a un arco di nove mesi su dodici, con vacanze intermedie – funziona quando impegna l’intera giornata. E’ improbabile che l’interesse di un liceale resti costante se dalle otto all’una deve passare dalla matematica alla storia, dal disegno alla biologia, con magari in mezzo un’ora di educazione fisica. E’ più probabile invece che una scuola aperta dalle nove alle diciannove, con fasce orarie dedicate in modo ragionevole a materie specifiche intervallate da tempi e spazi per lo studio (oltre che per la socializzazione), consenta di trarre maggior profitto sia dalle ore mattutine sia da quelle pomeridiane. Una lezione di filosofia alle diciassette, dopo avere studiato fisica e prima di una partita di basket, sarebbe meno sensata della stessa lezione a mezzogiorno, rosi dalla fame?

 

Una ristrutturazione del genere si scontrerebbe sia con l’opposizione sindacale dei docenti sia con l’inadeguatezza logistica di molti istituti. Forse però la massima resistenza verrebbe dalla ritrosia a un nuovo concetto di profitto, non individuabile nella valutazione delle verifiche ma nelle soft skills: organizzare la propria giornata nel modo più funzionale, rendere più indipendenti gli adolescenti italiani e, magari, consentire loro una miglior riuscita all’impatto con l’università, quando la responsabilità del metodo di studio viene lasciata gravare interamente sulle spalle della matricola.

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