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cattivi scienziati

Nuovi antibiotici dal microbioma epidermico

Enrico Bucci

La complessa ecologia dei microorganismi che vivono su di noi include la produzione di molecole usate da certe specie per tenere lontani i competitori. Queste molecole, la cui esplorazione è appena iniziata, funzionano da potenti antibiotici, che potremo presto testare clinicamente

La nostra pelle, i nostri epiteli e le nostre mucose sono l’ambiente naturale di una vasta comunità di viventi, che include principalmente batteri, funghi e acari, di moltissime specie e in moltissime combinazioni diverse fra di loro.

Fra gli organismi che passano la vita su questa sorta di microscopica savana, le relazioni ecologiche sono ricche e intricate: vi sono consumatori primari, come ad esempio gli acari che si nutrono delle cellule morte della nostra epidermide, simbionti, come le comunità di batteri che intrecciano relazioni trofiche e di altro tipo mutualmente vantaggiose fra loro e con il nostro stesso corpo, e anche predatori, come i virus e diversi protozoi che si nutrono della flora batterica.

Questa varia comunità ecologica, naturalmente, vede anche un’interazione che ci può interessare più di altre: quella competitiva.

Il lettore ricorderà che molti microrganismi, nei più svariati ambienti, producono sostanze attive che escludono gli altri; la penicillina, il primo degli antibiotici identificato per le sue proprietà farmacologiche, è un esempio ben noto di queste sostanze.

Anche i nostri epiteli non fanno eccezione: proprio perché la comunità che supportano è vasta e variegata, la competizione mediante produzione di sostanze ad ampio spettro antibiotico è, da un punto di vista sia evolutivo che ecologico, ciò che gli scienziati si attendono da tempo.

Proprio questo punto ha trovato una brillante conferma in un nuovo lavoro appena pubblicato su Nature Microbiology, grazie allo sforzo decennale di un gruppo di ricerca tedesco che ha portato all’identificazione di un potente e nuovo antibiotico dalla struttura chimica diversa rispetto a quanto sin qui noto. L’epifadina, questo il nome con cui è stata battezzata la nuova molecola, è prodotta da un batterio diffuso sulla pelle e in particolare nelle nostre radici, Staphylococcus epidermidis.

L’epifadina non agisce solo contro i batteri che localmente sono in concorrenza con lo Staphylococcus epidermidis perché vivono nello stesso ambiente, ma è efficace anche contro i batteri provenienti da altri habitat come l'intestino e persino contro alcuni funghi. I ricercatori hanno scoperto che è particolarmente efficace contro il batterio potenzialmente patogeno Staphylococcus aureus, il quale è la causa di una delle più diffuse infezioni ospedaliere, particolarmente pericolosa nella forma resistente agli antibiotici (MRSA), tanto da costituire una vera emergenza sanitaria.

I due stafilococchi congeneri, cioè, sono evidentemente in stretta competizione (cosa probabile quando si ha a che fare con specie molto simili), e fortunatamente quello per noi innocuo ha sviluppato un’arma per tenere sotto controllo l’altro.

Negli esperimenti, l’epifadina ha ucciso in modo affidabile Staphylococcus aureus, distruggendo le sue cellule attraverso un danno irreversibile alla loro membrana cellulare.

La struttura chimica dell'epifadina è estremamente instabile e la sostanza è attiva solo per pochissime ore; pertanto, l'epifadina ha un effetto prevalentemente locale, il che riduce la probabilità di danni indesiderati al resto del microbioma umano, danni comuni con molti antibiotici ad ampio spettro.

Siamo certamente solo all’inizio, e sono necessarie ulteriori ricerche per scoprire se l’epifadina o i suoi derivati possono essere utilizzati a scopo terapeutico; una prospettiva interessante, ventilata dagli stessi autori, è quella di utilizzare gli stessi batteri come farmaco, colonizzando la pelle e le mucose con lo Staphylococcus epidermidis produttore di epifadina, un po’ come si intende fare quando si assumono probiotici per modulare la flora intestinale.

Questo approccio potrebbe consentire di modulare il microbioma epiteliale, mantenendo sotto controllo patogeni come S.aureus, senza bisogno di applicazioni troppo frequenti di epifadina, grazie al fatto che i batteri benefici auspicabilmente colonizzerebbero i siti trattati e manterrebbero un buon livello di epifadina.

Val la pena a questo punto ricordare che nel 2016 lo stesso gruppo di lavoro dell’Università di Tubinga ha scoperto una precedente sostanza antibiotica sconosciuta con una struttura unica: la lugdunina.

L’epifadina è dunque la seconda scoperta di questo tipo che questo gruppo di lavoro ha fatto nel microbioma umano; questo conferma come l’esplorazione della nostra “savana epidermica” è ancora quasi al punto di partenza, e la conoscenza dettagliata della sua ecologia potrà portare alla scoperta di molti, interessanti modulatori utili contro patogeni esterni ed interni.

Il safari sulla nostra pelle è appena iniziato.

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