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Siamo moltitudine

Come le ricerche sul nostro microbioma stanno cambiando la percezione che abbiamo di noi stessi

Enrico Bucci

Almeno in alcuni settori, sempre più studi stanno mettendo in discussione la tradizionale concezione della nostra individualità. Aprendo immense prospettive tutte ancora da esplorare

Come esseri umani, siamo abituati a pensare a noi stessi come individui distinti della specie Homo sapiens. Tuttavia, ciò che sta emergendo dalla ricerca scientifica è che siamo molto di più di semplici individui. Il nostro corpo ospita trilioni di individui di una vasta gamma di organismi, tra cui batteri, virus e funghi, che vivono su di noi e all'interno di noi, a costituire il nostro personale microbioma. Fino a molto recentemente, abbiamo inteso il microbioma come la somma di parassiti, simbionti e commensali con i quali dobbiamo confrontarci ogni istante della nostra esistenza; abbiamo cioè inconsciamente limitato il piano della nostra interazione con i microbi che ci popolano al livello ecologico. In realtà, anche considerando solo i batteri, cioè i componenti più studiati di questo nostro ecosistema interno, tutti questi microbi lavorano insieme per influenzare il nostro corpo in modi sorprendenti, che vanno molto oltre le interazioni ecologiche classiche di commensalismo, simbiosi e parassitismo. Nello specifico, lo studio del nostro microbioma ci costringe a rivedere i fondamenti stessi della definizione di individuo umano sin qui accettata, basata sull’identità immunologica, cognitiva e genetica di ogni essere umano. Esaminiamo quindi questi tre livelli di identità individuale, per vedere come il microbioma contribuisca sia a definirli, che a mantenerli e adattarli a condizioni interne ed esterne diverse. Per cominciare, sta divenendo sempre più chiaro che la difesa immunitaria, e dunque il riconoscimento immunologico di self e non-self, non è dovuta semplicemente all’azione del nostro sistema immunitario, nel senso che comunemente si intende, perchè il microbiota gioca un ruolo fondamentale nell’induzione, formazione e funzione del sistema immunitario ospite.

 

Di converso, il sistema immunitario si è ampiamente evoluto come mezzo per mantenere la relazione simbiotica dell’ospite con microbi altamente diversi ed in evoluzione. Quando funziona in modo ottimale, questa alleanza sistema immunitario-microbiota consente l’induzione di risposte protettive verso gli agenti patogeni e il mantenimento di percorsi regolatori coinvolti nel mantenimento della tolleranza agli antigeni innocui. La difesa e la tolleranza immunologica, e dunque il riconoscimento del sé immunologico, sono quindi frutto di una cooperazione fra noi e i nostri microscopici ospiti, e ciò che il sistema immunitario vede come “sé” comprende trilioni di cellule e virus ospiti, i quali, per differenza, contribuiscono anche a determinare il “diverso da sé”. Immunologicamente, dunque, possiamo definirci un olobionte, che delimita ad un gruppo diversissimo di organismi la tolleranza immunologica, escludendo poi gli altri; il “sé” immunologico è piuttosto un “noi”. Guardiamo poi a quella che intuitivamente definiamo la mente, ovvero, secondo il dizionario APA, “l’insieme di tutti i fenomeni intellettuali e psicologici di un organismo, che comprendono i sistemi motivazionali, affettivi, comportamentali, percettivi e cognitivi; cioè l'insieme organizzato dei processi mentali e psichici di un organismo e delle componenti cognitive strutturali e funzionali da cui dipendono.” Tutti sperimentiamo l'intima comunicazione tra il cervello e l'intestino quando ci sentiamo nervosi, ma la connessione è più profonda. Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra la mancanza di alcuni batteri intestinali e la depressione, nonché l’ansia, ma non sappiamo se tale collegamento sia causale. Negli studi sui roditori, i trapianti fecali da persone depresse ai ratti sembrano indurre comportamenti depressivi nei ratti. E negli studi preliminari, quando le persone affette da depressione sono state trattate con trapianti fecali, i loro sintomi sono migliorati. Il legame fra il nostro microbiota e il nostro sistema nervoso centrale si fonda su strutture anatomiche e una neurochimica specifica: i batteri comunicano con il sistema nervoso centrale attraverso la produzione di neurotrasmettitori specifici, come acidi grassi a catena corta, glutammato, acido γ-aminobutirrico, dopamina, norepinefrina, serotonina e istamina. Le fibre afferenti del nervo vago trasportano i segnali dal tratto gastrointestinale e dal microbiota intestinale al cervello e sono anche collegate a recettori nell’esofago, nel fegato e nel pancreas. In risposta a questi stimoli, il cervello invia a sua volta segnali alle cellule enteroepiteliali tramite fibre efferenti. Le fibre del nervo vago non sono in contatto diretto con la parete intestinale o il microbiota intestinale; invece, i segnali raggiungono il microbiota intestinale attraverso un numero compreso fra 100 e 500 milioni di neuroni del sistema nervoso enterico nella parete intestinale.

 

Dunque, siamo letteralmente costruiti perché il nostro sistema nervoso centrale riceva stimoli dal microbioma intestinale e risponda a quelli; guardando ai citati studi sulla depressione e ad altri dati, che mostrano connessioni con ansia, socialità ed emozioni, si comincia oggi ad illuminare il modo in cui questo processo altera i nostri stati mentali, contribuisce a formarli e da quelli, a sua volta, è regolato. Proprio come abbiamo visto accadere per la nostra identità immunologica, almeno in parte anche la nostra mente è in realtà espressione dell’attività di trilioni di organismi che vivono dentro di noi, e non semplicemente dei nostri neuroni e dell’ambiente esterno a noi. Infine, guardiamo alla nostra identità genetica. A parte il fatto, ben noto, che un terzo dei geni presenti in esso ha origine nei batteri, ed un’altra consistente porzione nei virus, e non per relazione filogenetica, bensì prevalentemente per trasferimento orizzontale, ciò che conta ai fini del discorso che si fa qui è che i microbi presenti nel nostro corpo influenzano direttamente il modo in cui l’informazione contenuta nei nostri geni è letta e interpretata dalle nostre stesse cellule. Se è vero che il nostro genoma regola la composizione del microbioma attraverso diversi elementi epigenetici (inclusi sia microRNA che enzimi metilanti), d’altra parte, il microbioma intestinale modula il genoma dell’ospite attraverso i suoi metaboliti, che regolano loci genetici dell’ospite in grado di cambiare la quantità di certe proteine e interagiscono direttamente con certe varianti genetiche umane specifiche, dette per questo varianti genetiche associate al microbioma. Nel complesso, numerosi studi negli ultimi anni hanno dimostrato in modo definitivo che i microbi intestinali esercitano impatti distinti sul nostro DNA, sulla sua metilazione, sulla struttura della cromatina e sull’espressione di diversi tipi di RNA umano; e la cosa ha un impatto così profondo, che per esempio in casi particolari questo tipo di modulazione dell’attività del genoma umano da parte dei microbi intestinali è legato allo sviluppo di malattie come il cancro del colon retto.

 

In sostanza, la nostra identità genetica non è quindi controllata solo dal DNA ereditato dai nostri genitori e dall’azione dell’ambiente su di esso, ma anche specificamente dal modo in cui tale patrimonio genetico controlla il nostro microbioma ed è da quello controllato nella sua attività su diversi assi. L’orchestra che suona lo spartito costituito dal nostro genoma non ha un solo esecutore – noi stessi – ma, anche in questo caso, una moltitudine di organismi di tipi diversissimi, che insieme sono in equilibrio dinamico più o meno stabile. Cosa siamo, dunque? O, più specificamente, cosa è un individuo umano? Nonostante la nostra istintiva e radicatissima percezione della nostra singola individualità, noi siamo in realtà una pluralità di esseri viventi, ovvero un meta- organismo, cioè il risultato di un intero ecosistema strettamente e intricatissimamente connesso su più livelli grazie ad una complessissima rete di scambi biochimici. Le implicazioni sono profonde e ancora oggetto di uno studio intensissimo e nuovo; ma l’abbandono scientifico del nostro io individuale apre prospettive, anche applicative, immense e ancora da esplorare.

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