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Cattivi scienziati

Appetito e sazietà hanno origini antichissime

Enrico Bucci

Un nuovo lavoro dimostra che il meccanismo di controllo ormonale del senso di sazietà è comune probabilmente all’intero regno animale e precede persino la diversificazione fra le meduse e gli altri animali

Tutti abbiamo esperienza tanto della sensazione che chiamiamo appetito, tanto di quella opposta, la sazietà. Si tratta di un sistema di controllo fondamentale per la nostra salute, che, se danneggiato, porta a serie conseguenze, dovute tanto alla deprivazione di cibo che, all’opposto, a condizioni come l’obesità e la perdita di controllo sulla glicemia. Regolare l’assunzione di una giusta quantità di cibo è indispensabile per ogni forma vivente; negli animali, decenni di ricerca hanno dimostrato che la motivazione a nutrirsi, cioè l’alternarsi delle due sensazioni antagoniste, è controllata da ormoni e piccole proteine chiamate neuropeptidi. Questo vale per una vasta gamma di organismi viventi, che si tratti di esseri umani, topi o moscerini della frutta.

Ora, un nuovo lavoro dimostra che il meccanismo di controllo ormonale del senso di sazietà è comune probabilmente all’intero regno animale, e ha quindi un’origine antichissima, che precede persino la diversificazione fra le meduse e gli altri animali. La divisione fra questi due gruppi è avvenuta almeno 600 milioni di anni fa e la loro struttura corporea non potrebbe essere più diversa; in particolare, le meduse possiedono sistemi nervosi a rete diffusa, a differenza degli altri animali che hanno strutture molto più centralizzate, con gangli e cervelli via via più sviluppati. Ciononostante, le meduse mostrano un ricco repertorio di comportamenti, tra cui elaborate strategie di foraggiamento, rituali di accoppiamento, sonno e persino semplici forme di apprendimento. Nel nuovo lavoro, ci si è concentrati su meduse del genere Cladonema, le quali cessano di nutrirsi dopo essersi alimentate a sufficienza. Sono stati confrontati i profili genetici di meduse affamate e ben nutrite, e, come atteso, ne è risultato che, a seconda dello stato di alimentazione, molti geni hanno cambiato il loro stato di espressione. Fra questi, alcuni codificavano proprio per dei neuropeptidi, ovvero quella classe di piccole proteine che abbiamo detto controllare fame e sazietà anche nei mammiferi. Fra questi, cinque sono risultati ridurre l'alimentazione nelle meduse affamate.

I ricercatori hanno quindi approfondito il modo in cui uno di questi neuropeptidi, chiamato GLWamide, controlla l'alimentazione. Un'analisi comportamentale dettagliata ha rivelato che GLWamide ha inibito l'accorciamento dei tentacoli, un passaggio cruciale per trasferire la preda catturata alla bocca. Si è quindi trovato che era presente nei motoneuroni situati alla base dei tentacoli; quando la medusa consumava un pasto, il livello di GLWamide aumentava, bloccando gradualmente i tentacoli e impedendo così l’ulteriore alimentazione. GWLamide, dunque, agisce nelle meduse Cladonema come un neuropeptide di sazietà, cioè un segnale inviato al sistema nervoso che indica che il corpo ha avuto cibo a sufficienza.

Ora, confrontando la struttura di GLWamide con quella di altri neuropeptidi noti per controllare il senso di sazietà in altre specie animali, i ricercatori hanno notato la sua somiglianza con il neuropeptide MIP, che controlla la sazietà nel moscerino della frutta. I moscerini della frutta privi di MIP mangiano più cibo, diventando infine “obesi”. La similitudine di struttura e funzione di MIP e GLWamide suggerisce che siamo di fronte ad un neuropeptide di sazietà e ad un corrispondente meccanismo molecolare conservati dall’evoluzione per un tempo lunghissimo. Per confermare questo punto, il neuropeptide MIP del moscerino è stato somministrato alle meduse affamate, e ciò, esattamente come nel caso di GLWamide, ne ha ridotto l’alimentazione; similmente, facendo in modo che i moscerini “obesi” privi del neuropeptide MIP esprimessero invece il prodotto della medusa GLWamide, questi hanno dismesso il comportamento di alimentazione eccessiva, recuperando quindi il senso di sazietà.

Struttura e funzione di un neuropeptide che controlla la sazietà sono dunque preservate per almeno 600 milioni di anni nell’evoluzione che ha portato da un lato alle meduse moderne e dall’altro ad un ampio gruppo di altri animali caratterizzati dal neuropeptide MIP, comprendente oltre agli insetti almeno i vermi anellidi e gli aracnidi. Continuando questo tipo di studi comparativi, sarà forse possibile individuare meccanismi comuni anche con altri gruppi di animali, quali i mammiferi; e non è detto che gli unici mediatori chimici di comportamento evolutivamente antichi siano quelli che controllano fame e sazietà, visto che è già stato dimostrato come alcuni neuropeptidi precedano l’evoluzione degli stessi animali. Si apre quindi un panorama affascinante, in cui dei comportamenti fondamentali per la nostra sopravvivenza appaiono controllati, ancora oggi, nello stesso modo in cui avveniva negli oceani primordiali, prima ancora che esistessero animali propriamente detti. In quei remotissimi mari, esistevano organismi che controllavano alcuni basilari comportamenti usando gli stessi pezzi e meccanismi molecolari che ci fanno alzare da tavola soddisfatti dopo un buon pranzo, e forse anche altri moduli comportamentali; dopotutto, certe sensazioni che proviamo potrebbero essere ataviche in un senso che, sin qui, era difficile immaginare.

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