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il libro

La Xylella e il Salento. Il racconto meravigliosamente fattuale di Daniele Rielli

Nicola Pedrazzi

Come è potuto accadere che un batterio proveniente dal Costa Rica abbia ucciso 21 milioni di alberi di ulivo. Un libro ricostruisce la vicenda

"Il Fuoco invisibile" di Daniele Rielli (Rizzoli) è un libro che ne contiene almeno quattro. L’architrave del racconto è meravigliosamente fattuale: raccogliendo dati, intervistando (e rispettando) persone di diversa opinione, studiando e divulgando biologia l’autore ricostruisce come è potuto accadere che un batterio proveniente dal Costa Rica sia avanzato in Salento per un decennio, uccidendo 21 milioni di alberi di ulivo, senza che fossero attuate le misure di quarantena suggerite dalla scienza. Vale la pena leggerlo anche solo per questo: per ripassare la fatica e il tempo richieste alla professione del giornalista, soprattutto al tempo di internet, un’epoca che miscela relativismo assoluto e certezza delle opinioni, sfarinando quel senso di realtà condivisa che rende possibili le decisioni delle comunità politiche.

Il piacere della lettura però non sta tanto nella lezione di deontologia, ma nella disponibilità dello scrittore a discutere gli stessi attrezzi del mestiere. Mentre il Rielli illuminista dimostra che il dilagare dell’epidemia fu dovuto al rifiuto – da parte del territorio, della politica e addirittura delle istituzioni – delle conclusioni cui il gruppo di ricercatori del Cnr di Bari era giunto in tempi ragionevoli, il Rielli narratore trova spiegazioni letterarie al successo del fronte negazionista, che non aveva prove ma una storia migliore: “La storia archetipale – scrive a metà libro, dopo aver dimostrato l’assoluta buona fede di persone in errore – ci porta oltre ai particolari, ci conduce con slancio in un altro mondo, possiede un afflato metafisico che ci cura. Qual è in fondo la trama di ‘Avatar’ di James Cameron, il film che ha realizzato i più alti incassi della storia del cinema? Un popolo autoctono deve difendersi da una multinazionale straniera che vuole distruggere i suoi antichi alberi sacri”. 

A questo problema si aggancia il terzo libro, scritto dal romanziere. Tra gli archetipi narrativi più invincibili della contemporaneità urbana vi è infatti il mito del rapporto Uomo-natura: i piccoli agricoltori che si schierano contro l’abbattimento precauzionale degli ulivi spesso lo fanno in nome di un legame antico, pacifico e irrinunciabile che legherebbe i salentini al proprio paesaggio. E’ un mito che viene messo a punto negli stessi anni in cui la modernità allontana gli italiani dalle campagne, e che nel caso specifico riesce a farci dimenticare non soltanto che il Salento è coperto di ulivi per ragioni antropiche e non naturali, ma che il rapporto con quella coltura storicamente non è per nulla pacifico. In questo caso il Vero viene riaffermato non dalla scienza ma dalla letteratura: Rielli lascia la parola a Paolo, un nachiru di Cutrofiano, che nell’estate del 1709 ha bisogno di soldi e rischia la vita in un frantoio di Gallipoli: sei metri sotto terra, insieme ai muli, negli inferi dell’olio lampante che al tempo concorreva con l’olio di balena.

E qui, dalle viscere della terra, esce il quarto libro. Insieme al giornalista che usa i ferri del mestiere senza rivendicarli e dello scrittore che li disvela, c’è il Rielli in persona, o personaggio: che è di origine salentina, possiede un appezzamento di ulivi che si ammalano, e ha un padre, a questi alberi legatissimo, che non vuole abbatterli. Rielli senior ha letto tutte le carte raccolte dal figlio, ha letto in anteprima il libro, ma al dunque rimane negazionista. Che fare? Insomma l’autore ha visto, studiato e dimostrato: nonostante l’Italia, ha fatto l’adulto, lo è diventato. Ma il rapporto con il padre lo radica, gli impedisce (o gli consente di non) porsi al di fuori delle credulità del luogo. La definitiva credibilità del racconto sgorga più da questo stallo personale che dalle prove fornite dal metodo.

Dentro al fuoco invisibile di un Mezzogiorno crepuscolare, anziano e post grillino, possiamo scegliere che lettore essere. Possiamo girare le pagine e sgomentarci per l’approccio ideologico della procura di Lecce (che fa una pessima figura sulla carta, totalmente a prescindere da ogni baruffa altrettanto ideologica sullo stato della magistratura italiana), possiamo indignarci per la condotta di un ceto politico che va dalle contraffazioni dell’eurodeputata pentastellata Rosa d’Amato alle astuzie elettorali del governatore Michele Emiliano, possiamo sorridere dell’attivista Ivano Gioffreda, che ha l’aspetto di un saggio contadino locale ma parla riciclando le teorie di un agronomo colombiano inventore dell’“agricolutra rigenerativa” (tal Jairo Restrepo Rivera), conosciuto grazie a internet e alle connessioni internazionaliste dei circoli romani di Rifondazione, dove comincia a militare in età avanzata, per sensibilità ambientalista. Di tutto questo, di questo Salento, di questo occidente post illuminista, fatto di archetipi finto antichi e globalizzazione travestita da campagna, possiamo ridere o possiamo spaventarci. Questi quattro libri intrecciati non hanno una soluzione né una formula per il futuro, ma indicano senza dubbio una via più degna dello sgomento, del distacco, del senso di superiorità. Un raccolto più faticoso, fatto di consapevolezza, ricerca del vero, ascolto, riconciliazione con le cose umane.

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