Foto di National Cancer Institute, via Unsplash 

la replica

Facciamola finita: non esiste "un" metodo scientifico. Ne esistono infiniti

Fabio Massimo Nicosia

I ricercatori dovrebbero svincolarsi dall'idea che i dubbi nella scienza siano fastidio e non crescita. E cominciare a capire che la rivoluzione consiste anche nell'introduzione di nuove epistemologie

Intendo replicare all’articolo di Enrico Bucci, qui pubblicato il 4 aprile (“L’accusa di ‘scientismo’, irrazionalità spacciata per dibattito”), nel quale l’autore rivendica il ruolo di progresso dei ricercatori scientifici, contro chi, invece, non in grado di capire questo ruolo, lancia indiscriminate accuse di “scientismo”, ossia di unilateralismo dogmatico, all’intero mondo della scienza. Al solo scopo di arricchire la discussione, si rendono però necessarie alcune puntualizzazioni, dato che non possiamo ignorare di essere reduci da una controversa gestione della pandemia, nel corso della quale si è assistito a una sovraesposizione mediatica di alcuni scienziati, il che non pare abbia giovato alla causa.

Se perciò il dibattito che si svolge attorno alla scienza appare a volte ridotto a barzelletta, bisognerebbe però chiedersi di chi sia la responsabilità di avere fatto crollare la fiducia nella scienza in vaste aree di pubblico, di fronte a quell’approccio da ipse dixit, e che però mutava settimanalmente; di tal che si è pervenuti al rigorismo estremo e intollerante, ma dopo un lungo periodo in cui ci si diceva “In Italia il virus non esiste”, da cui poi gli “Abbraccia un cinese”, “L’unico virus è il razzismo”, fino a quando poi i ruoli si sono invertiti; sicché non pare utile prendersela con le posizioni estreme, senza considerare questi fattori critici.

Occorre anche considerare, che, per un autore multiforme come Friedrich von Hayek, lo scientismo rappresenta la “presunzione di conoscere”, che diventa poi “presunzione di comandare in nome del proprio conoscere”, quando la conoscenza non è qualcosa di concentrato nelle menti e nelle mani di pochi specialisti, ma rappresenta una ricchezza diffusa e dispersa, concetto che negli anni scorsi è stato messo a grave repentaglio, ogni volta che si è detto che solo quegli ondivaghi specialisti erano autorizzati a parlare; anche se sembra che siamo finalmente usciti dal “burionismo”, ossia quella fase, nella quale il ricercatore si sentiva autorizzato a insultare chiunque ponesse dei dubbi, come se porre dubbi nella scienza fosse attività di disturbo e non di crescita.

V’è poi un problema di fondo, ossia che non esiste “un” metodo scientifico, ne esistono infiniti: secondo le ultime epistemologie, nemmeno è richiesta la replicabilità, per potersi parlare di scienza; il che è addirittura intuitivo, perché, se per caso in me l’aspirina funziona e in te no, oppure a me qualche volta funziona, e qualche volta no, l’averla ingerita continua a essere “scientifico”. Feyerabend diceva Everything goes, proprio per farla finita con questo discorso ”del” metodo scientifico: e quando Lakatos parlava di libera concorrenza tra i programmi di ricerca sottintendeva anche anche libera concorrenza dei metodi di ricerca ed epistemologie, così come i salti di paradigma di Kuhn sono anche salti di paradigmi attorno “al” metodo scientifico, per cui la rivoluzione, a ogni salto di paradigma, consiste anche nell’introduzione di nuovi metodi epistemologici e di ricerca; del resto, la storia della filosofia della scienza é una storia di susseguirsi di epistemologie, ma ciò significa che le epistemologie, così come si susseguono, così possono anche convivere e sfidarsi.

E purtroppo quel tipo di dibattito ci ha fatto venire il dubbio che, almeno in alcuni casi, possa avere avuto ragione Nietzsche il quale pronunciò quell’epitaffio, secondo il quale la scienza è solo l’astuzia dietro la quale viene nascosta la verità, e non vorremmo proprio che fosse davvero così.

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