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Cattivi Scienziati

Così i virus e le epidemie hanno influenzato la storia della vita sul nostro pianeta

Enrico Bucci

L'evoluzione della specie e la selezione naturale dipendono anche dalle infezioni e dalla risposta che gli organismi sono in grado di produrre. Se i virus non fossero esistiti, molto di quel che vediamo oggi non vi sarebbe

L’evoluzione delle specie, nella sua sintesi moderna, può essere descritta come il cambio di frequenza di particolari genotipi all’interno della popolazione di ciascuna specie. In parole povere: se gli individui che portano un genoma – di Dna o Rna – di un particolare tipo sono in grado di lasciare più discendenti, nel tempo questi aumenteranno di frequenza a spese degli altri, guardando alla popolazione complessiva della specie.

Ora, il vantaggio – o lo svantaggio – nel lasciare discendenti da parte di un dato genoma dipende non solo dall’ambiente fisico in cui si trova a condurre la propria esistenza, ma pure dall’interazione con una moltitudine di altri genomi: quelli simili, della sua stessa specie, perché competono per le stesse risorse al fine di replicarsi, ma anche quelli di organismi molto diversi, in grado di interagire in vari modi con il genoma in questione. Questa interazione può essere macroscopica – attraverso la predazione, la competizione per le risorse e così via – ma può anche essere di tipo microscopico: può cioè coinvolgere interazioni molecolari tra molecole prodotte dal genoma concorrente e quello che si sta considerando.

Un esempio è quello che tutti abbiamo sotto gli occhi, per quel che riguarda la fitta rete di interazioni molecolari tra i prodotti del genoma di SARS-CoV-2 e i prodotti del nostro stesso genoma: a partire dall’interazione tra ACE-2 e Spike, che serve al virus per entrare in cellula, continuando con i vari tipi di manipolazione delle nostre proteine che il virus compie, in modo da aumentare la propria replicazione.

Queste interazioni fra prodotti molecolari di un virus e prodotti delle cellule dell’ospite sono di conseguenza un terreno di competizione evolutiva molto complesso: ben oltre l’evoluzione del nostro sistema immune, in risposta alla pressione esercitata dai patogeni, ci possiamo aspettare che ogni sorta di proteina, la quale sia stata bersaglio dell’azione di un patogeno, corrisponda ad una selezione di geni in grado di contrastare quell’azione, così da rendere gli individui ospiti in grado di meglio evadere l’infezione. Questo fatto è stato verificato sperimentalmente: almeno il 30 per cento delle proteine che noi condividiamo con tutti i mammiferi, nell’uomo sono cambiate in risposta al fatto che in passato vi sono state grandi epidemie di virus in grado di interagire con esse, le quali hanno ovviamente selezionato mutazioni protettive nella nostra specie.

Questo solo se consideriamo i virus: i patogeni cui siamo soggetti, naturalmente, sono molti di più, e il numero di geni che nella nostra specie sono stati sottoposti a pressione selettiva, che ne ha causato l’evoluzione nel senso specificato in apertura di questo scritto, è probabilmente molto più alto. Ben oltre l’evoluzione del nostro sistema immunitario, i patogeni hanno determinato ciò che siamo, agendo da potenti fattori selettivi soprattutto nel caso di epidemie prolungate e globali: anche i coronavirus, tanto per fare un esempio chiaro a tutti, hanno plasmato le popolazioni umane, in epidemie avvenute nell’est asiatico 20.000 anni fa.

 

È ormai quindi accertato che i parassiti sono in grado di modificare la traiettoria evolutiva delle specie: ma possiamo immaginare qualche processo che, addirittura, porti a determinare la nascita di nuove specie, e non solo l’evoluzione di specie esistenti, a causa di qualche infezione?

In teoria, la cosa può avvenire per esempio attraverso l’azione di quei virus, come i retrovirus, in grado di integrarsi nel genoma di una specie ospite entrando a farne parte: se questo processo intacca il modo in cui il Dna della specie ospite ne determina la morfologia, si potrebbe arrivare a individui con aspetto così diverso da accoppiarsi preferenzialmente fra loro, magari con nuove specializzazioni dovute ai loro diversi corpi, il tutto a causa dell’integrazione di un virus.

Prendiamo il prototipo dell’evoluzione darwiniana, i famosi fringuelli di Darwin, con dimensioni del corpo e del becco diversi di isola in isola nelle Galapagos, diversità cui corrisponde una diversa specializzazione alimentare e di comportamento. Ebbene, si è recentemente scoperto che, in associazione alle diverse specie di fringuello, si hanno diversi retrovirus integrati nel genoma, a testimonianza di antiche epidemie che hanno affetto certe popolazioni, e non altre, nelle varie isole; inoltre, la distribuzione di almeno 13 di questi retrovirus segue quella dei corpi e dei becchi di diverse dimensioni nelle varie specie, e corrisponde a Dna virale integrato nelle zone di Dna dei fringuelli maggiormente diverse fra le specie. Si vedrà se si tratta di una coincidenza o se davvero queste antiche integrazioni virali determinano corpi e specie diverse; ma già sappiamo, per quel che riguarda la nostra specie, che lo sviluppo di molte nostre strutture corporee, come la placenta o il nostro cervello, dipendono anche dal DNA di antichi retrovirus che si sono integrati nel nostro genoma.

Alla fine, quindi, vi è una cosa che emerge con sempre maggior chiarezza: i patogeni in genere, e in special modo i virus, influenzano da sempre la storia della vita sul nostro pianeta, non solo in qualità di agenti selettivi (ben oltre il sistema immune), ma anche quali agenti in grado di introdurre importanti novità evolutive, in grado di accelerare la produzione di diversità su cui la selezione può poi operare.

Vista più da lontano, l’integrazione e il colloquio molecolare tra genomi diversi è una forza generativa di varietà e di selezione naturale, un motore evolutivo in grado di produrre variazioni su grande scala molto più rapide di quelle prodotte per singole, piccole mutazioni casuali. E se i virus non fossero esistiti, molto di quel che vediamo oggi non vi sarebbe.

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