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cattivi scienziati

Quanti neuroni servono per manovrare un videogioco?

Enrico Bucci

Un incredibile studio australiano ha trovato la risposta: davvero molto pochi. Neuroni coltivati in provetta hanno imparato a giocare a Pong. Nessuna coscienza, nessuna mente, nulla di nulla: solo connessioni neuronali e impulsi elettrici, ed ecco emergere una risposta adattativa complessa

Mezzo secolo fa apparve il primo videogioco commerciale che ebbe ampio successo: Pong, prodotto dalla Atari, era ispirato al tennis tavolo, e consisteva in una sfida fra due giocatori che, nella allora avveniristica grafica bidimensionale del videogioco, muovevano due barrette verticali per intercettare una pallina virtuale che rimbalzava da un lato all’altro dello schermo a tubo catodico.

 

Milioni di persone di più generazioni nel mondo hanno giocato a volte in maniera ossessiva con Pong; si sono sprecati gli studi sull’effetto che questo poteva avere sul cervello e sulla capacità di concentrazione, ma videogiochi via via più complessi hanno rimpiazzato il loro antesignano, dando origine a quella che è una delle più fiorenti industrie dell’intrattenimento.

 

Ora, in un incredibile lavoro appena pubblicato sull’importante rivista Neuron, un gruppo di ricerca australiano ha dimostrato come una rete di qualche centinaio di migliaia di neuroni, cresciuti in un disco Petri, possa essere addestrato a giocare a Pong con successo. Prima di capire insieme cosa questo significhi, provate a ripetere il concetto: una coltura di neuroni relativamente piccola, cresciuta in laboratorio, può imparare a manovrare un videogioco, senza che vi sia nemmeno l’ombra di un cervello strutturato ad operare su un joystick.

 

     

In breve, i ricercatori hanno rappresentato la traiettoria della pallina virtuale con la stimolazione elettrica di neuroni cresciuti a formare una colonia interconnessa in un disco di Petri in modo che il percorso della pallina sullo schermo corrispondesse ad un percorso di stimolazione elettrica sulla piastra. Le risposte elettriche dei neuroni in un'altra regione della piastra sono state utilizzate per spostare la palettala racchetta virtuale di Pong verso l'alto o verso il basso.

  

Per insegnare ai neuroni a colpire la palla, i ricercatori hanno sfruttato la teoria secondo cui i neuroni tendono a ripetere una attività che produca un ambiente prevedibile. Quando i neuroni rispondevano in un modo che corrispondeva al colpire la palla, venivano stimolati in un luogo e con una frequenza che era ogni volta la stessa. Se mancavano la palla, la rete veniva stimolata dagli elettrodi in posizioni casuali e a frequenze diverse. Nel corso del tempo, i neuroni hanno imparato a colpire la palla sulla base delle zone della piastra stimolate per rappresentarne la traiettoria, così da muovere la racchetta di Pong e ricevere la risposta modellata piuttosto che quella casuale.

  

Ora, è da molto tempo che intelligenze artificiali sviluppate da diversi produttori possono giocare a Pong e a giochi molto più complessi con successo; ma qui abbiamo qualcosa di sostanzialmente diverso, qualcosa che ci dice molto sul modo in cui cellule specializzate che vivono in una sorta di colonia molto connessa possono “vedere” l’ambiente esterno e reagire ad esso in modo da ricevere stimoli da esso in modo regolare, e così ad esso adattarsi.

   

Queste cellule sono neuroni, umani o di topo, nel caso di quanto hanno provato gli autori; e l’attività che viene adattata è quella di sviluppo di impulsi elettrici in reazione ad altri impulsi, che rappresentano l’ambiente esterno, e che, nel nostro cervello, corrispondono a quelli trasmessi dai nostri organi di senso. La riposta adattativa dei neuroni connessi, che fanno in modo da rispondere così che giunga un segnale sempre uguale (dopo aver colpito la pallina), è a tutti gli effetti una risposta di apprendimento, cioè di adattamento ad un ambiente complesso (quello di Pong) per ottenere una “ricompensa” sotto forma di stimolazione stabile, un po’ come avviene quando, avendo imparato a riconoscere un oggetto da diverse angolazioni e nelle più varie situazioni, ogni volta che ne vediamo uno generiamo una risposta simile nei nostri cervelli, come si vede da esperimenti di risonanza.

 

A tutti gli effetti, il disco di Petri e l’apparato cui è connesso si comporta come un cyborg; la cosa davvero notevole è che regole semplicissime che riguardano l’attività nervosa, possano fare emergere comportamenti complessi, quali l’apprendimento del funzionamento di Pong e la manovra del videogioco secondo le regole apprese.

 

Nessuna coscienza, nessuna mente, nulla di nulla: solo connessioni neuronali e impulsi elettrici, ed ecco emergere una risposta adattativa complessa.

  

Questo lavoro fornisce prove empiriche che possono essere utilizzate per supportare o sfidare le teorie che spiegano come il cervello interagisce con il mondo. In definitiva, sebbene vi sia ampio spazio di miglioramento, è stato dimostrato il potere computazionale di semplici reti neuronali, già in grado di apprendere in modo adattivo in uno scambio attivo con il un’interfaccia sensoriale opportuna: il legame tra potere sensoriale della cellula e coordinamento di risposte in organismi complessi non è mai stato così evidente, ed è chiaramente al centro del funzionamento dei nostri cervelli.