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cattivi scienziati

Quando la ricerca era senza confini. La lezione delle api russe

Il metodo scientifico può essere usato sia per produrre missili devastanti sia per salvare una specie da un parassita: sta a noi scegliere

La nostra attenzione, comprensibilmente, è stata catalizzata in questi due anni dalla catastrofe pandemica e negli ultimissimi tempi dalla guerra in Ucraina. Mentre per la guerra nulla può fare la ricerca, per quel che riguarda la nostra salute messa a rischio dal virus abbiamo spasmodicamente cercato di intercettare ogni segnale promettente proveniente dai laboratori di tutto il mondo, ed in effetti ciò che la comunità scientifica ha prodotto in contrasto a SARS-CoV-2 in tempi brevissimi ha del miracoloso, sia in termini di conoscenze acquisite, sia in termini di profilassi e, pur se in misura molto più ridotta, di trattamenti per gli ammalati.

  

Ogni tanto, tuttavia, credo sia salutare guardare in direzioni diverse, ad altre aree in cui si producono risultati interessanti e anche dal forte impatto simbolico. Permettetemi, quindi, di parlarvi di un tema che comunicativamente è stato ed è molto sfruttato, e che immagino stia a cuore a molti: la morte delle api, divenuto uno dei simboli della temuta catastrofe ecologica verso cui ci starebbe conducendo l’eccessiva dispersione in ambiente di pesticidi e altre sostanze chimiche.

   

Ogni anno, un gran numero di colonie di api domestiche si indebolisce troppo per sopravvivere all’inverno – per esempio perdendo un numero di individui troppo elevato – con le conseguenze che si possono facilmente immaginare, non solo per gli apicoltori e per l’economia connessa alla produzione del miele, ma anche e soprattutto per quel che riguarda l’impollinazione delle piante che dipendono dagli insetti per la propria riproduzione. Sebbene si punti il dito sulle molecole di sintesi, in realtà, insieme al clima irregolare degli ultimi anni e molto più dei pesticidi, uno dei fattori che provoca più perdite è un parassita, un acaro del genere Varroa e dal nome specifico appropriatamente indicato come Destructor. Questo acaro, che si posizione sul corpo delle api parassitate, si nutre dei corpi grassi degli insetti, degli organi fondamentali per il loro metabolismo, causando un indebolimento che diventa molto spesso letale. Inoltre, il parassita trasmette anche una serie di virus in grado di propagarsi grazie ad esso da un alveare ad un altro.

   

Finora, il contrasto della Varroa è stato affidato ad acaricidi; il problema, come spesso succede in questi casi, è che spesso i parassiti sviluppano resistenze, rendendo vano il trattamento e inutile la spesa. Un approccio più sostenibile consiste nell'allevare api che abbiano comportamenti utili a combattere gli acari. Alcune api sono geneticamente predisposte a prendersi cura di sé stesse e di altre api: uccidono i parassiti a morsi durante la toelettatura. Un altro comportamento, noto come igiene sensibile alla varroa, impedisce agli acari di riprodursi all'interno dell'alveare. Gli acari della varroa depongono le uova all'interno delle celle di covata dove si sviluppano le larve delle api mellifere. Le api con i geni giusti controlleranno le cellule alla ricerca di acari della Varroa, utilizzando le proprie antenne per individuare sostanze chimiche che segnalano la presenza del parassita; quando una cella risulta infetta, esse praticano un foro, così che altre operaie rimuovano le larve infestate dall'alveare. Gli stock di api commerciali generalmente mancano di questi comportamenti. Di converso, le api che si comportano nel modo giusto producono molto meno miele di quelle selezionate dagli allevatori.

    

Dopo un pazientissimo ed ultradecennale lavoro di osservazione, allevamento ed incrocio degli individui più promettenti, tuttavia, si sono ottenute delle linee di api robuste, con i geni che conferiscono i comportamenti di contrasto dell’acaro ed in grado di produrre elevate qualità di miele. I risultati ottenuti sono stati recentemente pubblicati e si è dimostrato con uno studio molto ampio, su centinaia di alveari, che le api ottenute sono in grado di porre sotto efficiente controllo il parassita, e con esso almeno tre diversi ceppi di virus patogeni da esso trasmessi. Queste api sopravvivono molto meglio anche in condizioni di stress, come quelle dovuto al trasporto degli alveari da una località all’altra per l’impollinazione, senza che la produzione ne risenta significativamente. Le prime aziende hanno cominciato già a commercializzare le regine con i geni giusti; seguendo le pratiche opportune, queste possono generare colonie in grado di resistere alla Varroa, con il vantaggio ulteriore di non dover usare acaricidi. Ora il punto è questo: fra le api più promettenti nel controllo della Varroa, sono state identificate api russe, che a paragone delle api italiane (ampiamente usate negli USA) risultano molto più resistenti. Questo risultato è stato ottenuto tramite una collaborazione di ricerca fra ricercatori americani e russi; una cosa che oggi non è più consentita.

  

Il metodo scientifico può essere usato sia per produrre missili ipersonici ad alta precisione, da utilizzarsi per devastare intere popolazioni, sia per salvare le api da un parassita devastante, arrivato dall’Asia a causa nostra: sta a noi scegliere.

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