(foto Ansa)

cattivi scienziati

L'utilità dei vaccini contro tutti i sarbecovirus, a largo spettro e lunga durata

Enrico Bucci

Un vaccino contro la famiglia allargata del virus potrebbe neutralizzare le varianti attuali e restringere la capacità di mutazione 

Idealmente, considerato il fatto che molti coronavirus dello stesso gruppo cui appartiene SarsCoV-2 condividono parecchi elementi strutturali, dovrebbe essere possibile ottenere vaccini in grado di neutralizzarli ad ampio spettro, se tali vaccini si fondassero sull’induzione di anticorpi diretti contro quelle parti che sono più conservate. Sars-CoV-2 è un membro dei sarbecovirus, cioè dei coronavirus beta di tipo Sars; un vaccino contro tutti i sarbecovirus potrebbe neutralizzare le varianti attuali e restringere fortemente lo spazio a disposizione del virus per evadere attraverso mutazione, e generare quindi una risposta più stabile all’evoluzione virale di quanto non sia per gli attuali vaccini (i quali hanno iniziato a perdere il potere di bloccare le infezioni mediate dalle varianti più recenti).

La domanda cruciale a cui rispondere, per valutare la possibilità di un vaccino ad ampio spettro contro i sarbecovirus, è la seguente: esistono anticorpi generabili nell’ospite infetto, in grado di neutralizzare ad alta efficienza non solo Sars-CoV-2 e quante più varianti possibili, ma anche altri sarbecovirus, il più possibile diversi fra loro? A questa domanda ha dato una prima, interessantissima risposta uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine che descrive quanto si è trovato su un piccolo gruppo di pazienti di Singapore. Invece di cercare alla cieca gli anticorpi di interesse, i ricercatori hanno messo alla prova la seguente ipotesi: se esistono anticorpi umani contro tutti i sarbecovirus, allora è possibile che coloro che siano stati esposti a un primo sarbecovirus, quando vaccinati contro Sars-CoV-2 generino non solo una risposta specifica contro questo virus, ma espandano anche la memoria immune generata dal virus precedente, nella sua parte in cui riconosce qualunque sarbecovirus (e dunque anche l’antigene di Sars-CoV-2 somministrato con il vaccino contro Covid-19). La verifica dell’ipotesi può essere effettuata in maniera semplice: se il siero dei soggetti sopravvissuti a un primo coronavirus diverso, e quindi vaccinati contro Sars-CoV-2, è capace di neutralizzare anche qualunque altro sarbecovirus, mentre il siero dei vaccinati che non sono mai stati infetti da nessun sarbecovirus non può neutralizzare altro che Sars-CoV-2, allora l’ipotesi è confermata, e la memoria immune indotta dall’infezione primitiva deve riuscire a generare gli anticorpi desiderati.

Ciò che si è verificato è esattamente questo: il siero di soggetti infettati molti anni fa da Sars-CoV-1, quando vaccinati con il vaccino a Rna contro Sars-CoV-2, ha mostrato di neutralizzare le varianti di Wuhan, alfa, beta e delta di Sars-CoV-2, oltre al coronavirus di pipistrello RaTG13, quelli di pangolino GD-1 e GX-PL5, e i coronavirus del gruppo della Sars Sars-CoV-1, WIV1 e RsSHCO14. Solo i soggetti precedentemente infettati da Sars-CoV-1 hanno mostrato ampia risposta immunitaria neutralizzante contro tutti i sarbecovirus citati, che coprono ampiamente la variabilità riscontrata in quel gruppo; i vaccinati contro Covid-19 con i vaccini a Rna, che non fossero previamente stati esposti a Sars-CoV-1, hanno mostrato scarsa capacità di riconoscimento degli altri sarbecovirus.

Si noti bene: siccome il vaccino a Rna utilizzato esprime solo la proteina Spike, questo vuol dire che probabilmente gli anticorpi ad ampio spettro suscitati riconoscono questa proteina, che quindi potrebbe contenere antigeni comuni fra tutti i sarbecovirus, utili a generare una risposta immune generalizzata. A questo punto, si apre una interessante prospettiva: la possibilità di fare una vaccinazione eterologa con componenti di sarbecovirus ottenuti da virus diversi, cercando quale sia la migliore combinazione.

Ovviamente, un dato che ancora manca, ed è importante, è quello ottenibile esponendo prima a un antigene di Sars-CoV-2, e poi ad altri sarbecovirus; ed è pure importante capire se i risultati presentati nello studio discusso possano essere espansi a un gruppo maggiore di soggetti, in modo da misurare la variabilità nella risposta ottenibile con maggiore precisione. Tuttavia, i lettori considerino le prospettive di questo tipo di ricerche: rispetto ai vaccini di prima generazione, che richiedono un certo tasso di aggiornamento in corrispondenza di nuove varianti e di conseguenza potrebbero necessitare di richiami più o meno frequenti, un vaccino che sia in grado di suscitare anticorpi come quelli descritti nello studio potrebbe conferire una protezione molto più duratura. Inoltre, se dovesse risultare che la cosa funziona anche in ordine inverso, cioè esponendo i soggetti prima al vaccino contro Sars-CoV-2 e poi a un sarbecovirus eterologo, allora si potrebbe pensare a un richiamo universale con tale sarbecovirus, conferendo a questo punto quella maggior durata di protezione che tutti auspichiamo. Sempre che, naturalmente, si riescano a vaccinare le persone, non solo nei nostri paesi, ma in tutto il mondo.

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