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Cattivi scienziati

La pianta dei vaccini

Enrico Bucci

L’accusa di innaturalità è quanto di più stupido si possa addurre per bloccare nuove tecnologie

I vaccini possono essere coltivati. Non in senso figurato: è possibile ottenere infatti delle piante transgeniche che producono in grandi quantità dei “gusci vuoti” di virus Sars-CoV-2, i quali possono essere purificati e utilizzati per vaccinare le persone, con buoni risultati. A dimostrarlo, sono arrivati in contemporanea due gruppi di risultati importanti su un vaccino prodotto da un’azienda canadese (Medicago) in collaborazione con la Glaxo.

 


Il primo gruppo di risultati corrisponde a un articolo pubblicato su Nature Medicine e descrive lo studio clinico di fase 1. In questo studio si è dimostrato su un piccolo numero di volontari l’immunogenicità del prodotto e la sua sicurezza, e si è testato l’effetto di due diversi adiuvanti (da qui la collaborazione con la Glaxo). I dati, come è facile verificare, sono eccellenti: il vaccino ottenuto dalle piante è risultato sicuro e capace di indurre una risposta anticorpale anche superiore a quella dell’infezione naturale.


Il secondo gruppo di risultati è per ora disponibile sotto forma di preprint e corrisponde ai dati ad interim ottenuti su un gruppo molto più ampio di volontari in uno studio di fase 2. Anche in questo caso, la risposta anticorpale ha superato quella indotta dall’infezione naturale, tanto nella fascia di volontari più giovani quanto nei più anziani; e a giudicare dai dati, la risposta cellulare di tipo T appare eccellente. 

 

 

Ora immaginate il seguente scenario: invece di avere un costoso impianto di produzione per ottenere il prodotto grezzo (da purificare successivamente) basta terra da coltivare, acqua, sole e anidride carbonica, oltre magari a qualche dose di concime. Niente inquinamento e costi di produzione ridotti, oltre che, naturalmente, anche il vantaggio di sottrarre un po’ di anidride carbonica dall’atmosfera.
Inoltre, gli scarti di produzione potranno forse, in futuro, essere riutilizzati sotto varie forme – in fin dei conti, si tratta sempre di piante, dalle quali è possibile in linea di principio ottenere cellulosa, combustibile, mangimi, eccetera.


Una produzione “verde”, quindi, nel vero senso della parola, adatta anche ai paesi più poveri, che potrebbero coltivare il prodotto grezzo e poi inviarlo a impianti specializzati nella purificazione.
D’altra parte, il vaccino in sviluppo non è l’unico esempio: nelle piante si sono ottenuti con notevole successo un farmaco per il morbo di Gaucher, un anticorpo monoclonale contro Ebola, vaccini contro l’influenza aviaria e quella stagionale, epatite B e papilloma.


Come? Molto semplice: con la tecnologia consolidata per la produzione di Ogm vegetali – nel caso di specie, con la trasfezione mediante Agrobacterium tumefaciens. 

 


Ora, di fronte a risultati come questi dovrebbe essere chiaro che, ripetendo nelle piante ciò che ogni secondo migliaia di organismi diversi – virus, batteri, funghi, piante, insetti, persino vertebrati – fanno, cioè il trasferimento orizzontale e il rimescolamento costante dei loro genomi attraverso i mezzi più disparati, i ricercatori non fanno che imitare la natura, utilizzando esattamente gli stessi mezzi.


Dunque l’accusa di “innaturalità” è quanto di più stupido si possa addurre per bloccare queste tecnologie: innaturale è pensare di vietare la trasfezione e il trasferimento genetico da un organismo a uno differente, un processo che poteva sembrare raro decenni fa, ma che oggi sappiamo essere quanto di più frequente e naturale vi sia per produrre variabilità utile da un punto di vista evolutivo.
Quando si vedono certe piante come una specie di Rafflesia, il cui genoma è risultato costituito al 40 per cento da elementi mobili che a ogni generazione rimescolano le carte del Dna degli individui risultanti, dovrebbe essere ben evidente che la natura pratica dell’ingegneria genetica a una scala che nemmeno immaginiamo e con una rapidità e dei mezzi enormemente soverchianti rispetto a quello che noi possiamo segnare; e certo non si può pensare che la natura si preoccupi degli effetti di tale continuo rimescolamento sull’ecosistema.


Dunque, cerchiamo di non essere stupidi, e di utilizzare le nostre conoscenze per il bene, invece di insulse guerre di religione in nome di una inesistente naturalità o del fatto che “se non lo ha fatto la natura, allora non si può fare”. 


La natura fa molto di più e molto di peggio, e del resto se in natura non si sono evolute le lampadine, non è una buona ragione per non utilizzarle.
 

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