CATTIVI SCIENZIATI

Non solo vaccini. Per l'immunità globale serve anche consapevolezza

Enrico Bucci

Da fanalino di coda nella lotta al Covid-19 ad esempio virtuoso: il caso Tanzania

Anche su queste pagine, è stato più volte scritto e ripetuto che, come affermato da tutta la comunità scientifica, non è possibile pensare di tenere a bada Sars-CoV-2 senza un accesso equo in tutto il mondo ai vaccini, per la semplice ragione che, come mostrano i recenti focolai di importazione in Inghilterra dall’India, tutto il mondo è connesso e nuove varianti, che potrebbero essere immunoevasive, possono propagarsi a gran velocità in qualunque punto del globo.


Lo squilibrio tra il tasso di vaccinazione nei paesi ad alto reddito rispetto a quelli a basso reddito è pericoloso, e i programmi internazionali come Covax vanno incrementati e aiutati a raggiungere una soglia vaccinale mondiale che possa evitare l’insorgere precoce di nuove varianti pericolose. Curiosamente, tuttavia, il problema non sta sempre nell’accaparramento dei vaccini da parte dei paesi più ricchi, ma anche nella presenza nei paesi più poveri di leader politici impreparati, arroganti e ignoranti.


E’ il caso, per esempio, della Tanzania. John Magufuli, presidente in carica quando è arrivato il Covid anche in quel paese,  è stato soprannominato “bulldozer” per la sua aggressività e per il suo procedere senza ascoltare null’altro che le proprie convinzioni. Costui ha deciso che il virus non era un problema, per cui da maggio 2020 la Tanzania ha sospeso il monitoraggio del virus. Magufuli ha pure diffuso l’idea che per prevenire l’infezione bastassero semplici accorgimenti, come i bagni di vapore e vari presunti rimedi erboristici, che ha provveduto a diffondere in tutto il paese; ma il colmo si è toccato quando ha imposto la preghiera, come arma efficace per allontanare l’arrivo del virus, che a suo dire era rimasto sempre marginale nel paese. Queste stramberie avrebbero pure potuto essere sopportate, se non fosse che il presidente Magufuli, con un machismo degno di altre epoche, ha stabilito che non vi era nessun bisogno di vaccini, impedendo quindi l’adesione della Tanzania alla collaborazione internazionale Covax e guardandosi bene dall’intavolare una trattativa per far arrivare nel paese un qualunque vaccino. Allo stesso tempo, ha ridicoleggiato e ostacolato ogni misura non farmacologica, dalle mascherine, al distanziamento, al lockdown. Il prevedibile risultato è stato che la Tanzania è passata attraverso almeno due ondate incontrollate di Covid, e all’inizio dell’anno le organizzazioni internazionali segnalavano la ripresa dei casi e dei morti. Tra questi ultimi, anche il presidente Magufuli, infettatosi e portato via dal virus a 61 anni.


Oggi la Tanzania ha un nuovo presidente, anzi una presidentessa: Samia Suluhu Hassan. Con voce calma, questa signora di aspetto regale è andata in televisione a raccomandare mascherine e attenzioni in linea con quelle della comunità scientifica internazionale, ma soprattutto ha istituito nel suo paese un comitato scientifico degno di questo nome per fronteggiare la terza ondata epidemica. Da qui, è arrivata una lista di indicazioni degna di un paese civile, prima fra tutte quella di importare i vaccini e cominciare una estensiva campagna vaccinale; cosa che la nuova presidentessa non ha perso tempo a fare, riportando la Tanzania dalla superstiziosa e infantile, ma anche crudele, avversione alla scienza del suo maschio predecessore, a una ragionata, tranquilla e convinta adesione alle evidenze prodotte dalla ricerca mondiale in tema di coronavirus. 


La Tanzania non sarà più un incubatore naturale per nuove varianti, almeno non per propria scelta; ma non è detto che non vi siano altri paesi, i cui leader siano fanatici negazionisti come Magufuli. Se vogliamo che questi paesi non diventino enormi sacche di circolazione del virus, in cui questo possa mutare indisturbato, è importante che non si dia per scontato che in tutti i paesi privi al momento di accesso al vaccino, il problema sia semplicemente quello di farvelo giungere, senza tener conto della situazione politica e culturale del posto. La campagna vaccinale globale è fatta non solo di vaccini, personale e mezzi, ma anche di condivisione degli obiettivi, collaborazione culturale e formazione.

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