(Ansa)

Andare più veloci

Vaccino & ricerca. Ecco cosa deve fare l'Italia per uscire dalla pandemia

Silvio Garattini*

Accelerare con la campagna vaccinale. E possiamo essere autonomi, in un progetto europeo

Finalmente è partita una campagna per comperare dosi adeguate per vaccinare almeno 45 milioni di italiani, nella speranza che in tutto il paese esista un’adeguata organizzazione per una vaccinazione senza precedenti nella nostra storia sanitaria. Potremo attingere al vaccino russo, ai vaccini cinesi e ai 60 altri vaccini che sono in sperimentazione clinica inclusi i due italiani. Ma ciò non basta, occorre sostenere la ricerca, oggi “cenerentola” nonostante le tante parole per inventare farmaci che possano curare la malattia Covid-19, perché i vaccini possono essere non sufficienti.

 

Se guardiamo al peggiore scenario possibile, dovremmo in ogni caso procedere a fabbricare i vaccini il più presto possibile. Anche in questo caso è bene non ascoltare chi dice che è troppo tardi o chi vorrebbe degradare la nostra industria solo all’infialamento di quanto prodotto da altri. Perché dobbiamo essere autonomi seppur collegati in un progetto europeo? Per molte ragioni. Anzitutto non sappiamo quanto durerà l’efficacia dei vaccini disponibili. Per ora sappiamo che durano sei mesi, ma potrebbero durare anche per un anno, nel qual caso sarebbe necessario un richiamo, ma potrebbe anche essere necessario ripetere la vaccinazione. Infatti il virus non rimane sempre lo stesso, ma risente della situazione ambientale. Dal suo inizio in Cina sono già avvenute molte migliaia di mutazioni.

 

Per fortuna molte mutazioni non determinano variazioni di comportamento del virus, ma in alcuni casi potrebbe cambiare la contagiosità, la virulenza o la patologia che induce, con un aumento della mortalità. Già abbiamo il caso molto preoccupante del vaccino AstraZeneca che ha perso di efficacia rispetto alla variante “sudafricana”, fatto che ne ha determinato la sospensione della somministrazione in Sudafrica. Abbiamo altre varianti oltre all’inglese che al momento è sensibile ai vaccini: la brasiliana, la giapponese e la nigeriana. Queste varianti o altre potrebbero rendere inattivi gli attuali vaccini e obbligarci a nuove vaccinazioni. Per fortuna sembra che le tecnologie disponibili permettano di farne rapidamente dei nuovi, ma le quantità necessarie richiedono un gran numero di strutture produttive. Altra possibilità è che il virus si stabilizzi in qualche specie animale e da lì sviluppi varianti trasferibili all’uomo. Sono molte le specie animali che possono ospitare il virus, dal furetto al macaco, dal visone al gatto.

 

 

Infine, ma non certo in ordine di importanza, non possiamo pensare che l’occidente risolva questa pandemia da solo. Dobbiamo avere vaccini disponibili per i paesi a basso reddito perché quanto più il virus circolerà tanto più avremo varianti che ritorneranno da noi. Chi confida che questa pandemia termini di colpo come la “spagnola” ignora che viviamo una situazione di globalizzazione che diverrà inevitabilmente sempre più intensa. Sono molte quindi le possibili ragioni che richiedono di essere pronti ad affrontare il peggio anche con la possibilità di produrre e sviluppare vaccini. Di nuovo compaiono coloro che ritengono che ci voglia troppo tempo, che sia tardi, che non si possano avere le licenze e così via. Di fatto non è vero.

 

È stato riportato come Moderna nel mese di giugno dello scorso anno abbia costruito due centri di produzione negli Stati Uniti e in Svizzera in pochi mesi. In Italia abbiamo centri capaci di produrre che possono essere potenziati con fondi pubblici, annullando tutte le complicazioni burocratiche. In questi giorni tutti hanno appreso che da Anagni partivano vaccini per altri paesi e che per fortuna il presidente del Consiglio Draghi su questo ha posto un veto. Si è anche detto che non abbiamo i bioreattori necessari, ma si è obiettato che si possono avere fin che si costruiscono le altre strutture, basta ordinarli e pagarli.

 

Infine il problema delle licenze. Molti paesi hanno fatto accordi pagando royalty, come la Germania e il Canada, e si sono premuniti adottando nel caso di necessità una licenza obbligatoria che implica una sospensione temporanea del brevetto. Come mai da noi giace ancora in Parlamento un’analoga legge? Anche se ciò rappresenta l’ultima spiaggia considerando che recentemente Moderna ha dichiarato di essere disponibile a concedere licenze. È perciò l’ora di agire mettendo a disposizione rapidamente progetti, risorse, chiamando a raccolta i (pochi) ricercatori che ancora resistono a lavorare in Italia, dato che le competenze necessarie sono molteplici. Possiamo farcela se passeremo il più presto possibile dalle parole ai fatti.

  

*Silvio Garattini è presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs

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