La vignetta di Makkox

La verità, vi prego, sui vaccini

Enrico Bucci

Un’impresa collettiva. La produzione, soprattutto dei tipi a Rna, per la sua complessità richiede enormi sforzi da parte sia delle aziende farmaceutiche sia degli stati che le aiutano. Un obiettivo non impossibile anche per l’Italia. Indagine sulle competenze in campo

Due dei vaccini che sembrano aver avuto maggior successo – se non altro nella loro accettazione da parte delle persone – sono quelli della Pfizer/Biontech e di Moderna. L’eccellente profilo di sicurezza e di efficacia emerso nelle prove cliniche ha portato stati come Israele a vaccinare l’intera popolazione – milioni di persone – con un vaccino a Rna, e a tutt’oggi, salvo che non emergano fatti nuovi, questi vaccini sono fra i più richiesti – anche nel nostro paese. Di fronte al formidabile volume di dosi richieste, naturalmente vi è un problema di produzione; per questo motivo aziende come la Pfizer hanno fatto accordi con i propri storici concorrenti, consentendo di adattare impianti disponibili alla produzione a un tipo di vaccini per i quali, fino a oggi, non sono mai esistiti impianti su scala davvero ampia.


Di fronte alla scarsità delle forniture, è legittimo chiedersi se, anche nel nostro paese, non sia possibile avviare impianti di produzione, anche considerando che tali impianti potrebbero essere utili in futuro sia per nuove varianti virali, sia per i vaccini e altri farmaci a Rna del futuro.


Si tratta di un’impresa fattibile? Io credo che, per rispondere, valga la pena di esaminare nel dettaglio cosa richiede a oggi la manifattura dei due vaccini a Rna approvati. La valenza di questo tipo di analisi è doppia: da un lato, è il modo per valutare quanto si possa davvero lanciare una produzione di vaccino a Rna, e dall’altro è un viaggio nella complessa macchina che, a tempo di record, si è messa in piedi per poter provvedere miliardi di dosi da distribuire nel mondo intero.


Nel seguito, farò principalmente riferimento a quanto messo a disposizione nel blog di Jonas Neubert, seguendo grossomodo il suo ordine nel presentare i vari punti, tagliando quanto ritengo meno rilevante e invece integrando quando necessario con informazioni di particolare riguardo per l’Italia.


Come suggerito da Neubert, probabilmente non vi è punto migliore per partire nell’esaminare i requisiti di produzione dei vaccini dell’analisi dei componenti, un’informazione resa immediatamente pubblica dalle aziende produttrici.


Madamina, il catalogo è questo


I due vaccini di cui intendo occuparmi, quello di Pfizer/Biontech e quello di Moderna, condividono il disegno generale e molti degli ingredienti, ma non tutti.
Nella tabella che segue ho riassunto l’informazione disponibile.

 

 

Dunque, vediamo: abbiamo innanzitutto la molecola di Rna, lunga svariate migliaia di nucleotidi, che codifica per la proteina Spike del virus e per alcune altre cose. Un’eccellente illustrazione del suo funzionamento e dei dettagli di cosa sia codificato è disponibile altrove; dal punto di vista della produzione, quel che conta è che si tratta di un Rna di lunghezza considerevole.


Vi sono poi una serie di ingredienti che sono i costituenti della gocciolina di grassi (lipidi) stabilizzata, all’interno della quale è racchiuso il principio attivo; nel loro insieme, questi formano il liposoma, che serve a veicolare la molecola di Rna nelle cellule, proteggendola al contempo dalla degradazione durante il suo “viaggio” verso il bersaglio. Nella tabella, si può notare che due degli ingredienti – colesterolo e Dspc (1,2-distearoyl-sn-glycero-3-fosfocolina) – sono comuni, mentre altri due sono differenti; vedremo nel seguito perché, e cosa questo comporta. Qui basta notare che le quattro componenti dei liposomi di ciascun vaccino, nel loro insieme, permettono di ottenere un veicolo sufficientemente stabile e con ottime capacità di fusione con la membrana delle cellule bersaglio, in modo da poter rilasciare all’interno di queste la molecola attiva.


In aggiunta, i due vaccini sono dissolti in una soluzione tampone diversa (ottimizzata per la stabilità e la conservazione del vaccino) e contengono saccarosio, uno zucchero che ha la funzione di stabilizzante e criopreservante ed è usato in molti diversi vaccini.


Bene; a questo punto, possiamo passare ad esaminare in dettaglio cosa serve per ottenere ciascuno degli ingredienti elencati, nelle quantità e con il grado di purezza necessari.


Rna, l’ingrediente attivo


Vi sono due possibili vie per ottenere un Rna con una sequenza desiderata, come in questo caso è necessario.  

Si possono sintetizzare per via chimica, a scala di tonnellate tanti piccoli frammenti di Rna (diciamo ognuno lungo un centinaio di basi), i quali poi possono essere “cuciti” nel giusto ordine fra loro attraverso un processo enzimatico (T4 Rna ligase) o chimico (cicloaddizione o altro). Questa strada è la più innovativa e probabilmente potrà avere un brillante futuro; al momento, però si è scelta una via più laboriosa, ma più consolidata, quella della biosintesi, che prevede i seguenti passaggi.


Innanzitutto, si crea un Dna corrispondente alla sequenza di Rna che si vuole ottenere. Al giorno d’oggi, è possibile acquistare da moltissime aziende in tutto il mondo il giusto Dna per la biosintesi della molecola di Rna desiderato.


Questo Dna, che viene fornito in piccole quantità, è inserito con un processo chiamato trasformazione in batteri, i quali sono fatti proliferare a temperatura controllata e nel giusto brodo di coltura per qualche giorno, in grandi bioreattori sterili. Ogni volta che un batterio si moltiplica, dà origine a due cellule batteriche figlie, ciascuna delle quali contiene una copia del Dna originariamente inserito. Dopo qualche giorno, si filtrano i batteri per ottenere una sorta di pasta dalla quale con un processo chimico specifico e ben consolidato si estrae e purifica il Dna, che a questo punto è disponibile in quantità diciamo di grammi o anche di più, rispetto alla piccola quantità acquistata originariamente. Tuttavia, è necessario ancora effettuare una serie di test per essere sicuri di aver ottenuto il Dna originale, e non qualche prodotto di mutazione o qualche molecola danneggiata, a causa di processi casuali che possono essere avvenuti nei batteri.


Dove avviene il processo di produzione del Dna per i vaccini a Rna? Pfizer ha degli stabilimenti di produzione propri, a St Louis, dove una “fabbrica di batteri” produce il Dna, purificato sul luogo con una serie di processi standard (è tutto descritto in un ottimo articolo del Washington Post. Da ogni ciclo produttivo si ottiene circa un grammo di Dna, se si passano i controlli di qualità di cui sopra. Il materiale, secondo l’articolo citato, è quindi trasportato in elicottero o aereo alle fabbriche coinvolte nei passaggi successivi.


Moderna invece ha delegato la produzione del suo Dna all’azienda svizzera Lonza.


Fino a questo punto, siamo ancora nell’ambito di un “normale” e consolidato processo di produzione biotech, per il quale molte aziende, anche in Italia, hanno almeno le competenze necessarie; tuttavia, poche sono quelle dotate dei bioreattori necessari, e questo è sicuramente un punto su cui è necessario investire.


La parte più complessa è la produzione di enormi quantità di Rna a partire dai grammi di Dna ottenuti. Sebbene il processo sia utilizzato da decenni in tutto il mondo (io stesso ho sintetizzato con questa tecnica degli Rna virali per motivi di studio), è la prima volta che si tratta di produrre su scala amplissima dei vaccini a Rna. In breve, oltre alle competenze per una produzione su scala ampia di qualcosa che non era mai stato prima affrontato, servono:
1. i ribonucleotidi, cioè le basi di Rna, in quantità adeguata;
2. un enzima, chiamato Rna polimerasi, in grado di usare il Dna per creare molecole di Rna a partire da quello;
3. qualche sistema per impedire la degradazione chimica o enzimatica della molecola di Rna.


Per quello che riguarda i ribonucleotidi, quelli naturali possano essere ottenuti in quantità pressoché illimitata da fonti biologiche – e quindi da molti diversi fornitori. In Italia, per esempio, vi sono ditte come la ProSol Spa, che li produce per idrolisi enzimatica e rifornisce principalmente produttori di integratori e nutraceutici; in ogni caso, esistono moltissimi fornitori in tutto il mondo. Tuttavia, bisogna ricordare che vaccini a Rna contengono in realtà una versione modificata di uno di essi, l’uracile, che è rimpiazzato da N1-metil-pseudouridina. Questa sostituzione ha una funzione importante: senza di essa, il nostro sistema immunitario potrebbe riconoscere e neutralizzare la molecola di Rna vaccinale, con un meccanismo che si è evoluto (insieme ad altri) per combattere i virus a Rna. La N1-metil-pseudouridina può essere acquistata da diversi fornitori, ma la richiesta finora si è limitata a scale piccole (per scopi soprattutto di ricerca); per questo motivo, sia BioNTech che Moderna pagano i diritti derivanti da un brevetto dell’Università della Pennsylvania e la producono autonomamente. A proposito della discussione sulla proprietà intellettuale dei vaccini, sarebbe quindi bene ricordare che non sempre è il pubblico a pagare per i brevetti del privato, ma anche viceversa!


Per quello che riguarda la Rna polimerasi, necessaria a “leggere” il Dna preparato nei primi stadi per ottenere moltissime copie di Rna, esistono moltissimi fornitori, per cui – a parte la scala richiesta – non dovrebbe essere particolarmente difficile il suo approvvigionamento.


Le cose sono invece molto più critiche per quel che riguarda le modifiche necessarie a impedire la degradazione della molecola di Rna appena sintetizzata. Una delle sue estremità deve essere modificata allo stesso modo che si osserva in natura, in un processo che si chiama 5’-capping. Qui non importa tanto descrivere di che tipo di modifica chimica si tratti, quanto di esaminare come è possibile ottenerla nel prodotto industriale. Vi sono due metodi: l’utilizzo di un particolare reagente chimico utilizzato direttamente dalla Rna polimerasi durante la biosintesi della molecola di Rna, oppure la modifica enzimatica a posteriori della molecola già sintetizzata. Il primo metodo è più adatto alla produzione su larga scala, perché il secondo richiede un passaggio di purificazione aggiuntivo dopo la reazione enzimatica. Tuttavia, esiste un solo fornitore al mondo del reagente utile per la prima metodica, l’azienda TriLink con il suo partner europeo TebuBio. Non per nulla, la BioNTech si è riferita proprio a questa azienda nella sua relazione agli investitori del giugno 2020. E’ chiaro che questo è un collo di bottiglia fondamentale nella produzione di qualunque Rna su scala industriale; per questo, è bene considerare per chi voglia impiantare produzioni locali un accordo di licenza con il fornitore unico, incapace evidentemente di soddisfare una richiesta destinata a cresce.


In alternativa, bisognerà investire in ricerca e sviluppo per migliorare il più possibile la resa della via enzimatica di 5’-capping.
Oltre alla protezione di una delle due estremità del filamento di Rna con il 5’-capping, è necessaria la protezione mediante l’aggiunta di molte adenine (una delle basi che compongono la molecola di Rna); questo però, nella strategia di biosintesi scelta da BioNTech e Moderna che si basa sulla copia di una molecola di Dna, è un processo che non necessita di particolari accorgimenti o reagenti. 

 

Nel caso della Pfizer, il Dna prodotto a St Louis viene spedito ad Andover, nel Massachusetts, oppure in Germania dalla BioNTech, per produrre Rna. La purificazione e la concentrazione finale del Rna di BioNTech sono a cura della Rentschler Biopharma in Germania.


Nel caso di Moderna, è direttamente la svizzera Lonza (che produce come abbiamo visto anche il Dna necessario) a produrre anche la molecola di Rna. Lonza ha attivato diversi stabilimenti dopo l’accordo con Moderna: uno a Portsmouth, in New Hampshire (Usa). Altri tre a Visp, in Svizzera, e a questi forse si è aggiunto un altro che risultava pronto a partire dal 29 dicembre 2020. L’obiettivo è arrivare a produrre 800.000 dosi di Rna al giorno. Questi stabilimenti si aggiungono a due impianti produttivi di Moderna in Massachusetts, dove sono stati ottenuti tutti i precedenti Rna di Moderna.


Il liposoma, il “pacchetto” giusto


Come abbiamo visto, entrambi i vaccini a Rna contengono fra gli ingredienti quattro lipidi, ovvero quattro tipi di grasso: due comuni a entrambi i vaccini, due specifici per ciascuno di essi.


Come si può ottenere a partire da questi ingredienti una sferetta che contenga nella quantità giusta le molecole di Rna che costituiscono il vaccino? 
Non basta miscelare gli ingredienti giusti: sono necessari dei procedimenti complessi, e le persone (e le aziende) al mondo che hanno queste competenze e le apparecchiature industriali necessarie sono in numero molto, molto limitato. 

 

Per l’Europa, la Pfizer utilizza probabilmente (a giudicare dalla descrizione del processo con la locuzione “impingement jet mixing” in una sua infografica) l’azienda Knauer di Berlino, elencata fra i partner della produzione del vaccino da BioNTech. Inoltre, per l’America l’azienda Acuitas di Vancouver, che ha sviluppato la formulazione liposomiale per Pfizer, probabilmente ha ancora qualche forma di collaborazione sotto forma di trasferimento di know-how, mentre l’incapsulamento nei liposomi della molecola Rna avviene in qualcuno degli stabilimenti di Pfizer. In particolare, nel 2020 il Washington Post riportava che il collo di bottiglia per la produzione dei liposomi in America fosse presso la sede Pfizer di Kalamazoo. Anche altre aziende, come la Polymun austriaca, sembra siano implicate nella produzione dei liposomi di Pfizer (e forse pure di Moderna), tuttavia, non è chiaro se si tratti di semplice consulenza o di vera e propria produzione.

 

Moderna, dal canto suo, produce i proprio liposomi in-house, ma poco si sa del processo. 


La formulazione e i passaggi finali (fill-and-finish)


Sebbene non vi siano difficoltà nell’approvvigionamento di tutti gli ingredienti non ancora trattati nel dettaglio, i passaggi finali di produzione e confezionamento dei vaccini sono ugualmente complessi.
In particolare, è necessario combinare nelle giuste proporzioni i liposomi contenenti Rna, le soluzioni tampone e il saccarosio, tenendo presente che i liposomi devono essere dissolti da congelati e con la giusta procedura per evitare di danneggiarli.


La Pfizer, per quel che riguarda l’America, opera a Kalamazoo, il suo centro di 80 edifici nel Michigan. In quel centro sono presenti anche le catene di infialamento, capaci di produrre 600 fialette al minuto, e dei grandi depositi freddi per la conservazione a -80° dei vaccini.


In Europa, sia Pfizer che Moderna lavorano sia con impianti propri che con diversi partner. In particolare, sono stati pubblicamente menzionati:
1. gli impianti di Pfizer a Puur, in Belgio;
2. quelli di Mainz e Idar-Oberstein, in Germania, della BioNTech;
3. gli impianti ex-Novartis acquistati dalla BioNTech a Marburg (Germania)
4. la Dermapharm, che ha un contratto per il fill-and-finish di questi vaccini nei suoi stabilimenti vicino Lipsia;
5. l’azienda Svizzera Siegfried che dovrebbe iniziare a essere operativa a metà del 2021 in Germania;
6. la Baxter ad Halle, in Germania;
7. gli stabilimenti di Sanofi a Francoforte;
8. gli stabilimenti svizzeri di Stein am Rhein della Novartis, che dovrebbero iniziare a produrre per la Pfizer;
9. gli stabilimenti Catalent negli Usa per Moderna;
10.  i Laboratorios Farmaceuticos Rovi a Madrid, sempre per Moderna;
11.  gli stabilimenti francesi della svedese Recipharm, ancora per Moderna


Per quello che riguarda questa parte della produzione, l’Italia è messa piuttosto bene. Basti qui ricordare che la Catalent, che come detto già lavora negli Stati Uniti per Moderna, in Italia fa da terzista per l’AstraZeneca; ma molte di più sono le aziende con capacità che vanno dalla formulazione all’infialamento alla conservazione, che potrebbero contribuire alla produzione di vaccini a Rna.


Non solo: anche la produzione delle fialette di vetro borosilicato, necessarie per l’infialamento dei farmaci, vedono un punto di eccellenza nella produzione italiana.

Tra i pochi produttori mondiali che dominano il mercato, vale infatti la pena di ricordare il Gruppo Stevanato di Padova, che sebbene non fornisca a quel che mi risulta fiale per i vaccini a Rna, provvede fialette di vetro borosilicato per due miliardi di dosi di vaccini alla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi)


Il freddo


Nessuno dei vaccini a Rna può essere prodotto senza essere in grado di assicurare che la sua conservazione e il suo trasporto fino alla vaccinazione avvengano a temperature molto basse, che oggi sappiamo anche per il vaccino Pfizer essere un po’ meno stringenti di quanto inizialmente previsto, ma che comunque prevedono temperature non superiori ai -20°. 


Questo significa innanzitutto che, nella maggior parte dei casi, i vari stabilimenti di produzione, che si tratti dei liposomi, del vaccino finito o di altre parti della procedura, devono essere attrezzati per poter conservare al freddo in modo garantito i vari lotti. Non solo; come già a suo tempo ricordato su queste pagine, vi è necessità di una fornitura continua di ghiaccio secco per il trasporto a destinazione delle scatole di vaccino, la cui produzione ha subito restrizioni perché il materiale di partenza – l’anidride carbonica – è stata prodotta in minor quantità nel 2020 a causa del minor consumo di gas naturale.


Inoltre, le scatole che contengono ghiaccio secco e fiale devono essere a tenuta, in modo da garantire la perdita di poco ghiaccio secco per ora (nel caso di Pfizer, si usano scatole che perdono al massimo l’1 per cento del peso per ora). Queste scatole speciali hanno a loro volta requisiti produttivi e di materiali particolari, che impongono ulteriori vincoli alla fabbricazione del vaccino, particolarmente per quanto riguarda gli isolanti termici da utilizzare.


Non solo: le scatole devono anche contenere sensori termici, per garantire l’integrità del prodotto ed il fatto che la catena del freddo non sia stata interrotta. Nel caso di Pfizer, la produzione di questi sensori è operata dalle ditte Controlant (Islandese) e Sensitech. Hanno monitor digitali e sensori per la temperatura, lo stato della propria batteria oltre ad un ricevitore Gps (nel caso di Controlant). Tutta questa elettronica è integrata nelle scatole per la spedizione; lo stesso avviene per Moderna, le cui scatole contengono anch’esse monitor digitali della temperatura.


E’ possibile produrre in Italia?

 

Da quanto detto, dovrebbe essere immediatamente evidente come la produzione dei vaccini a Rna sia di fatto un’impresa collettiva, in cui reti di diverse aziende si sono strutturate per fronteggiare le richieste derivanti da un processo produttivo nuovo, sia per tipologia di prodotto sia soprattutto per la scala richiesta.

 

In altre parole, volendo produrre integralmente un vaccino a Rna, è necessario un sistema di imprese – un sistema che fino a questo momento solo pochi paesi al mondo (Usa e Germania) possono dire di ospitare integralmente, comunque non con una capacità tale da soddisfare la domanda mondiale.

 

L’Italia è certamente ben posizionata per poter contribuire alla produzione dei vaccini. Per cominciare, i due reagenti a oggi limitanti – la base modificata N1-metil-pseudouridina e il reattivo necessario per il 5’-capping – sono entrambi alla portata della produzione industriale del nostro paese. Ricordiamo, infatti, che già nel 2016 il 10 per cento delle materie prime per farmaci proveniva dal nostro paese, costituendo un elemento di valore notevole nella nostra economia; è quindi possibile e ragionevole immaginare che, previ accordi con i detentori di eventuali brevetti, la produzione di questi precursori essenziali necessari possa essere portata anche in Italia, ove peraltro sono già disponibili anche le produzioni degli altri componenti necessari per la sintesi di Rna e per le soluzioni tampone.

 

E’ possibile produrre in Italia, nella scala giusta, il Dna che serve all’inizio del processo produttivo? In Italia, esistono al momento poche aziende che possiedono bioreattori funzionanti adatti alla produzione di un vaccino (per esempio la Gsk in Toscana). Tuttavia, esistono diverse aziende che si occupano di produzione di bioreattori per uso industriale; si veda, per citare un nome, la Solaris, azienda italiana specializzata in questo campo. Le competenze per realizzare gli impianti necessari utilizzando questi bioreattori e soprattutto per impostare la produzione di Dna mediante di essi non sembrano mancare nel paese, se si guarda anche semplicemente al report 2019 di Assobiotec.

 

Un discorso diverso merita invece la produzione di Rna, a partire dai precursori che come abbiamo visto si potrebbero ottenere e dal Dna: in questo caso, gli impianti specializzati su larga scala richiesti sarebbero una novità assoluta per il nostro paese (come lo sono per buona parte del mondo), e non è detto che il know-how necessario sia già disponibile in loco, nonostante la tradizione di ricerca nel settore della chimica e della biologia degli acidi nucleici del nostro paese. Non che si tratti di un’impresa fuori dalla nostra portata: tuttavia, è necessario probabilmente in questo caso ragionare su tempo non brevissimi. Pure, considerando le possibilità della tecnologia basata sugli Rna e la richiesta che potrebbe arrivare di nuovi vaccini per altre condizioni, potrebbe forse valere la pena di puntare su un settore innovativo di mercato potenzialmente ampio come questo.

 

Per quello che riguarda la produzione dei liposomi e l’incapsulamento in essi del Rna, in linea di principio la competenza necessaria è disponibile in Italia, e forse anche alcuni impianti adattabili. Molte piccole e medie aziende e laboratori, attivi nel nostro paese soprattutto nei settori della cosmetica e della nutraceutica, producono liposomi e li usano per incapsulare diversi tipi di molecole (si veda ad esempio Alfatesto anche AptSol). Forse, quindi, sarebbe possibile recuperare almeno le competenze giuste per imbastire il processo di produzione industriale (dal punto di vista accademico esistono certamente); ma resta il problema della espansione e riattazione di impianti di limitata dimensione, che non può avvenire senza adeguati investimenti. Inoltre, va ricordato che i liposomi stabilizzati dei vaccini a Rna sono oggetto di copertura brevettuale abbastanza ristretta (tanto che la stessa Moderna è in disputa con altre aziende), per cui qualunque produzione dovrebbe passare attraverso una licenza di qualche tipo.

 

Per quello che riguarda i passaggi successivi, dalla formulazione fino all’infialamento, non sembra vi siano ostacoli rilevanti, né per l’approvvigionamento delle materie prime, né per i processi industriali: già oggi l’Italia opera in questo settore, e aziende come la già richiamata Catalent forniscono già oggi a terzi capacità di fill-and-finish per i vaccini contro il Covid-19. Considerando anche le richiamate produzioni di assoluto rilievo per quel che riguarda le stesse fialette, la posizione dell’Italia in questa ultima fase produttiva appare di particolare solidità.

 

La logistica – sia quella del freddo, sia quella della distribuzione – è ovviamente un capitolo a parte, di rilievo ma certamente non un collo di bottiglia, soprattutto considerando che almeno per quanto riguarda scatole e distribuzione coinvolgerebbe certamente le case madri (Pfizer e Moderna).

 

In definitiva, almeno agli occhi del sottoscritto, sulla scorta di quanto ho potuto reperire e sulla base di questa breve analisi, non sembra impossibile immaginare una produzione italiana di vaccini a Rna. Naturalmente, dovrebbe essere chiaro che si tratta di costruire una filiera intera, che deve integrare numerosissimi soggetti diversi, per cui solo un’azione di governo a questo tesa potrebbe avere successo. 

 

In alternativa o anche nell’attesa, si potrebbe senz’altro contribuire alla produzione mondiale attraverso accordi mirati a produrre le materie prime, inclusi i reagenti più limitanti perché finora monopolio di singoli produttori, e attraverso la finitura finale e le fialette, comparti del nostro sistema produttivo già forti.


Conclusione


La breve analisi che ho qui presentato è ricca di condizionali e ipotetiche, in parte perché non tutte le informazioni sono note, ma soprattutto perché prevedere cosa sia realizzabile nel nostro paese è impresa ardua, e certamente gli ostacoli sono maggiori di quelli che questa breve e rozza analisi permette di individuare. 


Spero tuttavia che il lettore che abbia avuto la pazienza di arrivare sin qui, possa almeno intuire di quale complessità e di quali sforzi si siano fatte carico le aziende farmaceutiche e gli stati che le hanno aiutate attraverso la facilitazione di accordi, la sburocratizzazione dello sviluppo clinico e i finanziamenti.  Lo spettacolo di centinaia di milioni di dosi sterili, che diventeranno miliardi, destinate a ognuno di noi, è a mio giudizio incredibile; e credo che a buon diritto entrerà nei libri di storia, alla pari di certi sforzi produttivi fatti nella Seconda guerra mondiale.

 


GLOSSARIO

5’-capping: modifica chimica di una delle estremità di un Rna messaggero, come quello somministrato con i vaccini, indispensabile per evitarne la degradazione.


Acidi nucleici: Rna e Dna, i costituenti del genoma di tutti gli organismi viventi.


Enzima: proteina in grado di catalizzare una precisa trasformazione chimica, in presenza di specifici reagenti, per ottenere un dato prodotto di biosintesi. Per esempio, l’enzima Rna polimerasi catalizzala formazione di Rna a partire da ribonucleotidi; altri enzimi citati nel testo invece scindono un Rna in ribonucleotidi, con una reazione chiamata idrolisi enzimatica.


Lipidi: grassi che sono usati per formare i liposomi, sferette lipidiche al cui interno è incapsulata la sequenza di Rna usata nei vaccini a Rna.


N1-metil-pseudouridina: ribonucleotide usato nei vaccini a Rna al posto del corrispondente naturale uracile, per evitare che essi siano distrutti dal sistema immunitario dei soggetti cui si somministra il vaccino.


Ribonucleotidi: componenti di una molecola di Rna, e quindi del genoma del coronavirus. Ogni ribonucleotide (o, per brevità, nucleotide) corrisponde ad una base nella sequenza genetica del virus.


Soluzione tampone: particolare soluzione salina, in grado di evitare variazioni di acidità eccessiva e quindi di proteggere ciò che in essa è disciolto da tali variazioni non desiderate.

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