Osservatorio Astronomico di Saint Barthélemy, Aosta (foto European Southern Observatory via Flickr)

Lo spazio ha 5 stelle

Giulia Pompili

Sulla tecnologia siamo atlantisti, ma Pechino si sta prendendo pian piano la ricerca spaziale italiana

Roma. Sulla scrivania del ministro dell’Istruzione e della ricerca Lorenzo Fioramonti in questi giorni è fermo un dossier. Si tratta della nomina del presidente di un istituto di ricerca piccolo, in confronto ad altri, ma molto, molto strategico. Il mandato di Nicolò D’Amico alla guida dell’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf) è infatti scaduto il 16 ottobre, ed è stato già prorogato di 45 giorni. Il decreto per la nomina del suo successore sarebbe dovuto arrivare agli inizi di dicembre, ma il ministero, probabilmente, non ha ancora deciso chi scegliere su una rosa di cinque nomi, selezionati da una commissione indipendente. Oppure ha deciso chi scegliere, ma il decreto tarda ad arrivare. Del resto gli interessi in ballo sono parecchi, e non riguardano soltanto l’indirizzo da dare per il prossimo quadriennio alla ricerca nel settore dell’astrofisica. La partita più importante sembra essere quella delle collaborazioni internazionali, delle alleanze da rafforzare o da moderare, e del ruolo della ricerca in Italia, anche e soprattutto quella scientifica, che sempre più spesso si affida a partner che arrivano da lontano. Dalla Cina.

 

L’Istituto nazionale di Astrofisica si occupa di molti progetti che vengono tecnicamente realizzati dall’Agenzia spaziale italiana (Asi). Per usare una metafora semplificatoria, è il cervello che analizza i dati raccolti dagli ingegneri aerospaziali dell’Asi, avendo accesso diretto a quasi tutti i progetti. A fine novembre, durante una visita di ben dieci giorni in Cina (una missione così lunga per un ministro è quantomeno anomala) il grillino Fioramonti ha annunciato a sorpresa la sospensione della collaborazione con la Cina per la costruzione della stazione spaziale cinese Tiangong 3, che verrà messa in orbita nel 2022. Negli stessi giorni, però, partecipando alla Settimana Cina-Italia della Scienza, il ministro ha celebrato la firma di 15 accordi bilaterali nel settore scientifico e inaugurato, insieme con l’omologo cinese Wang Zhigang, il primo Parco Tecnologico Sino-italiano a Jinan (1,6 miliardi di euro). Come si deve interpretare lo stop alla collaborazione tecnologica negli stessi giorni di un rafforzamento nel campo della ricerca? Contattato più volte dal Foglio, il ministero dell’Istruzione non ha mai confermato o smentito l’annuncio di Fioramonti in Cina sulla collaborazione con l’Asi. Ma a sentire diverse fonti del settore, la storia ha a che fare con una possibile backdoor aperta proprio per mantenere i rapporti con Pechino – ufficialmente solo nel campo della ricerca aerospaziale – rassicurando allo stesso tempo gli alleati sul trasferimento diretto di tecnologie. La nomina all’istituto di Astrofisica di un presidente particolarmente attivo nel campo delle collaborazioni con la Cina aiuterebbe questa strategia – che è coerente con la strategia pro-Pechino dei Cinque stelle – ma il ritardo nella decisione a questo punto è sospetto. L’Italia ha già ricevuto parecchie attenzioni per questa apertura incondizionata nel campo della ricerca e dell’accademia (è il caso degli Istituti Confucio nelle università italiane).

 

Nel novembre del 2018 l’allora governo guidato dalla Lega e dal M5s aveva deciso di rimuovere dalla guida dell’Asi Roberto Battiston, uno dei promotori del dialogo con la Cina nel settore aerospaziale. Battiston è anche uno dei protagonisti dell’accordo che, nel 2017, portò il presidente Sergio Mattarella ad assistere alla firma, a Pechino, di un memorandum d’intesa che avrebbe portato l’Italia – prima in Europa – a costruire alcune parti della stazione spaziale cinese. All’inizio di quest’anno sono iniziati i dubbi, arrivati soprattutto da Oltreoceano: le tecnologie che usate per i vostri impegni con i cinesi sono sensibili per gli alleati, sono a rischio. Secondo due diverse fonti del Foglio, in cambio della sospensione delle collaborazioni “tecnologiche” con la Cina, l’Amministrazione americana di Donald Trump avrebbe promesso all’Italia (nello specifico, a “Giuseppi” Conte) un ruolo privilegiato “nella prossima missione sulla Luna”, di cui però ancora si sa ben poco. Secondo alcuni analisti americani, la priorità di Trump in campo aerospaziale è “proteggere i satelliti statunitensi”, quindi non si sa ancora quando le missioni sulla Luna o su Marte – che per il presidente “sembrano intercambiabili” – verranno effettivamente finanziate. Ma l’Italia – o meglio, le aziende italiane, che sono il fiore all’occhiello dell’industria aerospaziale europea, devono sapere su cosa prepararsi. E’ un dossier molto caro ai Cinque stelle: Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con deleghe allo spazio, al consiglio ministeriale dell’Agenzia spaziale europea di Siviglia, il 28 novembre scorso, ha annunciato il “raddoppio dei fondi stanziati per i programmi spaziali europei, con una sottoscrizione pari a 2 miliardi e 288 milioni, la più alta di sempre”. Lo spazio è europeista, ma l’Italia, nella ricerca, sta giocando una partita piuttosto controversa.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.