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Fuggire per crescere

Redazione

Nascere a Torino e diventare grandi a Londra. Lezioni dal caso U-earth

La fuga delle buone idee è ben più grave di quella di cervelli. E’ la lezione impartita da Betta Maggio, poco più che trentenne, tre figli, ma anche il piglio dell’imprenditore di razza. Una decina di anni fa ha deciso di far tesoro del regalo dello zio d’America, luminare delle biotecnologie. Mica un’eredità in dollari ma, ancora più preziosa, un’invenzione pensata per contrastare attacchi batteriologici e chimici. L’intuizione di Betta è stata di tradurre in business l’idea, dando vita a una start-up. Non nella Silicon Valley o a San Diego, la terra promessa del biotech americana, ma nel cuore di Torino, in corso Svizzera, a due passi dalla vecchia Lancia e dai primi centri della vecchia metropoli industriale. E’ iniziata così l’avventura di U-earth Biotechnologies, un sistema brevettato che cattura e digerisce, attraverso l’uso di agenti naturali, non patogeni e non geneticamente modificati, ogni tipo di inquinamento dell’aria liberando ossigeno. I risultati sono arrivati, vuoi sotto forma di selezione come una delle 100 migliori start-up al prossimo South Summit di Madrid o al Female Founder Challenge di Londra, frutto di eccellenti risultati: in meno di un metro di altezza il congegno mini creato da U-earth sprigiona una potenza pari a 276 querce, contro i 6.000 alberi della versione maxi che, assorbe fino a 71 contaminanti al giorno.

 

Eppure la vulcanica Betta ha deciso di fare le valigie. Prima ha lasciato Torino “meravigliosa piazza per innovare, ma non per fondare aziende” per trasferirsi a Milano, salvo poi prendere atto che “per passare dall’idea alla fase industriale si deve andare altrove”. A Londra, per esempio, dove “abbiamo già in calendario – ha detto alla Stampa – vari appuntamenti con le istituzioni”. Non è solo un limite della mano pubblica di casa nostra (anche se il progetto sperimentale in corso Svizzera si è interrotto con la giunta Appendino), ma anche della difficoltà di dare vita a progetti a rete, di un certo respiro, che richiedono una capacità progettuale che non appartiene per ora all’Italia del cambiamento, leader della retorica ambientalistica.

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