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C'è un po' di Italia nello studio che promette di rivoluzionare il trattamento dei disturbi psichiatrici

Massimo Piattelli Palmarini

La dissociazione tra azioni e convinzioni. Uno studio inglese destinato a cambiare la psichiatria

Nell’ultimo numero della rivista scientifica internazionale Neuron è stato pubblicato, da un’équipe di neuroscienziati cognitivi che lavora in Inghilterra, un interessante articolo su un nuovo tipo di dissociazione tra azioni e convinzioni nell’adeguatezza delle proprie azioni. Due di questi autori sono italiani: Matilde Vaghi (Cambridge University) e il capo dell’équipe, Benedetto De Martino (Istituto di neuroscienze cognitive dell’University College London). Studiando il comportamento sia di soggetti sani sia di persone affette da disturbo ossessivo compulsivo (Ocd), questi studiosi hanno osservato che l’armonia tra azioni e convinzioni sembra essere perturbata in questi ultimi. In un’intervista in esclusiva per il Foglio, chiedo a De Martino, internazionalmente noto per le sue ricerche sulle basi neurobiologiche dei comportamenti e delle decisioni, di spiegarci l’essenza di questo lavoro. “Le nostre azioni sono normalmente guidate da quelle che sono le nostre convinzioni. Per esempio se sono convinto che verrà a piovere nel pomeriggio mi porterò un ombrello quando uscirò di casa la mattina. Quest’idea è così intuitiva che sembra quasi ovvia ma non è così nelle persone affette da disturbo ossessivo compulsivo”. La definizione stessa del disturbo suggerisce la presenza di qualcosa di anomalo. De Martino così la precisa: “Per esempio, un paziente affetto da Ocd magari si rende conto che le sue mani siano pulite ma ciò nonostante non riesce a bloccare la compulsione di continuare a lavarsi le mani. Questo disturbo psichiatrico che colpisce circa il 3 per cento della popolazione (il quarto disordine psichiatrico più comune) ha delle conseguenze terribili per la vita quotidiana di questi pazienti e delle loro famiglie”. Il loro lavoro è denso di dettagli, di grafici e accurate analisi statistiche. Gli chiedo di descriverlo in termini semplici. De Martino mi dice: “In questo studio, abbiamo sviluppato un nuovo metodo (una sorta di ‘videogioco’ in cui i partecipanti dovevano predire la posizione da cui un proiettile veniva sparato) che con l’ausilio di modelli matematici ci ha permesso di capire più in dettaglio la disfunzione che potrebbe essere causa del comportamento anomalo di questi pazienti. Usando questo metodo siamo stati in grado di misurare esattamente il grado di associazione tra azioni e convinzioni nel gruppo di pazienti affetti da Ocd e in un gruppo di soggetti sani, il nostro controllo”. L’ingegnoso dispositivo da loro messo a punto consiste in un ugello che spara delle piccole palline in direzioni variabili. Il soggetto deve catturare tali proiettili entro un cesto che è libero di ruotare attorno a un cerchio, posto a una certa distanza dall’ugello. Inutile dire, o invece è utile dire, che la posizione del cesto sarà, di volta in volta, scelta dal soggetto in base alle sue aspettative sulla successiva direzione del lancio. Conta la direzione dell’ultimo lancio, ma anche la media delle direzioni di un certo numero di lanci precedenti. La differenza tra questi due tipi di previsioni (la media, oppure l’ultimo lancio) è il nocciolo dell’esperimento. Inoltre, prima di ogni lancio, viene chiesto al soggetto di dichiarare quanto intensa è la sua convinzione che la pallina andrà a cadere proprio dove ha ora posizionato il cesto. De Martino precisa: “Quello che abbiamo scoperto è che più informazione veniva fornita loro e più i partecipanti in entrambi i gruppi diventavano convinti della direzione da cui il proiettile partiva, questa convinzione, però, mentre aveva un effetto sul comportamento del gruppo di controllo, non era in grado nei pazienti con Ocd di modulare il loro comportamento”. 

  

Gli chiedo se è un errore di previsione, oppure un errore di fiducia. “In realtà i soggetti affetti da Ocd usavano le predizioni per modulare correttamente il loro livello di fiducia, ma non riuscivano a usare le stesse predizioni per controllare le loro azioni. Questo mostra una dissociazione tra azione e convinzioni che è molto più marcato in questi pazienti. La cosa interessante è che abbiamo scoperto che la severità nei sintomi della malattia è correlata al livello di questa dissociazione – più la dissociazione è marcata più severo è il disturbo”. De Martino così riassume l’importanza di questo dato: “L’Ocd è un disturbo complesso e questo lavoro non ci racconta tutta la storia di questa malattia ma è un tentativo di cominciare a studiare il meccanismo che causa questo disordine psichiatrico”. Inevitabile è la mia domanda su possibili applicazioni diagnostiche e cliniche di questo dato. “A differenza di altre branche della medicina molta della psichiatria moderna si basa ancora su una classificazione del disturbo mentale imperniato sui sintomi di una patologia e non sui suoi meccanismi. Fino a che non avremo un quadro più chiaro del meccanismo computazionale alla base dei disordini mentali sarà difficile sviluppare terapie farmacologiche o psicoterapeutiche mirate ed efficaci. Per fortuna, negli ultimi anni un nuovo approccio (simile a quello sviluppato in questo lavoro) chiamato psichiatria computazionale e basato sull’uso di precisi modelli matematici si propone di fornire ai clinici basi più solide su cui lavorare”. Lo invito a dirci, senza peli sulla lingua e senza troppa modestia, che cosa si aspetta in un futuro prossimo, cioè cosa vede dietro l’angolo: “Io credo che questo approccio porterà a una rivoluzione nel trattamento dei disturbi psichiatrici. Indipendentemente dal valore insito nel capire i meccanismi di questa malattia questo tipo di lavoro ci apre una finestra nella comprensione di come la mente umana di tutti noi funziona, in quanto capire le basi di una disfunzione ci fornisce spesso informazioni preziose sull’architettura della cognizione umana”. Sulla base anche di lavori precedenti, suoi e di altri ricercatori, nell’articolo si dice che la stima della fiducia o convinzione (in inglese confidence) nelle proprie azioni può essere modificata da ulteriori recenti informazioni elaborate nell’intervallo di tempo tra l’azione eseguita e la soggettiva dichiarazione del proprio grado di fiducia. Un circuito localizzato nella corteccia pre-frontale si occupa, nei soggetti sani, di aggiornare l’informazione. Tale processo mentale non deve necessariamente essere cosciente. I pazienti affetti da Ocd sottoutilizzano, o non hanno accesso a, informazione proveniente dall’ambiente esterno, seppure questa sia, in teoria, palese. Immaginate di essere di fronte a una fontana circolare, con lo zampillo che varia di direzione, seguendo una classica legge probabilistica (una curva a campana, chiamata curva gaussiana). Volete raccogliere un po’ di quell’acqua in un catino. Dove lo mettete? Quanto convinti siete della posizione scelta per quel catino? Se siete sani, lo porrete, magari senza nemmeno rendervene conto, ma con un buon grado di silenziosa fiducia, nella posizione dettata dalla media degli zampilli precedenti. Se, invece, siete ossessivi compulsivi, lo porrete vicino alla posizione del più recente zampillo. Senza grande convinzione. E qui sta il divario scoperto in questo lavoro.

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