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Cattivi scienziati

I "neuroni della febbre": lo studio che svela i legami tra cervello e sistema immunitario

Enrico Bucci

Una ricerca pubblicata su Nature dimostra che sintomi molto diffusi quali febbre e perdita di appetito dipendono da un meccanismo che si fonda sul funzionamento di una specifica popolazione di neuroni

La malattia prodotta da un patogeno è un gioco complesso di interazioni fra un parassita, gli organi affetti e il sistema immunitario, la cui evoluzione dipende principalmente dalle caratteristiche intrinseche del patogeno e dalla nostra risposta immune. La percezione della malattia – cioè i sintomi che essa produce – vede però in primo piano il nostro cervello.

Tutti possiamo facilmente comprendere come il dolore conseguente a stati infiammatori o ad alterazioni morfofunzionali consegue dalla stimolazione delle terminazioni del sistema nervoso periferico e dalla risposta elaborata dal nostro cervello; la percezione della sensazione di calore associata all’infiammazione, allo stesso modo, dipende dal sistema nervoso.

 

Tuttavia un nuovo, bellissimo studio pubblicato su Nature da un gruppo di Harvard dimostra in modo inequivocabile come anche altri sintomi molto diffusi e conservati dall’evoluzione in un gran numero di specie diverse, quali la febbre e la perdita di appetito, dipendono da un meccanismo che si fonda sul funzionamento di una specifica popolazione di neuroni in grado di rispondere ai segnali provenienti dall’attivazione del sistema immunitario. Precedenti studi avevano già mostrato come nei mammiferi una specifica area del cervello, detta area preottica, fosse cruciale per la generazione della febbre. Nel nuovo studio, i ricercatori hanno innanzitutto determinato che, nei topi, una specifica popolazione di neuroni dell’area preottica mediale ventrale dell’ipotalamo si attivano specificamente in seguito all’induzione della febbre.

Dopo di che, utilizzando tecniche avanzatissime di trascrittomica e di sequenziamento degli RNA messaggeri indotti in corrispondenza dell’attivazione, hanno scoperto che questi neuroni sono caratteristicamente dotati di recettori per molte molecole generate dal sistema immunitario, quando è in corso un’infezione. A questo punto, i ricercatori hanno determinato che, in presenza di tali molecole caratteristiche di un’infezione in corso, la popolazione di neuroni dotata dei giusti recettori rispondeva in modo altamente reattivo, dimostrando così che essi possono percepire direttamente lo stato immunitario periferico dell'organismo.

 

Per scoprire la funzione specifica dei neuroni attivati dal sistema immunitario nel modo descritto, sono state usate tecniche che hanno permesso di attivare o rimuovere in modo specifico questi neuroni dal cervello dei topi, lasciando inalterate le cellule vicine. Attivando specificamente i neuroni in questione, è stata indotta la febbre e la perdita di appetito, oltre che un comportamento di ricerca di calore (e di rifugio), tutte risposte tipiche di animali di ogni genere quando sono infettati (e che oltretutto contribuiscono all’isolamento sociale e a rallentare la propagazione dei patogeni). Eliminando gli stessi neuroni in modo selettivo, uno stimolo corrispondente ad un’infezione non generava più febbre, mancanza di appetito o ricerca del calore.

 

A questo punto, i ricercatori sono andati ancora oltre: hanno cercato quali fossero le aree del cervello a cui questi neuroni inviano segnali, seguendone gli assoni con strumenti di optogenetica, cioè una tecnica che combina genetica e l’uso di stimoli luminosi per ricostruire i circuiti di attivazione neuronale all'interno di animali vivi. Grazie a questa ulteriore serie di magnifici esperimenti, è risultato che i “neuroni della febbre” stimolano aree del cervello già ben note per controllare la temperatura corporea e l’appetito. E così, utilizzando una combinazione di stupefacenti esperimenti condotti con le tecniche più moderne, si è dimostrato come il cervello percepisca direttamente lo stato immunitario periferico dell'organismo, rilevando le conseguenze immunitarie di un’infezione e inducendo in risposta classici sintomi di malattia.

 

Il tutto grazie ad una singola popolazione di neuroni, che quindi traduce la risposta immune in stato sintomatico, indipendentemente da quale sia il preciso agente infettivo inziale (e presumibilmente non solo infettivo). Ora, se l’attività dei “neuroni della febbre”, come è probabile, dovesse risultare modulata dall’attività di altre regioni del cervello, e non solo da segnali immunitari, avremmo una chiara, solida base per investigare il possibile effetto del nostro stato mentale sulla sintomatologia associata a molte patologie.

In linea di principio, a partire da meccanismi come quello illustrato potremmo individuare il modo di controllare meglio alcuni comuni sintomi di malattia, attraverso la nostra mente; se questo avverrà, il passaggio dalle attuali “tecniche olistiche” a terapie più solidamente scientifiche sarà paragonabile a quello avvenuto muovendosi dall’erboristeria per arrivare alla medicina molecolare moderna.

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