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oltre i vaccini

La “generosità” di Big Pharma sui brevetti spiegata con Adam Smith

Vincenzo Denicolò

Non benevolenza, piuttosto si tratta di una tutela dei propri interessi economici e di un modo per evitare che i preziosi brevetti sui farmaci anti covid vengano regolati

"Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse”. Così scriveva Adam Smith due secoli e mezzo fa nella frase probabilmente più celebre di tutta la storia del pensiero economico. Il principio vale tanto per i macellai quanto per le compagnie farmaceutiche ed è bene ricordarlo parlando dei nuovi farmaci antivirali per la cura del Covid-19 sviluppati da Merck e Pfizer

 

Si tratta di farmaci orali, ormai vicini all’approvazione, da assumersi per qualche giorno dopo la comparsa dei sintomi. I dati sperimentali sembrano indicare un’efficacia elevata, soprattutto per quello della Pfizer. Per entrambi, il prezzo a quanto pare si aggirerà sui 700 dollari per trattamento – un valore pari a 10 o forse 20 volte il costo di produzione, che probabilmente non supera i 50 dollari. Questi margini di profitto enormi sono possibili perché i brevetti sui farmaci assicurano a Merck e Pfizer un’esclusiva per circa 20 anni. Per tutto questo periodo l’unico limite al prezzo sarà la disponibilità a pagare dei compratori. Nei paesi ricchi, questa dipende essenzialmente dall’esistenza di sostituti, come per esempio gli anticorpi monoclonali, che però sono molto cari e di difficile somministrazione. 

 

Non sorprende che i governi dei paesi ricchi si stiano affrettando a ordinare centinaia di migliaia di dosi. Può invece sorprendere che i proprietari dei brevetti abbiano concesso una licenza gratuita per la vendita di questi farmaci in circa cento paesi poveri o a medio reddito. Anche se questi paesi rappresentano solo una frazione della domanda pagante a livello mondiale, perché Merck e Pfizer rinunciano volontariamente a una quota dei profitti che potrebbero realizzare? 

 

Naturalmente gli amministratori di queste società proclamano di avere a cuore il bene dell’umanità, ma Adam Smith ci insegna che queste dichiarazioni hanno un valore prossimo allo zero. Una spiegazione più convincente è quella che gli economisti chiamano “regulatory preemption theory”, cioè teoria della prevenzione di interventi regolatori. Il punto è che i brevetti possono essere revocati o sospesi o soggetti a licenze obbligatorie, e allora può valere la pena di non tirare troppo la corda. Meglio rinunciare alle briciole che si potrebbero raccogliere nei mercati poveri che mettere a rischio gli ingenti profitti dei mercati ricchi. Dimostrandosi “generose” le compagnie farmaceutiche allentano la pressione dell’opinione pubblica mondiale a favore di interventi come la sospensione dei brevetti proposta da India e Sudafrica (che non a caso rientrano tra i paesi licenziatari) e sostenuta, non si sa con quanta convinzione, anche dagli Stati Uniti.

 

Una domanda più sottile è perché non sia successo qualcosa di simile anche per i vaccini (con l’eccezione di AstraZeneca, dati i suoi impegni con l’Università di Oxford). In effetti, per il suo vaccino, Pfizer ha annunciato prezzi ridotti nei paesi poveri e a medio reddito, senza però concederlo in licenza gratuita. Lo stesso ha fatto Moderna. In più, Moderna ha dichiarato che non citerà in tribunale chi viola i suoi brevetti. Ma questo è diverso da una licenza gratuita, perché una dichiarazione non è un contratto e lascia un certo margine di incertezza, e soprattutto perché è molto difficile produrre il vaccino in assenza di un trasferimento del know-how tecnologico. 

 

Le possibili spiegazioni di questa differenza sono varie. Conta sicuramente il fatto che la produzione dei vaccini è più complessa rispetto ai farmaci chimici. Questo è vero in particolare per quelli di Pfizer/BioNTech e Moderna, che sono basati sulla nuova tecnologia mRNA.  La minaccia di una sospensione dei brevetti, o di una loro licenza obbligatoria, è quindi meno grave per le compagnie farmaceutiche, perché sarebbe comunque necessario diverso tempo prima che i “genericisti” imparino a produrre i vaccini. Un altro possibile fattore, sempre connesso alla maggiore complessità della produzione di vaccini, è il controllo di qualità. Una partita prodotta su licenza che risultasse difettosa potrebbe compromettere l’immagine del prodotto su scala mondiale, mettendo a rischio gli ingenti profitti che oggi vengono realizzati. E queste sono solo alcune ipotesi, perché comprendere il comportamento delle compagnie farmaceutiche senza indulgere a visioni complottiste da una parte o buoniste dall’altra non è sempre un compito facile.

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