Foto: Erik Mclean

Il Foglio Salute

Quando il gioco non vale la candela

Luisa Brogonzoli

La firma di Speranza sul decreto per governare al meglio il gioco d’azzardo

Per un milione e mezzo di italiani la propria salute è un gioco; infatti, secondo uno studio pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità (2018), un milione e mezzo è il numero dei giocatori d’azzardo considerati patologici, un numero che continua lentamente a crescere.

 

A fronte di ciò, la scorsa settimana il ministro Speranza ha firmato un decreto per l'adozione di un regolamento nazionale per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle persone affette dal gioco d’azzardo; toccherà alle Regioni attuare le linee d’azione puntando all’integrazione tra servizi pubblici e le strutture private accreditate, gli enti del Terzo settore e le associazioni di auto-aiuto della rete territoriale locale. Il decreto va a integrare una legislazione piuttosto recente che dal 2005 (Legge per il contrasto della distribuzione illegale online dei giochi con vincite in denaro) è andata via via affinandosi.

 

Ma perché se ne occupa il ministero della salute? Perché il gioco d’azzardo patologico, noto come ludopatia, è stato riconosciuto dal 1984 come disturbo psicopatologico; secondo i protocolli internazionali, si tratta di una dipendenza che si manifesta in un comportamento problematico persistente o ricorrente verso il gioco, assumendo la connotazione di un vero e proprio disturbo psichiatrico con effetti gravemente invalidanti su relazioni sociali e salute.

 

Il disturbo è spesso correlato a ulteriori patologie – come depressione, ipomania, bipolarismo, deficit dell’attenzione – e riguarda frequentemente persone caratterizzate da altre dipendenze come fumatori, consumatori di cannabis e alcolisti. Le conseguenze ricadono su diverse aree personali: psicologica (ossessione, senso di onnipotenza, nervosismo e iperattività), fisica (alterazioni dei sensi, ansia e cefalee), sociale – compromettendo relazioni familiari e lavorative – e il fronte economico; a questo proposito si consideri che il 58 per cento dei giocatori problematici ha la cessione del quinto dello stipendio (contro uno 0,7 per cento medio nazionale), che un soggetto dipendente su tre ha ottenuto prestiti da società finanziarie e che il 14,4 per cento è indebitato con privati.

 

A livello mondiale, la prevalenza del disturbo nella popolazione adulta varia dall’1 al 3 per cento, con una maggiore diffusione tra familiari e parenti di giocatori; purtroppo, il fenomeno risulta molto impattante anche tra i minorenni. Si stima che in Italia l’azzardo sia un’attività molto diffusa, anche se con diversi livelli d’intensità: il 36 per cento della popolazione maggiorenne (quasi 18 milioni e mezzo) avrebbe giocato almeno una volta nell’arco di 12 mesi, ma di questi i giocatori ritenibili abitudinari si giudicano essere 5,2 milioni: 1,5 giocatori patologici, 1,4 considerati a rischio moderato, la restante parte a basso rischio.

 

Nella definizione di giochi d’azzardo sono compresi tutti i giochi per cui si paga sperando in una possibile vincita; i più diffusi sono le lotterie istantanee (tipo Gratta e Vinci) insieme a Lotto e Superenalotto a cui partecipa quasi il 50 per cento della popolazione. Pur non disdegnando questo tipo di azzardo (e chi gestisce le sale da gioco andrebbe comunque non demonizzato, perché aiuta lo stato a combattere il gioco d'azzardo illegale, che creerebbe problemi ulteriori, non solo a livello psicologico), i giocatori problematici privilegiano gli apparecchi di intrattenimento, come slot-machine e VideoLottery, che raccolgono 50 miliardi di euro di giocate l’anno. Si scommette prevalentemente presso tabaccai e bar, mentre chi lo fa in maniera compulsiva preferisce sale VLT e bar, possibilmente lontani da casa e dal lavoro, che garantiscono privacy e un’area fumatori.

 

Rispetto alle motivazioni è interessante notare che la convinzione di poter vincere facilmente sembra caratterizzare tutti, ma mentre il divertimento sembra spingere i giocatori “della domenica”, il bisogno di soldi è ciò che caratterizza i giocatori problematici (15 per cento) e quelli a rischio moderato (11 per cento). Si gioca prevalentemente al Centro e Nord-Ovest, ma diversa è la distribuzione dei giocatori considerati patologici che vede il coinvolgimento del 5,8 per cento della popolazione maggiorenne residente nelle Isole, del 4,6  al Sud, del 3,8 al Nord, mentre il Centro è sotto la soglia dell’1 per cento.

 

Esiste una leggera prevalenza degli uomini (57 per cento) e della fascia di età compresa tra i 40 e i 64 anni, anche se, solitamente, si inizia sotto i 25. Sebbene la legge italiana vieti espressamente il gioco d’azzardo per i minorenni, si stima che siano 700 mila i giocatori sotto i 18 anni, dediti prevalentemente a scommesse sportive e lotterie istantanee; tutti dati che con la pandemia paiono lievitati.
L’effetto Covid si è infatti registrato, pur con andamenti differenti, anche sul fronte del gioco; uno studio promosso dall’ISS ha evidenziato che il gioco d’azzardo presso le apposite sale nel complesso è diminuito, passando dal 9,9 per cento del periodo pre-pandemico al 2,4 del periodo di lockdown, per poi stabilizzarsi intorno al 8 per cento; al contrario, il gioco online è cresciuto: dal 10,0 per cento del 2019, all’8 del lockdown, salito poi al 13.

 

Per citare uno slogan, frutto di un bel progetto che ha coinvolto alcune scuole del varesotto, “Quando è troppo, anche il gioco stroppia”.
 

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